Sventurato protagonista della narrazione è tal Pierangeli, quarantenne fighetto velleitario che, nella Milano Marittina “da bere”, si gioca reputazione, soldi e fedina penale fra calcio-scommesse, spaccio di coca, donnine e bella vita. Incalzato da inquirenti e creditori, si nasconde a Malindi, ma è ossessionato dall’eccessiva esuberanza vegetale, animale e umana, dall’opprimente clima afoso e dalle piogge torrenziali dell’Africa equatoriale.
Senza arte ne parte, trova modo di sopravvivere grazie a uno dei tanti faccendieri italiani del luogo che lo ingaggia per spiare una donna, Daina, tanto spregiudicata sessualmente, quanto cinica e avida. Ma è solo un’illusione: Pierangeli inizierà il suo gioco su una scacchiera sempre più fitta di mosse a sorpresa, ignaro dell’intrigo in cui fatalmente verrà travolto.
A insinuarsi nelle trame con intelligenza e tenacia c’è anche un commissario di polizia locale, Madiga, idealista e africanista, consapevole del brodo di coltura della corruzione che sta marcendo la sua Africa, fra post colonialisti e indigeni compiacenti.
La narrazione incalzante e nervosa porta in primo piano altri spregevoli personaggi senza scrupoli, crimini e soprusi – dal commercio di organi umani a quello di scorie tossiche (chi si ricorda di Port Koko?) – in una nefasta ma anche beffarda deriva del racconto.
Dopo tre opere noir, rivolte al passato e a tormentati retroscena umani e politici della sinistra italiana, Guido Pasi ci propone ora la visione di un’umanità globalizzata, senza confini ma perdutamente spietata e immorale, che ha come epilogo una crudele e sanguinaria ecatombe shakespeariana. Dove non c’è scampo per nessuno. O quasi.