Una testimonianza: «Con i voucher o il contratto a chiamata è solo più facile sembrare in regola, ma il nero rimane…»
«Ho cominciato una decina di anni fa – ricorda – in un locale della città e devo dire che quella è stata l’esperienza peggiore, dal mio punto di vista. Avevo un contratto a chiamata, mi pagavano due ore in regola e il resto in nero. È andata avanti così per anni: potevano farmi un contratto ma dicevano che c’era la crisi…». La paga era di sei euro all’ora, solo l’ultimo anno è aumentata di un euro.
Sul litorale all’inizio non è andata meglio: «Uno dei miei datori di lavoro sapeva che avevo bisogno di lavorare e se ne approfittava. In una stagione ho guadagnato 5.500 euro, facendo i conti significava cinque euro l’ora». Inizio estate da irregolare nei weekend, poi contratto part time ma orario in realtà pienissimo, fino a 12 ore al giorno. A settembre i giorni ufficiali di lavoro erano troppo pochi e la disoccupazione ridotta non arrivava: «Non avevo le ore sufficienti».
Dopo qualche anno arriva un nuovo datore di lavoro, sempre stagionale, e questa volta qualcosa cambia: «Le ore di lavoro continuavano a essere tante ma almeno mi avevano fatto un contratto a tempo determinato con una base ufficiale dignitosa e un fuori busta di qualche centinaia di euro. Alla fine riuscivo a guadagnare circa 1.700 euro al mese anche se gli straordinari non erano pagati. Così sono riuscita ad avere i requisiti per accedere alla disoccupazione. Una miseria, certo, ma meglio di niente».
Mai firmato un contratto a tempo indeterminato? «No». Favorevole o contraria ai voucher? «Non mi sono interrogata troppo: hanno dei pro o dei contro ma io li ho sempre visti, da lavoratrice, come una cosa negativa. Il nero lo fanno in tanti ma con i voucher e i contratti a chiamata è più semplice sembrare in regola».