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    Categoria: cultura

Pincio, il web, l’amore e gli scrittori «Il libro non è più un luogo inviolabile»

L’autore a Ravenna. «Le fusioni tra grandi case editrici? Sono passi di
conservazione. Anche perché ormai i grandi editori non esistono più»

Il futuro è un luogo incerto. Sul social network Pandora si condividono idee, si conoscono persone e può anche capitare di innamorarsi, ma di chi? Chi si cela dietro le identità che ci creiamo per “vivere” su internet? Tommaso Pincio conosce bene la mistificazione della realtà. Il nome d’arte con cui firma i suoi romanzi è a metà tra Thomas Pynchon e il colle Pincio di Roma. Il protagonista di Panorama (NN editore) Ottavio Tondi ama la vita isolata, quella della lettura, ma anche quella del social network Panorama che considera come un libro in continuo aggiornamento.

Mercoledì 14 ottobre Pincio sarà a palazzo Rasponi alle 18.30 per la rassegna Il tempo ritrovato.

Tommaso, pensi che i social possano avere un valore anche letterario?
«È presto per capire se siano un luogo di letteratura, ma stanno sviluppando linguaggi autonomi e nuovi. Il linguaggio scritto presupponeva un lettore passivo e distante, qui il lettore entra direttamente in dialogo o in contrasto con il testo. Il lettore-commentatore contribuisce alla percezione del testo e alla sua formazione. Non c’è più un lettore e uno scrittore. Questo cambia il modo in cui intendiamo il testo. Il libro non è più un luogo protetto e inviolabile».

Gli scrittori modificano il proprio modo di scrivere a seconda dei commenti che ricevono?
«Il giudizio è sempre esistito e può ancora essere ascoltato o ignorato, ma chi usa i social sa che quello che scrive avrà una data reazione, più o meno preventivabile. Chi scrive su Facebook o twitter non scrive una cosa solo perché la pensa, ma per provocare certe reazioni. Molta scrittura che leggiamo in rete è provocatoria per questo motivo. Il testo puro non esiste più, spesso si va più verso la provocazione o l’aforisma apodittico. Scripta manent è un detto che non funziona più».

Quindi si diventa tutti scrittori ruffiani?
«Se scrivi una cosa controcorrente sai che verrai insultato, se vuoi tanti like posti la foto di un gattino. Anche una volta c’erano scrittori ruffiani o provocatori, ma c’era una distanza di tempo e di ruoli. Lo scrittore oggi è meno libero di scrivere quello che vuole. Per questo molti scrittori si tengono lontani dai social network, per paura di “sporcarsi”. Però il commento non è solo sui social, ma anche sui siti di vendita dei libri ci sono molti commenti che influenzano i lettori. I social di oggi sono una fase di passaggio verso qualcos’altro che scopriremo tra pochissimi anni».

Nel romanzo tratti dell’amore nato online, un fenomeno che si sta diffondendo sempre di più, quanta importanza ha la conoscenza e quanta l’immaginazione in amore?
«L’investimento di fantasia che uno fa nei riguardi delle persone è sempre stato fondamentale. Una volta vedevi una ragazza di sfuggita tutti i giorni sull’autobus. Cercavi di capire chi era dai vestiti o dall’atteggiamento, ora cerchi di capirlo da brevi messaggi scambiati in chat».

Che ruolo ha la menzogna?
«Non cambia nemmeno la possibilità di mentire, con una differenza: le finzioni del social restano online perché possono sono lontane dal mondo reale. Mentre le menzogne nel mondo reale sono più camuffabili. La verità non ha bisogno di essere verosimile, la finzione sì. Online cambia però l’immagine che noi abbiamo di noi stessi. Non abbiamo ancora imparato l’alfabeto emotivo dei social. Siamo in fase infantile dove proviamo a forzare i limiti, come i bambini che fanno i capricci per vedere a che punto i genitori li sgridano».

Nel romanzo il mondo dell’editoria viene descritto come un mondo molto egoistico ed egotico, dove ognuno pensa a se stesso. «gli aspiranti scrittori volevano diventare scrittori, gli scrittori volevano diventare scrittori di successo, gli scrittori di successo volevano diventare scrittori apprezzati dalla critica». È davvero così?
«Ho usato certi elementi della comunità letteraria perché mi erano più facilmente riconoscibili, ma credo queste meschinità siano in tutti. Se ne parlo con toni poco edificanti lo faccio sui vizi delle persone, in ogni ambito. Credo facciano parte dell’essere umano».

Tu hai pubblicato i tuo libri con grandi editori come Einaudi e Mondadori, ma anche con editori indipendenti come NN e Minimum Fax… come vedi la fusione di Mondadori e Rizzoli? Schiaccerà la piccola editoria?
«Le cose sono già cambiate da tempo. Si cerca di resistere ai cambiamenti del mondo. Non sono scettico davanti a questo cambiamento, ma all’idea che si possa fermare con una mano una marea che avanza, o che si possa mandare indietro le lancette di un orologio mi fa sorridere. Di fatto i grandi editori non esistono più. Se uno paragona la Mondadori e la Rizzoli di oggi, anche assieme non sono paragonabili con quello che era la Mondadori dieci anni fa. Sono diventati piccolo editori anche loro… c’è del patetico in questo. Capisco che le strutture per sopravvivere in questo mondo debbano fare dei passi, ma queste fusioni sono passi di conservazione, non di innovazione. È un settantenne che cerca di tenersi in forma prendendo il viagra. Però ha comunque settanta anni, non cambia niente. Quella editoria ha fatto il suo tempo…»

Cosa è venuto a mancare ai grandi editori?
«Basta guardare i numeri delle copie vendute. I grossi editori vendono come quelli piccoli. I best seller non vendono più milioni di copie. I giornali non contano più nulla per vendere i libri. Una bella recensione su Repubblica, non fa la differenza come un tempo. La distribuzione in libreria è quasi irrilevante perché i libri si comprano online. Il mio primo libro lo pubblicai nel 1999 con Cronopio, un piccolo ma stimato editore: ha venduto 98 copie. Più grosso insuccesso della storia della letteratura. L’ultimo l’ho pubblicato con un altro piccolo editore: NN, ed ha esaurito prima tiratura. Certo sono più nono come autore, ma non è questo il fatto perché per Cronopio faceva gli stessi numeri di vendite anche Philip Dick. Oggi molti lettori non comprano più i libri alla Feltrinelli. Lettori forti non vanno più lì. Ormai le catene con Feltrinelli sono fatte per vendere un paio di best seller, puzzle, giochi ai bambini e mappe di Roma ai turisti. Non fanno più scoprire libri ai lettori».