Edilizia, i sindacati proclamano lo sciopero: situazione ancora drammatica

Il settore non conosce ripresa e in difficoltà sono soprattutto le grandi aziende del territorio che continuano a ridurre il numero dei dipendenti

Conferenza Stampa Ediliok(1)

Mentre in molti settori si celebra una certa ripresa, nell’edilizia la luce in fondo al tunnel sembra ancora lontana. Per quello che per anni è stato considerato il “settore traino” in grado di muovere investimenti nell’indotto, i numeri parlano chiaro: dal 2007 al 2017 gli operai iscritti alla Cassa Edile sono calati di quattromila unità. Erano 6.354 nel 2007, sono 2.392 quest’anno. Un calo continuo, senza una minima inversione di tendenza nel decennio. Una situazione che ha portato i sindacati a proclamare lo sciopero, fissato per il 18 dicembre. Con lo sciopero nazionale si chiedono al governo risposte sulla situazione dell’edilizia e su alcune questioni aperte, come quella delle pensioni o di un sistema di sanità integrativo per il settore. Sul tavolo, poi, alcune questioni storiche come la lotta al lavoro nero.

Dati cassa edile

Dati cassa edile forniti dai sindacati

La situazione provinciale La tabella evidenzia come dal 2007 a oggi la diminuzione dei lavoratori edili attivi in provincia sia pari al 62,35%, ma – sottolineano Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil che oggi, 18 novembre, hanno tenuto una conferenza stampa sul tema – il dato più preoccupante è che si accentua il trend di calo rispetto all’anno precedente, infatti in un solo anno si sono persi 166 addetti pari al 6,5%. «Questi numeri sono confermati anche dal calo delle ore lavorate che da un anno all’altro è stato del 5%. Quasi stabile invece il numero delle aziende edili della provincia con almeno un dipendente che passa da 495 a 479. E’ evidente che sono soprattutto le grandi aziende storiche del territorio, quelle con molti dipendenti, che hanno maggiori difficoltà. Le prime 10 aziende per numero di occupati passano da 658 a 551 addetti complessivi».

Le situazioni più emblematiche sono proprio nelle grandi aziende con la cancellazione da un anno altro di due di quelle che erano importanti realtà. La prima è la Galileo Pasini (32 dipendenti) messa in liquidazione dell’azienda a ottobre 2016. La seconda è Iter (68 dipendenti nell’anno edile 2015/16, ma oltre 400 negli anni passati). I sindacati sottolineano che «proprio oggi scadono i 18 mesi di trattamento speciale edile a cui avevano diritto i lavoratori dell’Iter, licenziati il 18 maggio 2016, come previsto dal piano concordatario. Molti di loro non hanno ancora trovato una occupazione».

Ci sono poi «altre situazioni problematiche non sono evidenziate da questi dati ma entreranno nelle statistiche nel prossimo rapporto: ad esempio i 66 licenziamenti di Acmar effettuati a maggio del 2017 e i 20 licenziamenti previsti dall’accordo di mobilità della Cmcf di Faenza. L’elenco delle piccole aziende che hanno chiuso o licenziato sarebbe infinito».

Per le organizzazioni dei lavoratori «ha inciso profondamente in questo progressivo processo di indebolimento del tessuto produttivo locale anche la presenza sempre più “ingombrante” di aziende edili non radicate sul territorio, che, in molti casi, hanno un approccio meno rigoroso al rispetto di tutte le norme e le prassi che regolano il mondo dell’edilizia. In molti casi le aziende più spregiudicate si aggiudicano le gare di appalto in provincia a scapito di aziende più “virtuose” grazie al meccanismo del massimo ribasso e poi si dileguano (ad esempio attraverso fallimenti “pilotati”), lasciando i lavoratori senza retribuzione e senza la possibilità di far valere i propri diritti».

A ciò si vanno ad aggiungere le storture del mercato del lavoro causate da un uso spregiudicato delle norme. «Si va dalla diffusione preoccupante del fenomeno delle “false partite Iva”, per il quale non esistono dati statistici puntuali ma la cui estensione emerge dal costante monitoraggio del territorio da parte delle categorie, al ricorso massiccio ai voucher, fortunatamente vietato dalle ultime normative nel settore edile, che hanno reso incontrollato e incontrollabile un settore in cui da sempre il rispetto della legalità, della sicurezza e dei diritti dei lavoratori possono essere molto difficili da rivendicare».

Un ruolo importante per il rilancio del settore sarebbe dovuto arrivare dal pubblico con lavori di riqualificazione e pubblica utilità e i relativi appalti conseguenti, «ma purtroppo ci sono alcuni casi emblematici che ci dicono il contrario. Sicuramente le politiche di austerità che hanno portato una stretta alla possibilità di “investimento” degli enti locali e il blocco nella cantierabilità dovuta all’introduzione del codice unico sugli appalti sono stati un impedimento nei nuovi lavori in questo periodo. Ma anche i pochi appalti che sono partiti hanno riscontrato diverse problematiche: rotonda sulla Ravegnana, ponte sulla San Vitale, palazzo in via Berlinguer con nuovi uffici comunali per non parlare dell’appalto di Hera sulle manutenzioni della rete. Speriamo che la firma delle “Linee di intesa su appalti e legalità”, avvenuta il 9 novembre in Comune a Ravenna, sia l’avvio di una nuova fase e venga estesa a tutte le realtà provinciali».

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