Mariani: «Il primo vero direttore d’orchestra d’Italia era un ravennate».

Parla Andrea Maramotti, autore del libro sul grande musicista dell’Ottocento, «primo wagneriano del nostro Paese», celebre anche per il litigio con Giuseppe Verdi: «La goccia che fece traboccare il vaso fu la prima di Aida al Cairo».

Angelo MarianiIn occasione della conferenza organizzata dall’Università per Adulti di Ravenna  – 1 marzo al Mar, con il critico musicale  Piero Mioli, Carmela Bongiovani del conservatorio “Paganini” di Genova e il musicologo Andrea Maramotti – dedicata al bicentenario della nascita del musicista Angelo Mariani pubblichiamo questa intervista, per l’appunto, a Maramotti, autore di una ponderosa biografia di Mariani pubblicata nel 2021.

Ci sono certi nomi che, ai ravennati, suonano assai familiari come, ad esempio Narsete o Atalarico, legati ai fasti dell’Impero Bizantino. Con questi nomi, la città, grazie all’odonomastica, mantiene viva la memoria storica, azione sempre cruciale per un popolo, oggi ancor di più vista la quantità di informazioni alla quale si è costretti. Passeggiando nel centro ci si può, quindi, imbattere in nomi che hanno segnato la storia della città (e del mondo, perché no).
Chissà se qualcuno si è mai imbattuto nella via Angelo Mariani chiedendosi chi fosse quest’uomo e perché il teatro più importante della città campeggi proprio su questa strada. A questa curiosità (e a molte altre) risponde il bel libro di Andrea Maramotti dal titolo emblematico Angelo Mariani – Un grande musicista dell’Ottocento per i tipi ravennati di Longo Editore.

Maramotti, innanzitutto, chi era il ravennate Angelo Mariani?
«È stato il primo vero direttore d’orchestra in senso moderno in Italia. La nascita di questa figura nel nostro Paese avviene nell’arco del ventennio ’50 -’70 dell’Ottocento. Ci sono state, sicuramente altre figure importanti, ma la compiutezza del ruolo anche negli aspetti mediatici e non solo in quelli squisitamente tecnico-musicali la si deve a lui, tanto che di questo suo primato ce ne dà notizia Mariani stesso, nella sua autobiografia in forma di lettera a Giulio Ricordi del 1866».

Quindi, lavorando in quel determinato periodo storico in Italia, si può dire che fosse concentrato sull’opera lirica, proprio al suo massimo splendore?
«Certamente la maggiore parte delle sue energie era impiegata nel teatro musicale, ma non solo, ad esempio viene ricordata una celeberrima interpretazione dell’Eroica di Beethoven. Aveva, come diremmo oggi, un repertorio piuttosto ampio poiché non diresse soltanto gli italiani quali Verdi, Rossini, Bellini, Donizetti, ma anche gli stranieri iniziando da quel Meyerbeer il cui Roberto il diavolo era un cavallo di battaglia di Mariani».

Non si è fermato li, però, giusto?
«Giusto. Tanti i compositori francesi che si giovarono della sua bacchetta: Auber, Halévy, Gounod tra i tanti. In più Mariani ebbe un altro primato, fu il primo wagneriano d’Italia. 1° novembre 1871, Teatro Comunale di Bologna, la storica prima del Lohengrin, prima rappresentazione di un’opera di Richard Wagner in Italia. A questa seguì, l’anno successivo, il Tannhäuser che rimase l’ultima opera wagneriana diretta da Mariani poiché il 13 giugno 1873 sopraggiungerà la morte a metter fine alle sofferenze dovute alla malattia».

Angelo Mariani LibroEra, quindi, a contatto con tutto il fermento artistico di quel periodo?
«Fu un grande epistolografo, ci sono rimasti molti carteggi, quello con Giuseppe Verdi, ovviamente, quello con Carlino Del Signore (suo caro amico genovese), con Eugenio Tornaghi (della casa editrice Ricordi), con Giulio Ricordi. C’è poi una parte privata che si ritrova negli scambi con Teodorico Landoni e Gaspare Martinetti Cardoni, suoi grandi amici romagnoli. In particolare, il secondo si occupava di mantenere i contatti con la sua famiglia a Ravenna alla quale Mariani provvedeva economicamente».

Era un giramondo oppure alla fine si fermò?
«Di occasioni ne ebbe tante, ma alla fine rimase tra Genova, dove era il direttore dell’orchestra del Carlo Felice, e Bologna, in cui dirigeva le famose stagioni autunnali del Comunale. Da questi documenti, inoltre, emerge come anche un artista di statura titanica possa essere fragile. Mariani era un uomo tendenzialmente insicuro, certamente non era fatto della stessa pasta di Verdi. Due personalità completamente diverse che, alla fine, sono entrate in conflitto. Sulla ricezione del Mariani uomo, purtroppo, ha influito, a mio giudizio, la figura di Verdi che di fatto addossò le colpe della fine del loro rapporto su Mariani».

Doveva essere lui a dirigere la prima di Aida al Cairo, giusto?
«Questa fu la classica goccia che fece traboccare il vaso e che diede il là alla rottura del rapporto tra i due musicisti. La questione è assai intricata, con diverse incomprensioni tra i due, ed ebbe termine al ristorante Concordia di Genova. Beffarda ironia…».

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