Presidio dell’associazione nella località dove ha seguito la vertenza sindacale di un immigrato che si è dimesso perché sfruttato
In sintesi la vicenda di John, nome di fantasia, è quella di un profugo ospitato in un centro di accoglienza di Cesena e poi finito a Rimini alla casa Don Gallo. Alla fine di marzo scorso ha cominciato a lavorare per un bagno di Lido di Classe. Un mese in nero e poi da maggio il contratto così descritto dal Cobas: insolvenza del salario, straordinari fissi non retribuiti, oraio di lavoro 70/80 ore settimanali, mancato giorno libero, umiliazioni e vessazioni verbali. Verso la fine di giugno, avendo ricevuto solo acconti e non ancora i completi pagamenti, John decide di lasciare il posto di lavoro e di dimettersi per giusta causa. Inizia così la sua vertenza sindacale. «Dopo l’azione repentina della nostra organizzazione sindacale e dell’avvocato Fabiola Grosso, le denunce agli enti preposti, John ha ricevuto il pagamento solo delle spettanze imputabili alle ore ordinarie previste dal contratto (40 ore settimanali) ma non degli straordinari fissi (altre 40 ore settimanali) che lui ha svolto, ne dei mancati giorni liberi».
Ma il caso di John è solo un esempio di quanto accade in un settore «accomunabile a quello dell’agricoltura, se consideriamo le condizioni di lavoro e la paga prevista di 2,50/3 euro all’ora». Adl Cobas invita tutti i lavoratori e le lavoratrici immigrate e italiane a difendere i propri diritti nel lavoro e «soprattutto nel settore turistico dove circola tanto denaro ma le disuguaglianze e i ricatti sono sempre più crescenti e non c’è un sistema di welfare (alloggi) e di promozione della salute e della sicurezza pensato specificatamente per questa tipologia di lavoratori e lavoratrici».