martedì
17 Giugno 2025
L'intervista

Alessandro Gori: «La mia comicità? Un atto libero, selvaggio, esoterico»

Parla "Lo Sgargabonzi", autore di sette libri e ospite di “Manualetto” a Ravenna con Eraldo Baldini

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9.Alessandro Gori

Alessandro Gori, conosciuto online anche come Lo Sgargabonzi, è uno degli scrittori e performer più interessanti della scena nazionale. Dal 2005, anno dell’apertura del suo blog, a oggi, l’ascesa di Gori è stata continua e impressionante, collezionando collaborazioni con alcune delle riviste più importanti del Paese (Linus, Rolling Stone, Snaporaz), trasmissioni televisive (Una pezza di Lundini, Battute?), e arrivando a pubblicare ben sette libri. L’ultimo è Gruppo di leprecauni in un interno, uscito pochi mesi fa per Rizzoli Lizard.

Domenica 29 settembre, alle 21, Gori sarà ospite del festival Manualetto (qui il programma), per un incontro più unico che raro: un tandem di lettura dal vivo assieme alla gloria locale Eraldo Baldini. L’incontro è a ingresso libero.

In un’intervista di qualche tempo fa mi dicevi che fare lo scrittore non è mai stata la tua prima ambizione. Spesso dici anche di non leggere molto. Per te la scrittura è un lavoro come un altro? È faticosa o ti viene naturale?

«Scrivere mi viene naturale, ma non mi dà nessun piacere. Trovo sempre una scusa per rimandare o fare altro. Quello che mi piace e mi motiva è il risultato finale. Non ho mai sognato di fare lo scrittore né tantomeno il comico. I libri che ho letto in vita mia stanno sulle dita di quattro mani. Da grande appassionato di musica, mi sarebbe piaciuto fare il musicista ma sapevo di non averne le qualità. Rispetto a quello che avrei voluto fare ho scelto quello che sapevo di saper fare».

Con Rizzoli Lizard, dal 2022 a oggi, hai pubblicato un libro all’anno. Si ha l’impressione di stagione creativa molto felice per te. È così? Per un autore esiste la paura di pubblicare troppo?

«Non forzo mai le cose. Non scrivo mai direttamente per la pubblicazione e mai su commissione. Scrivo solo quello che so scrivere e pubblico solo quando ritengo un libro perfettamente cesellato. Ogni racconto deve essere un diorama perfetto, ma perché lo sia devi lasciarlo decantare. Negli anni, di diorami ne ho accumulati un po’: nel mio ultimo libro ci sono racconti che ho scritto quasi vent’anni fa. Voglio che ogni libro sia al suo massimo potenziale. Deve ambire a essere come uno dei primi tre album degli Oasis: un classico, un ordigno perfetto, senza riempitivi. Anche se non ho mai amato Bring It On Down, dal primo disco».

Parlaci del tuo nuovo libro, Gruppo di leprecauni in un interno. Come hai selezionato i racconti del libro? C’è un filo conduttore?

«È una sorta di manuale di caccia, dove snido e metto alla berlina molti di quelli che ritengo essere demoni minori del nostro contemporaneo. Costumi, retoriche, cose o persone ammantate da una qualche presentabilità di facciata, anzi spesso molto amate. Mi diverto a spegnere la macchina del fumo e svelarne il trucco. È il mio libro più satirico, scatologico, adolescenziale, irriverente e arrapato. Un inferno dantesco gioiosamente impresentabile. Con un paio di oasi dove riprendere fiato: la Riviera Romagnola e Pietro Pacciani».

Una volta per tutte: che cos’è un leprecauno, e come è diventato un tuo marchio di fabbrica?

«Sono agenti del caos del folklore irlandese. Questi gnomi un po’ imbolsiti e ridicoli, tutti impettiti e vestiti eleganti, con panciotto, cilindro e pipa in bruyere, che ti viene voglia di ribaltarli con una schicchera come briciole da un tavolaccio».

In questo libro c’è un pezzo che si intitola Trattatello definitivo sulla Riviera Romagnola. Il tuo amore per i nostri lidi è ben noto e risale alla tua infanzia. Come hai visto cambiare la Riviera in questi anni, sempre ammesso che abbia la capacità di cambiare

«Purtroppo l’ho vista cambiare in peggio. Per esempio, la mia amata Milano Marittima è molto diversa dalla località da Dolce Vita che era negli anni ‘80 e ‘90, quando era piena di famiglie, turisti tedeschi e olandesi, negozi di gente del posto e variegate occasioni di svago. Oggi il centro è in mano ai grandi marchi e somiglia a quello di qualsiasi città. Hanno chiuso librerie e arene estive per aprire gioiellerie e negozi d’abbigliamento che durano tre stagioni. Non esiste più nemmeno un ristorante dove mangiare bene a prezzi popolari. La tavola calda “Al Momento” e la gelateria “Ottocento” sono rimasti gli ultimi baluardi di quel mondo irripetibile. È finita anche la stagione delle discoteche. Quest’anno i pochi giovani che ho visto in giro parevano gli zombi di Romero al supermercato. Si aggiravano barcollanti senza sapere che fare, perché non trovavano più pane per i loro denti. Bene così».

Claudio Giunta, tra i più importanti critici in Italia, ha fatto gli elogi della tua scrittura. È un bel traguardo. Secondo te in Italia c’è ancora l’idea che il comico sia uno scrittore minore rispetto a quelli seri, o meglio seriosi? In generale, come vivi l’etichetta “comico”? Come una gabbia o ti senti a tuo agio?

«Mi va benissimo, anche perché la comicità ha una grande autorevolezza ai miei occhi. A patto che non la si intenda in ginocchio dinnanzi al pubblico e che non abbia la missione precipua di far ridere o, peggio ancora, far riflettere. Io intendo la comicità come un atto libero, selvaggio, esoterico e misterioso anche per chi lo compie, ai confini con l’astrazione, come una macchia di colore d’un quadro di Pollock. Fino a che pensiamo alla comicità come una macchina generatrice di risate, sarà sempre intesa come mero artigianato, una chill out zone dove attardarsi prima di tornare a fare quello che conta nella vita. E invece no: nella vita conta solo la comicità».

Scrivi a volte racconti cinici e violenti per ridicolizzare il cinismo e la violenza della nostra società. Non hai paura che questa tua maschera possa essere scambiata per la tua natura?

«Mi piace che ci sia questa ambiguità ed è attivamente cercata. Se il mio intento dovesse essere chiaro e calligrafico, creerei con gli artigli spuntati e ne uscirebbero giocattoli innocui».

Il pezzo più estremo che tu abbia mai scritto?

«Il Pifferaio di Hamelin, ad oggi inedito. Sarà nel mio nuovo spettacolo».

A tal proposito, da ottobre sarai in tour con Leprecauni Show. Passerai anche per Ravenna?

«Non per adesso, ma mi farebbe piacere, quindi aspetto la chiamata. Poi ho un sogno: avere il vostro (in realtà faentino) Alessandro Ristori ospite sul palco o anche solo in platea. Di Ristori apprezzo il mondo, la purezza, l’integrità. Sono un suo grande estimatore».

In questo tuo ultimo libro hai inserito un racconto in sei parti, intitolato “Romanzo di formazione”, che rappresenta un po’ il telaio dell’opera. Ti sei sempre trovato a tuo agio con i racconti brevi; con questo lavoro pari avvicinarti alla forma romanzo. È così? A quando un romanzo di Gori?

«In realtà Bolbo, il mio secondo libro, scritto insieme a Gianluca Cincinelli, era un romanzo, anche se aveva la forma della decostruzione dello stesso. Ma non penso che scrivere un romanzo sia un salto di qualità rispetto a scrivere racconti. A me piacciono le scene madri e mi annoiano gli snodi, i momenti di passaggio. Scrivere un libro di quaranta scene madri mi dà una soddisfazione impagabile».

A Manualetto, quest’anno, sarai a tu per tu con quello che definisci il tuo scrittore italiano preferito, Eraldo Baldini. Cosa ti piace della scrittura di Baldini, e quali sono i suoi libri preferiti?

«Lessi Gotico Rurale sotto l’ombrellone, in un’estate caldissima, e tanto rabbrividii leggendo il racconto Il Gorgo Nero. Di Baldini mi piace la visione disincantata che ha del breve tempo che abbiamo su questa Terra e la pietà che nutre per l’Uomo. Poi non è uno che se la racconta, né te la vuole raccontare. Mentre leggevo L’Uomo nero e la bicicletta blu avevo la necessità impellente di conoscerlo di  persona, l’aspirazione di diventarci, almeno un po’, amico. Oltretutto avevo intuito quanto fosse divertente dal vivo e, pure lui, quanto fosse vicino al bambino che era stato. Nell’ultimo anno ci siamo conosciuti e abbiamo comunicato spesso. Quando mi ha fatto i complimenti per un mio libro, per me è stato meglio che limonare con una svedese».

Qui una nostra recente intervista a Eraldo Baldini

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