«Sempre meno occupati e più precari: Ravenna deve puntare sull’industria»

La segretaria della Cgil Marinella Melandri: «Il turismo invece non porta valore aggiunto. L’alluvione ha dimezzato le giornate di lavoro in agricoltura, ci saranno conseguenze»

Cgil Ravenna Roma

«Era davvero da tanto tempo che non mi capitava di rispondere che non ci sono più posti nei pullman per partecipare a una manifestazione. Credo sia un segnale di una rinnovata voglia di partecipazione, dopo anni di individualismo estremo». Ce lo diceva Marinella Melandri, dal 2020 segretaria provinciale della Cgil di Ravenna, alla vigilia della manifestazione nazionale del sindacato del 7 ottobre a Roma, con 9 pullman e altre centinaia di persone partite in treno e in auto dal Ravennate per “difendere e attuare la Costituzione, i suoi valori e i suoi principi”, contro «l’autonomia differenziata che divide il paese e contro la riforma costituzionale che introduce il premierato con legge maggioritaria, sottraendo il valore del Parlamento».

Melandri, il “merito” è del Governo?
«Anche, sì. Perché se da un lato c’è un Paese anestetizzato, dall’altro c’è chi sta prendendo coscienza di certe scelte e di quanto potranno incidere sulla nostra società e non vogliono restare solo a guardare».

Parlando di lavoro, quali sono le priorità sulle quali il Governo dovrebbe intervenire, secondo lei?
«La vera emergenza è la sicurezza sul lavoro. La tragedia di oltre tre morti al giorno non è accettabile. E su questo aspetto non c’è stata alcuna risposta da questo governo. L’altro tema poi è l’emergenza salariale: in Italia abbiamo gli stipendi che hanno perso maggiore potere d’acquisto in Europa negli ultimi vent’anni».

Cosa ne pensa della battaglia del “salario minimo” rilanciata poche settimane fa anche da Elly Schlein alla festa dell’Unità?
«Diciamo che ha il merito di aver messo il  tema al centro di un dibattito. Il salario minimo è indispensabile ma da solo può essere controproducente e va accompagnato a una serie di provvedimenti a sostegno della contrattazione, che in Cgil abbiamo sempre pensato potesse “bastare”, mentre invece oggi la diffusione del precariato ha indebolito anche questo esercizio. Ma senza soglia minima e senza regole il rischio è che possano proliferare contratti pirata, sottoscritti da sindacati di comodo».

Qual è dal vostro osservatorio la situazione del mondo del lavoro in provincia?
«In questi anni – e il trend è confermato anche nel primo semestre del 2023 (con circa 800 contratti di lavoro in meno, rispetto al primo semestre del 2022, ndr) – prosegue una riduzione dell’occupazione come lavoro dipendente e si accelera il processo di precarizzazione. Ci sono sempre meno occupati, in pratica, e tra gli occupati sono sempre meno quelli a tempo indeterminato».

C’è chi dice che sono i giovani a non volere più il posto fisso…
«La verità è che fanno molta fatica a trovare un lavoro regolarmente remunerato e adeguatamente riconosciuto. E quindi si accontentano di quello che offre il mercato, spesso un contratto a chiamata, senza nessuna prospettiva. Stiamo assistendo anche alla riduzione dei contratti di apprendistato, che erano invece utili. È vero che i giovani hanno una propensione a un maggiore dinamismo, sono più propensi a fare esperienze di diverso tipo, ma il loro è un precariato involontario, glielo assicuro».

È difficile trovare lavoratori, come spesso lamentano le imprese del settore industriale?
«È vero che spesso l’offerta non è coerente con la domanda. Ma va detto che altrettanto spesso l’impresa cerca personale già formato, senza volersi prendere l’impegno in prima persona. Il tema si sta affrontando, trovando anche soluzioni, non solo a scuola, però, dove credo sia più corretto formare le persone dal punto di vista umano, non solo lavorativo. Meglio specifici percorsi post diploma, come stanno nascendo».

Anche da queste parti vanno deserti i concorsi pubblici?
«Sicuramente sono cambiati i tempi. Oggi non è più appetibile il lavoro nella pubblica amministrazione, soprattutto per le lauree professionalizzate, dove è più redditizio lavorare in proprio. Questo dice molto sul disinvestimento che nel tempo è stato fatto nel pubblico».

A livello locale quali sono le criticità più importanti?
«Innanzitutto ci sono criticità enormi nel comparto agricolo, che è difficilmente controllabile. Abbiamo sentore di lavoro nero, ma non abbiamo evidenze, e quando le abbiamo facciamo denuncia. Servirebbe un potenziamento dell’ispettorato del lavoro. È un settore con ancora una forte presenza straniera e c’è poca consapevolezza delle regole. Con l’alluvione le cose sono peggiorate e ci è stata comunicata una riduzione del 50 percento delle giornate lavorative: ci saranno effetti anche nell’indotto. C’è poi il turismo con il suo contesto di precarietà e di scarso rispetto delle regole. In questo campo serve un salto di qualità: il nostro modello di accoglienza non regge più. La Riviera romagnola sta scaricando i prezzi bassi (rispetto alla concorrenza) su chi lavora».

Qual è la situazione al porto?
«Il tema degli appalti e dei subappalti è sempre complicato da affrontare, ma abbiamo alle spalle un lavoro ultradecennale che ha coinvolto tutti i soggetti e che ha dato frutti importanti. Ora quel modello sarebbe da esportare  in Marcegaglia e al petrolchimico. Ma se al petrolchimico c’è comunque una consapevolezza importante, in Marcegaglia questa manca. Si tratta di un lavoro pericoloso, in uno stabilimento con alta concentrazione di appalti e molto turnover di personale. Noi abbiamo notizia quasi settimanalmente di incidenti, ma l’errore umano va prevenuto. È importante per noi essere stati ammessi come parte civile al processo per l’ultimo infortunio mortale: potremo comprendere e conoscere quali sono gli elementi che non hanno funzionato».

Cosa ne pensa del settore dell’energia e dell’offshore? Siete favorevoli ai discussi progetti del rigassificatore e della cattura e stoccaggio di Co2?
«Il tema della salvaguardia dell’occupazione in questo comparto è ormai quasi passato, ormai è ridotta al lumicino. Qui oggi il tema è invece quello della prospettiva. In una realtà come quella ravennate che vuole e deve essere industriale – perché abbiamo visto come il turismo non sia in grado di creare valore aggiunto – è necessario evolvere verso un modello industriale di avanguardia. Un modo per riconvertire manodopera in settori qualificati che danno valore aggiunto al territorio e trattamenti economici importanti a chi ci lavora. L’impianto di cattura di Co2 è un’opportunità per ridurre le emissioni, anche se non è l’unica soluzione da perseguire. In alcuni settori, quelli cosiddetti hard to abate è difficile immaginare ora fonti alternative e serve quindi puntare sulla transizione tecnologica per salvare i posti di lavoro. Così come il rigassificatore: se è vero che c’è un’emergenza gas, dove lo estraiamo non cambia molto: almeno qui ci sono già competenze, ci saranno nuovi posti di lavoro e non disperdiamo ulteriore gas nel trasporto».

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