Dal mare alla tavola, tra leggi e controlli

La filiera del pesce è sorvegliata dalla Capitaneria. In Regione quasi 1.800 imbarcazioni registrate. Ogni porto ha una sua peculiarità: molluschi a Goro, alici a Cesenatico e Porto Garibaldi, cozze a Ravenna

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Ispezione della Guardia Costiera a bordo di un peschereccio nell’Adriatico

Dal momento in cui esce dall’acqua al momento in cui arriva sulla tavola pronto per la prima forchettata, il pesce deve essere accompagnato da una documentazione che tenga traccia di tutti i passaggi della filiera, sia durante il trasporto a industrie dove può subire lavorazioni e sia se passa direttamente alla vendita al dettaglio. La descrizione del prodotto avviene con apposita etichettatura disciplinata da dettagliate norme nazionali e europee che consente di verificare la zona di pesca di provenienza, la specie (scientifica o commerciale) pescata, l’attrezzo con la quale è stata pescata ed il nome dell’unità che lo ha pescata  e  se trattasi di pescato fresco o allevato. Le informazioni arrivano dalla capitaneria di porto di Ravenna a cui ci siamo rivolti per conoscere le principali disposizioni che regolamentano il settore. Ecco le informazioni messe a disposizione dall’ottavo Ccap (Centro controllo area pesca) della direzione marittima dell’Emilia Romagna.

«La pesca professionale è una disciplina ben regolamentata e soggetta a continui aggiornamenti normativi in risposta alle disposizioni dell’Unione Europea in particolare per la prevenzione e la repressione della cosiddetta pesca illegale, oltre alla protezione di determinate specie ittiche, come il Tonno Rosso e Alici, e il controllo del cosiddetto “sforzo pesca” inteso come tonnellaggio e potenza motore delle unità da pesca dedite a tale attività».
Per lo svolgimento dell’attività è necessario utilizzare imbarcazioni che devono essere iscritte in appositi registri navali tenuti dalle capitanerie di porto e devono avere una licenza rilasciata esclusivamente dal ministero dell’Agricoltura che abilita alla professione entro una determinata distanza dalla costa e con specifici e dettagliati attrezzi. Il personale imbarcato deve essere iscritto ai registri della “Gente di Mare” tenuti dalle capitanerie di porto dopo aver superato determinati esami fisici ed attitudinali ed essere in possesso di requisiti morali. In aggiunta devono poi essere iscritti in un registro dei “Pescatori Marittimi” tenuti dalla sezione pesca dell’autorità marittima. «In Emilia Romagna attualmente risultano iscritte 1.790 unità di cui circa 1.300 dedite alla acquacoltura, la raccolta dei molluschi bivalvi (vongole e cozze) e pertanto non dedite alla pesca professionale».

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Ispettrice della Guardia Costiera durante un controllo in un ristorante

Ogni porto dell’Emilia Romagna ha una sua peculiarità peschereccia. Goro è dedito storicamente – considerata la sua posizione geografica che affaccia sulla Sacca di Goro nel Delta del Po –  all’acquacoltura per l’allevamento di molluschi bivalvi. Porto Garibaldi, Cesenatico e Rimini invece hanno flotte pescherecce che svolgono un’attività prevalentemente improntata sula pesca dei piccoli pelagici (alici e sardine che nella zona dell’Adriatico settentrionale godono di normativa ad hoc che regolamenta le giornate di pesca consentite e la quantità di prodotto pescato). Ravenna ha una realtà di unità da pesca dedite alla raccolta di cozze. In tutti questi porti come in quelli di dimensioni inferiori vi è sempre una realtà di piccola pesca che viene effettuata normalmente sotto costa con nasse, reti da posta e tramagli.
Il personale militare delle capitanerie effettuano controlli, anche in sinergia con i veterinari delle Ausl, non solo nei mercati ittici ma anche nelle pescherie e nei ristoranti: «Durante l’attività di controllo sulla filiera pesca si è riscontrato negli anni che le principali violazioni riguardano una errata compilazione dei documenti di bordo relativi al pescato, all’esercizio dell’attività di pesca effettuata sotto costa o in aree non consentite come la zona denominata “area del Poligono di tiro di Foce Reno”, pesca con attrezzi non consentiti o in zone vietate e tempi vietati. Non si sono riscontrati episodi eclatanti di violazioni delle norme, ritenendo che ciò sia da attribuire, comunque, ad un ceto peschereccio che nel corso degli anni ha adottato una “pesca responsabile” e sostenibile sempre attento alle dinamiche per la tutela della risorsa ittica».

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