domenica
14 Settembre 2025
arte

Gio Ponti, il geniale architetto e designer che ha segnato la storia del Paese

Al Mic di Faenza una mostra di oltre 200 opere in ceramica (e non solo) realizzate nell'arco di più di cinquant'anni

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L’orgoglio nazionale, quello che non scatta guardando le partite alla Tv o ascoltando l’inno di Mameli, ci pervade davanti alle creazioni multiple di una persona geniale come Gio Ponti (1891-1979), architetto, designer, fondatore di riviste, direttore artistico di linee e brand nazionali che ha segnato la storia del Paese. Un maturo ritratto fotografico dello storico alfiere milanese del Made in Italy nel mondo accoglie il visitatore in apertura a Gio Ponti. Ceramiche 1922-1967, la bella mostra del Mic di Faenza dedicata alle opere ceramiche realizzate nell’arco di più di 50 anni.

L’aspetto bonario di Gio(vanni) – uscito in ritardo dal Politecnico di Milano a causa della Prima guerra mondiale e fortunatamente ritornato a casa dal fronte – non inganna perchè per ottenere e creare tutto ciò che gli viene riconosciuto non basta l’abitudine a lavorare sempre, compreso i sabati e le domeniche. I livelli raggiunti si spiegano solo con la presenza di intelligenza, di una cultura “amorosa”, come Gio la definiva, e col buonsenso, le qualità per lui necessarie a essere un buon architetto. Contro la moda dell’attimo a favore di creazioni che superano il tempo: è forse questa la massima che guida lo stile di Ponti in un lavoro di squadra con artigiani, artisti, creativi, architetti di generazioni precedenti, coeve, più giovani.Alessandro Mendini, a cui Gio passerà le redini della rivista internazionale Domus che aveva creato e ancor oggi va in stampa, lo definisce il padre di tutta l’architettura italiana, anche per coloro che ne hanno preso le distanze.

La mostra di Faenza curata da Stefania Cretella raccoglie più di 200 opere fra ceramiche, per la maggior parte, ma anche arredi e oggetti di design in altri materiali che permettono di comprendere la versatilità e i lasciti del maestro. Divisa in 15 sezioni, l’esposizione segue un andamento cronologico e affronta diversi nuclei tematici, in modo da chiarire nodi e passaggi stilistici, soggetti particolarmente amati e ripresi nel tempo ma anche collaborazioni con ditte e città, con artisti e artigiani, fino a comprendere gli omaggi e le citazioni del suo lavoro da parte delle generazioni contemporanee. In questo senso la consistente presenza di opere provenienti dal Museo Ginori della manifattura di Doccia a Sesto Fiorentino, attualmente chiuso, ha concesso prestiti eccezionali per illustrare la prima fase di attività di Ponti, quando fu il direttore artistico della ditta dal 1923 al 1930, proseguendo successivamente la collaborazione in modo saltuario.

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Il Busto di donna (1923) progettato da Ponti e realizzato dallo scultore Gigi Supino apre la mostra chiarendo come questo soggetto tradizionale sia tradotto in un linguaggio raffinato, elegante e asciutto. Dall’amore verso la classicità Ponti deriva ritmi, proporzioni, temi e decorazioni per uno stile potente e tanto apprezzato da creare quella che è denita la linea “neoclassica” del Decò italiano. Ciste, otri, coppe in produzione per Richard-Ginori derivano forme e soggetti dall’artigianato e dalla cultura visiva di etruschi e romani: imperdibile anche per Claudia Casali, direttrice del Mic, è La casa degli efebi (1924-25), un vaso impressionante per il volume e per la decorazione di impossibili prospettive architettoniche classiche abitate da figure maschili che sembrano derivare dall’immaginario sinuoso di Beardsley, l’illustratore scomparso giovanissimo quasi tre decenni prima. La scelta di lavorare su pochi colori di contrasto – oro su nero, oro su bianco, sabbia su un brillante blu notte – si avvia da scelte classiche e dall’intercettazione di precedenti esperienze moderniste: la passione per il nero dei buccheri etruschi si accompagna al bianco puro preferito nelle creazioni di Charles Rennie Mackintosh. Ma ad animare i motivi c’è anche lo studio dei grandi portali di Sebastiano Serlio e le inquietanti muse metasiche di De Chirico, che negli stessi anni adescavano l’immaginario dei Surrealisti parigini.

 

Come Raffaello è stato in grado di cogliere le novità di stile e soggetto dal passato e da artisti contemporanei inserendo e amalgamando tutto in un nuovo stile innovativo, personale, autonomo, Gio Ponti è una sorta di spugna in grado di assorbire le novità che vengono rimesse in gioco nel proprio inconfondibile stile. Le mani possono essere quelle di vari scultori – Libero Andreotti, Italo Griselli o Salvatore Saponaro – ma le idee trasformate in animali, figure allegoriche classiche o incredibili servizi da tavola, fra cui quello inviato a tutte le ambasciate italiane (1926- 27), provengono dalla sua fervida fantasia.

Amante di una progettazione globale degli spazi e dei particolari di arredo, Ponti pensa anche a produzioni di massa: l’idea di una bellezza globale alla portata di tutti include sia l’attenzione al dettaglio operato dalla Wiener Werkstätte e da vari autori Art Nouveau che la progettualità lantropica di William Morris. Dal 1927 Gio diventa una delle anime della Biennale di Monza e poi di Milano, crea con altri il gruppo di Labirinto per la progettazione di mobili di lusso, progetta con Emilio Lancia la linea Domus Nova per la Rinascente, fonda la rivista Domus e traccia nuovi soggetti come le Dame bianche di Doccia della ne degli anni ‘40, omaggi silenziosi ai personaggi di Savinio e ai manichini surrealisti. Alcune sezioni raccontano le multiple collaborazioni con artisti e artigiani che stima e di cui ammira conoscenze tecniche e operosità delle mani: è quanto accade anche a Faenza dove torna più volte stringendo legami con Pietro Melandri e Riccardo Gatti. Se si pensa alle collaborazioni nazionali – fra cui Antonia Campi, Guido Gambone, Piero Fornasetti –, alle mostre organizzate e gli articoli su Domus e Stile per altri architetti, designer, artisti e artigiani, o alla stima per le generazioni successive – vedi Alessandro Mendini, Ettore Sottsass – allora il genio e la generosità di Gio Ponti meritano veramente quel sentimento orgoglioso di appartenere alla stessa cultura.

“Gio Ponti. Ceramiche 1922-1967”; MIC Faenza; 
fino al 13 ottobre 2024; orari: ma-do e festivi 10-19;
biglietto 14/11 euro

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