Daniele Giorgi e l’interpretazione musicale, fra rigore delle note e gesto vitale

Memorabile concerto del musicista e direttore con l’Orchestra Leonore e Ivanov solista al piano, al teatro Alighieri di Ravenna

Concerto Giorgi Ivanov RavennaQuello di cui si sente sempre più la mancanza nel mondo ormai intorpidito della musica classica (e non solo, direi) sono le idee. Daniele Giorgi, direttore d’orchestra, violinista, camerista, compositore, ma soprattutto musicista nel senso più completo che a questa parola si può dare, idee ne ha, da vendere.
In effetti anche la stessa Orchestra Leonore, ospite al Teatro Alighieri di Ravenna a inizio dicembre con Giorgi sul podio e il bravissimo Emanuil Ivanov al pianoforte, nasce da una sua idea, l’idea di un far musica come gesto vitale unico e irripetibile, alieno da ogni routine, con un’attenzione ai problemi che la partitura pone davanti all’interprete, un’attenzione a quei dettagli che il sistema del mercato musicale non permette più di curare.

Daniele Giorgi è una figura anomala nel panorama dei direttori contemporanei, è un musicista ”d’altri tempi”. Quando lo si vede dirigere è impossibile non cogliere la profondità di un pensiero, la chiarezza di un discorso che non ha bisogno di bacchetta per essere comunicato (e infatti Giorgi non la usa). E sicuramente questo pensiero viene colto dai musicisti che accettano con entusiasmo di venire a far musica con lui, provenienti da orchestre blasonatissime di tutta Europa, perché con lui si può davvero tornare a fare musica avendo come obiettivo la bellezza.

Infatti il curatissimo suono dell’orchestra, senza dubbio di livello “europeo” (è doverosa una menzione alla qualità dei legni), è l’espressione diretta di un pensiero preciso. Non siamo più abituati a sentire qualcosa di nuovo in una sinfonia di Beethoven, a stupirci di un passaggio che non avevamo mai notato. O, nel caso questo avvenga, spesso è perché qualche direttore (giovane o meno giovane) sta cercando qualcosa da fare diversamente dal solito, la “svolta interpretativa”, la novità a tutti i costi di cui nessuno sente la mancanza.

La Sinfonia n. 6 op. 68, Pastorale che abbiamo ascoltato al Teatro Alighieri aveva invece dei tratti nuovi ma necessari, e soprattutto bellissimi. Qui emerge l’interprete: Giorgi interpreta, tutto quello che fa lo trae dalla partitura, senza bisogno di riferimenti a tradizioni, o peggio a “mode’”, la Pastorale, nonostante l’appeal popolare, è forse dal punto di vista interpretativo la più difficile sinfonia beethoveniana. In essa si alternano episodi narrativi ad altri in cui la spinta “drammatica” della musica si ferma in contemplazione di un’immagine, che è naturalmente un’immagine sonora. In quei momenti il tempo si sospende, e al piacere del fluire della forma e dei motivi – al piacere di seguire una “storia” – subentra il piacere della contemplazione del suono in sé, che si rivela ricchissimo. Statico ma allo stesso tempo in continuo movimento.
Daniele Giorgi passa dai momenti narrativi a quelli di sospensione del tempo senza che se ne abbia la percezione, e proprio in questi ultimi si compie la magia. Il direttore fa cenno all’orchestra di ascoltare, di ascoltarsi, e i musicisti lo fanno, come se fossero in un ensemble di musica da camera. In questi momenti (in particolare nel secondo movimento, e nella transizione tra il temporale e il finale) Giorgi ci restituisce una sinfonia nuova, suoni che sembrano guardare al futuro, una Pastorale del tutto beethoveniana ma trasfigurata, improvvisamente affiorano dettagli sorprendenti, e si vorrebbe che questi momenti non finissero mai.

Anche il Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 1 composto nel 1831 da un Mendelssohn ventiduenne è stato interpretato in modo esemplare da Imanuil Ivanov, già premio Busoni nel 2019. Ivanov, che ha all’incirca gli stessi anni che aveva Mendelssohn quando componeva il concerto, ha doti tecniche assolutamente fuori dal comune, grande controllo del suono, una grande sensibilità e la carica di energia da ventenne che il concerto richiede.
L’intesa con il direttore Giorgi e con l’orchestra è totale, morbidissime le frasi dell’orchestra nel secondo movimento. Il virtuosismo estremo, che in certi momenti (e con certi interpreti molto attenti a far vedere quante note devono fare) può far risultare questa composizione meno interessante di quanto sia in realtà, viene cavalcato dall’abilità di Ivanov con uno slancio tale, che l’intero concerto vola via in un soffio. Bellissimo il terzo movimento in cui in certi momenti il suono della miriade di note del pianoforte si appoggiava come una polvere sul suono dell’orchestra creando un caleidoscopio di colori che anticipa soluzioni che si sarebbero viste diversi decenni dopo. Entusiasmante.

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