sabato
15 Novembre 2025

Si schianta in auto contro un albero: un 33enne al Bufalini

È successo all’alba in via Trieste, alle porte di Ravenna

Un uomo di 33 anni è stato trasportato d’urgenza al Bufalini di Cesena dopo essersi schiantato contro un albero all’alba di oggi (14 settembre) in via Trieste, all’altezza dell’azienda Micoperi. Non ci sono altri mezzi coinvolti.

Per cause in corso di accertamento da parte della polizia locale intervenuta per i rilievi, il 33enne, alla guida di una Dacia Sandero in direzione Ravenna, avrebbe prima sbandato a sinistra, per poi concludere la propria corsa uscendo di strada a destra, contro un albero.

Durante le operazioni di soccorso, l’uomo è rimasto sempre cosciente ma è stato trasportato con il codice di massima gravità in elicottero al Bufalini di Cesena.

Esce dal carcere il 78enne che ha ucciso la moglie: ai domiciliari dalla sorella

L’uomo si è detto consapevole e pentito. «L’ho fatto per alleviarle il dolore». La donna era malata di Alzheimer

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Enzo Giardi, il 78enne che lunedì ha ucciso la moglie Piera Ebe Bertini nella loro villetta di via Lolli, è stato scarcerato e, su disposizione del giudice, ora si trova agli arresti domiciliari a casa della sorella. Nel frattempo, è stata eseguita l’autopsia sul corpo della donna, che ha confermato la causa della morte per annegamento, senza rilevare segni di violenza.

Lo scrivono i due quotidiani in edicola oggi, 14 settembre.

Giardi, ex bancario in pensione, deve rispondere di omicidio volontario aggravato dal rapporto coniugale e dalla minorata difesa della vittima. Lunedì, poche ore prima il programmato trasferimento in una struttura di assistenza, ha annegato nella vasca da bagno la moglie 77enne, affetta da tempo da Alzheimer, malattia che era ormai giunta a uno stadio avanzato.

L’uomo ha dimostrato davanti al giudice di essere consapevole del gesto, di cui si sarebbe pentito, dicendosi disperato, dopo che nei giorni scorsi aveva dichiarato di averlo fatto «per alleviarle la sofferenze».

Schianto all’incrocio: muore una donna di 62 anni

La vittima, Laura Galassi, abitava a Montaletto, vicino al luogo dell’incidente

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È morta in un incidente a pochi chilometri da casa la 62enne Laura Galassi, di Montaletto di Cervia. Il sinistro è avvenuto nella mattinata di ieri, 13 settembre, nella campagne di Bagnile, nel Cesenate ma lungo il confine con la provincia di Ravenna. La donna si trovava alla guida della sua Volkswagen Polo quando, all’altezza dell’incrocio tra via San Giorgio e via Pozzo, si è schiantata contro una Renault Capture con al volante un 20enne di Savignano. L’impatto laterale è stato fatale per la 62enne, che all’arrivo dei soccorsi era già morta. Praticamente illeso invece il 20enne.

Laura Galassi era molto nota in zona. In passato era stata segretaria di Radio Incontro, dove aveva conosciuto e poi sposato il dj Antonio Ravegnini, con il quale ha avuto il figlio Matteo.

Notte d’oro: visite guidate ai mosaici e ai palazzi storici di Ravenna

Aperte le prenotazioni per il weekend del 12 e 13 ottobre

Vsita Guidata Classense
Una visita guidata alla Classense

In occasione della Notte d’Oro, che si terrà sabato 12 ottobre, con in piazza lo spettacolo comico di Giacobazzi e iMasa, sarà possibile partecipare a diverse iniziative particolari, tra le quali lo Speciale Mosaico di Notte, l’evento dedicato alla scoperta dei mosaici che caratterizzano la città.

Inoltre, domenica 13 ottobre, in seguito al grande successo degli scorsi anni, saranno in programma le visite guidate a edifici storici di grande rilevanza, eccezionalmente aperti al pubblico. Tra questi, il Palazzo della Provincia, la Biblioteca Classense, la Residenza municipale, il Palazzo della Prefettura e il Molino Lovatelli.

Due gli itinerari di visita guidata per lo Speciale Mosaico di Notte, di sabato 12 ottobre, alle 21, con due finali diversi. Il primo prevede la visita alla Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, al Battistero Neoniano e alla Domus dei Tappeti di Pietra, il secondo si conclude al Museo Nazionale. Gli itinerari sono a pagamento e su prenotazione.

Domenica 13 ottobre la giornata è dedicata alla scoperta di Palazzi storici di Ravenna:

  • il Palazzo della Provincia, che sorge sul luogo dell’antico palazzo della famiglia Rasponi, risalente al XVII secolo e fu realizzato su progetto dell’architetto piacentino Giulio Ulisse Arata e dell’ingegnere Gioacchino Luigi Mellucci. Sarà visitabile dalle 10 alle 12.30, ingresso gratuito, su prenotazione;
  • la Biblioteca Classense è ospitata all’interno di un monastero camaldolese, eretto a partire dal 1512. Il complesso è considerato un vero e proprio gioiello architettonico e artistico tanto da richiamare ogni anno centinaia di visitatori curiosi di ammirarne gli spazi e i tesori conservati. Sarà visitabile dalle 10 alle 12.30, ingresso gratuito,  su prenotazione;
  • il Palazzo della Prefettura, un tempo sede del Legato apostolico, sin dal XIII secolo, rappresentante stabile della Santa Sede in città, più volte oggetto di ristrutturazioni è sede della Prefettura dal 1863. Sarà visitabile dalle 10 alle 17, ritrovo sul posto, ingresso gratuito, non è richiesta la prenotazione. La visita sarà allietata da un momento musicale a cura degli studenti dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Giuseppe Verdi”;
  • la Residenza Municipale, conosciuta anche come Palazzo Merlato, oggi sede del Comune, un tempo della famiglia Da Polenta, ha subito nel corso dei secoli varie vicissitudini, tutte da scoprire durante la visita guidata dalle 15 alle 17.30, ritrovo sul posto, ingresso gratuito, non è richiesta la prenotazione;
  • il Molino Lovatelli, documentato fin dal 1237, è un importante esempio di archeologia industriale che parla della storia delle acque di Ravenna. Utilizzava, infatti, come fonte di energia le acque del canale del Molino, che derivava dal fiume Montone e che congiungeva trasversalmente quest’ultimo con il fiume Ronco. Sarà visitabile dalle 15 alle 17.30, ingresso gratuito, solo su prenotazione.

Info e prenotazioni: www.visitravenna.it

Alla scoperta dell’immaginario onirico nella storia dell’arte

Incontro pubblico con lo studioso di fama internazionale Victor Stoichita, sulla rappresentazione del sogno nella pittura, il 16 settembre alla Classense

Dossi La Notte (il Sogno)
Battista Dossi, “La notte (il sogno)”, Gemäldegalerie Alte Meister.

Si intitola “Rappresentare il sogno. Alcune sfide pittoriche” la conferenza pubblica dello studioso di fama internazionale Victor I. Stoichita, in programma alla Sala Dantesca della Biblioteca Classense di Ravenna, lunedì 16 settembre alle 17. L’esperto di storia dell’arte è ospite in città per una serie di lezioni e seminari per la cattedra “Corrado Ricci” del Diparttimento di Beni Culturali del Campus di Ravenna dell’Unibo, che si tengono fino al 20 settembre prossimo.
Il ciclo di incontri magistrali con Stoichita – dedicati al tema “L’officina dei sogni. Un’incursione nel mondo onirico della prima modernità” – è riservato agli studenti di Beni Culturali per l’anno accademico 2024-25 ed è curato dalla professoressa Lucia Corrain.
Critico e storico dell’arte romeno, Victor Stoichita, nato a Bucarest nel 1949, si è laureato in Storia dell’arte a Roma sotto la guida di Cesare Brandi, ha poi proseguito i suoi studi a Parigi, dove ha conseguito il Doctorat d´état ès Lettres alla Sorbone e a Monaco di Baviera. Professore emerito all’Universita di Friburgo in Svizzera, invitato all’Università della Svizzera Italiana, è membro dell’Accademia dei Lincei, Chevalier de l’ordre des Arts et des Lettres francese, membro dell’European Academy e membro associato dell’Accademia Reale del Belgio È stato visiting professor in vari atenei in Europa e Usa, ha svolto ricerche presso molte istituzioni internazionali e curatore di mostre.

De Ribera, Sogno di Giacobbe
Josepe de Ribera, “Sogno di Giacobbe”, 1639, Museo del Prado, Madrid

I suoi interessi di ricerca si concentrano prevalentemente sulla funzione delle immagini nella tradizione occidentale, in particolare nella pittura rinascimentale e barocca italiana e spagnola. Tra le traduzioni italiane delle sue opere si segnalano: L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea (Il Saggiatore 2023); L’ultimo carnevale. Goya, de Sade e il mondo alla rovescia (Il Saggiatore 2002); Breve storia dell’ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art (Il Saggiatore 2003); Cieli in cornice. mistica e pittura nel secolo d’oro dell’arte spagnola (Meltemi 2024); L’effetto Pigmalione: breve storia dei simulacri da Ovidio a Hitchcock (Il Saggiatore 2006); Effetto Sherlock. Occhi che osservano, occhi che spiano, occhi che indagano. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock (Il Saggiatore 2017); L’immagine dell’altro. Neri, giudei, musulmani e gitani nella pittura occidentale dell’Età moderna (La casa Usher 2019).

La conferenza alla Classense è aperta a tutto il pubblico, a ingresso gratuito e senza necessità di prenotazione.

Dal Far West alla guerra civile, i romagnoli “alla conquista dell’America”

Eraldo Baldini parla del saggio “Transatlantica” (curato insieme ad Alberto Pagani) con i racconti di personaggi, luoghi e imprese che videro protagonisti uomini e donne partiti per il paese delle libertà

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Un dettaglio della copertina del saggio Transatlantica

«Sono storie straordinarie, bellissime, fuori dal comune con personaggi strepitosi». Lo scrittore Eraldo Baldini lascia trapelare tutto il suo entusiasmo quando parla del libro in uscita oggi (13 settembre) a cui ha lavorato per anni: Transatlantica (Romagna e America), pubblicato da Il Ponte Vecchio.

Si tratta di un testo a più mani sul rapporto tra la nostra terra e gli Usa in cui l’antropologo e narratore firma, in particolare, i capitoli dedicati ai toponimi romagnoli sparsi nei vari stati a stelle strisce e ai romagnoli che hanno attraversato l’oceano Atlantico dai primi dell’Ottocento fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Le storie straordinarie sono infatti storie vere, spesso legate alla frontiera del West che tanto ha incantato e affascinato in primis il mondo del cinema e che Baldini ha ricostruito tramite un lungo lavoro di documentazione. E così per esempio scopriamo che la Ravenna di 15mila abitanti nell’Ohio prende il nome da uno dei fondatori che era stato in visita nella città dei mosaici. Nel Nebraska un’altra Ravenna fu fondata, non a caso, il 23 luglio e ancora oggi festeggia la data dedicata a Sant’Apollinare. Nel municipio della Ravenna del Kentucky campeggia una riproduzione di un mosaico di San Vitale. E cosa dire dei Sioux che accerchiano la appena fondata Ravenna del Minnesota, tenendola sveglia per due settimane con la “danza dello scalpo”? Del resto, le città americane con questo nome sono ben tredici, ognuna con una storia da raccontare.

Così come quella Imola dove doveva sorgere il più grande manicomio della California ispirato proprio al centro di ricovero romagnolo visitato per l’occasione dagli americani incaricati del progetto oltreoceano. Rimini invece dovrebbe essere ispirata a un’opera lirica dedicata a Francesca da  Rimini. E del resto l’opera corre anche in altri intrecci. «Marietta Alboni – ci racconta ancora Baldini – era una cantante lirica di Cesena che diventò un mito e tra chi non si perdeva un suo concerto c’era addirittura Walt Whitman. E altri cesenati, peraltro implicati in una vicenda di tradimenti amorosi riportati dalla stampa, frequentavano Washington e i palazzi del potere al tempo di Lincoln. Ma in generale troviamo tantissimi italiani dappertutto e molto prima della grande immigrazione di massa di fine Ottocento». Stando alle storie raccontate da Baldini abbiamo innanzitutto i missionari, che venivano formati nel seminario di Bertinoro. Tra questi va sicuramente ricordato il santarcangiolese padre Pasquale Tosi che arrivò fino alle Montagne Rocciose, si trovò a pochi chilometri da Little Big Horn ai tempi della celeberrima battaglia e fu l’autore del primo dizionario fra lingue “indiane” e inglese prima di trasferirsi addirittura in Alaska. Accanto ai missionari, neanche a dirlo, dalla Romagna partono alla volta degli Usa uomini motivati dalla passione politica per la libertà, in alcuni casi anche in risposta all’appello degli Unionisti (cioè dei “Nordisti”) durante la sanguinosa Guerra Civile americana (1861-1864). Fu il caso del giovane ravennate Giovanni Gordini, che là divenne caporale e fu ferito nella battaglia di Key Cross. Del resto, tra chi lottava contro gli schiavisti, c’erano le Garibaldi Guards e le Italian Legion con tanto di vessillo tricolore. «Questo deve stupirci fino a un certo punto – spiega lo studioso – se pensiamo che a New York c’era comunque una grande sezione della Giovine Italia dove approdarono anche il forlivese Pietro Maroncelli, il conselicese Foresti e il cesenate Guglielmo Gaiani».

Viaggi lunghi e perigliosi che si susseguirono nei decenni (abbiamo due vittime romagnole anche sul Titanic) e che qui vengono raccontati fino al 1950. «Abbiamo scelto questa data perché rappresenta in qualche modo uno spartiacque; da quella data in poi, con la Guerra Fredda, il Vietnam e il resto, sarebbe stato necessario assumere uno sguardo politico che qui non c’interessava». Le storie raccontate sono infatti quelle di uomini e donne che vanno verso un paese ancora in formazione che per molti di loro è luogo di libertà e di un possibile riscatto.

«Per me è stato un lavoro entusiasmante perché ho potuto unire l’amore e la passione per la cultura degli Stati Uniti, soprattutto nel periodo della frontiera, con la storia e la cultura della Romagna di cui mi occupo da sempre». Mai come in questo caso, si può dire quindi, un saggio che si legge come un romanzo. E anche ascoltare Baldini che racconta a voce alcune di queste storie è di certo un’esperienza da non perdere. Il primo appuntamento è a Russi alla Fira di Sett Dulur, stasera (13 settembre) alle 21 alla Biblioteca Comunale dove ci sarà anche Alberto Pagani, docente esperto di geopolitica, che ha curato insieme a Baldini il corposo volume, ricco pure di illustrazioni, che contiene anche testi di Mauro Antonellini, Andrea Baravelli, Giuseppe Bellosi, Dante Bolognesi, Gian Paolo Borghi, Guido Ceroni, Massimiliano Galanti, Rossano Novelli e Stefano Piastra

«Una notte d’inferno al pronto soccorso di Ravenna»

Si moltiplicano le denunce sullo stato del reparto dell’ospedale. L’ultima è di una donna arrivata in ambulanza dopo una sincope: «Sette ore su una barella senza essere considerata da nessuno, tra ragazzini ubriachi»

stazione ravenna sabato 7 settembre
Le forze dell’ordine in stazione, sabato 7 settembre

«Non sembrava Ravenna, sembrava Gaza». Un’esagerazione che rende però bene l’idea della situazione al pronto soccorso, in un racconto di una paziente trasportata d’urgenza in ambulanza attorno alle 23 di sabato scorso, 7 settembre, e poi riportata a casa dal marito 7 ore più tardi, sfinita, senza che nessuno le abbia prestato soccorso, costretta a restare stesa, a casa, anche per i giorni successivi in attesa del proprio medico di base.

Il suo è solo un altro racconto, l’ennesimo, che arriva dal pronto soccorso, dove i medici, come un po’ in tutta Italia, sono sempre troppo pochi. E le ore di attesa in proporzionale aumento.

«Ho avuto una sincope durante una cena a casa con alcuni amici – ci racconta la donna protagonista dell’ultimo episodio -, ho perso conoscenza e sono stata poi soccorsa dall’ambulanza del 118, chiamata da mio marito: sono arrivati due ragazzi che sono stati davvero bravissimi, professionali, premurosi, impeccabili. Mi hanno accompagnato al pronto soccorso perché hanno detto che nelle mie condizioni non avrei dovuto nemmeno camminare. Una volta arrivati, però, è stato il delirio». Decine e decine di barelle («almeno cento, secondo me») tra il triage e i corridoi. «A gestire il tutto, due medici giovanissimi, di cui non metto in dubbio la professionalità, ma sicuramente senza l’esperienza necessaria».

Alla paziente, dopo la sincope, è stata misurata la pressione. Poi basta, dimenticata. «Non è passato nessuno in 7 ore neppure per chiedermi se stessi bene. A fianco a me un’anziana era da 9 ore ad assistere il marito, in piedi, senza neanche una sedia. Entrambi più di 80 anni. Nessuno ha portato loro neanche un bicchiere d’acqua». Attorno alle 2.30 sembrava potesse arrivare il loro turno, ma a irrompere in un quadro già di per sé desolante sono «i ragazzi e ragazzini del sabato sera, tanti minorenni. Alcuni ubriachi, altri sotto stupefacenti, altri ancora feriti e sanguinolenti, con la polizia al seguito dopo risse in spiaggia. Uno scenario assurdo. Abbiamo avuto anche paura, perché un ragazzo era esagitato e ha iniziato a sbraitare».

Poche ore prima – come avevamo raccontato a questo link – in stazione erano intervenuti carabinieri e polizia per sedare una sorta di rissa tra minorenni, accalcati alla fermata dei bus, in ansia di raggiungere la spiaggia per un evento. Che ha portato così alcuni di loro a terminare la serata in ospedale. «Vengono fatti passare davanti a tutti noi – continua nel suo racconto la donna -. Dopo una sincope, pensavo almeno di essere sottoposta a un esame del sangue. O di “meritarmi” una flebo, ma niente. Alle 6 ho chiamato mio marito per farmi passare a prendere, pensando che tanto si fossero ormai dimenticati di me». Secondo la paziente «così, a occhio, in pronto soccorso sabato notte mancavano almeno 20 persone a lavorare, rispetto alle reali esigenze. Gli infermieri presenti, oltretutto, erano lì a tappare buchi, chiamati in emergenza da altri reparti, si percepiva chiaramente dai loro discorsi. Non credo che una città come Ravenna possa meritarsi una situazione del genere: la mia speranza è che il mio racconto e quelli molto simili di altri possano essere in qualche modo utili per migliorare la situazione».

La stessa Ausl fatica a nascondere i problemi. Per quanto riguarda i numeri di tutta la Romagna, la carenza dei medici di Emergenza-Urgenza è cronica: oltre il 30 percento del personale di pronto soccorso è scoperto, nonostante l’Ausl abbia espletato tutti i concorsi possibili, per l’esattezza 18 dal 2020.

Dante parla in “dialetto” senegalese con Pap Khouma: «I peccati sono universali»

Il giornalista e scrittore sabato 14 settembre agli Antichi Chiostri Francescani: «Sono arrivato in Italia da venditore ambulante. Episodi di razzismo? Tanti…»

Pap Khouma

Senegalese di nascita, italiano di adozione, Abdoulaye (Pap) Khouma nasce a Dakar nel 1957 e dalla fine degli anni ‘80 si stabilisce a Milano, dove lavora come giornalista dal 1995. Nel corso della sua carriera si è sempre occupato di cultura e letteratura, con una particolare attenzione ai temi dell’integrazione e della multiculturalità. Autore di tre libri, Io, venditore di elefanti (Garzanti, 1990) Nonno Dio e gli spiriti danzanti (Baldini Castoldi, 2005) e Noi italiani neri (Baldini Castoldi, 2010), è direttore e fondatore della rivista online italo-africana Assaman.

Khouma sarà ospite di Prospettiva Dante sabato 14 settembre, dove porterà negli Antichi Chiostri Francescani “Africa per Francesca da Rimini”, una performance basata sul V canto dell’Inferno dantesco tra lettura in lingua volgare e Wolof (lingua dell’omonima etnia senegalese), musica e canti africani. Interrompe le prove per rispondere all’intervista e in sottofondo, durante la chiamata, si sentono gli echi di sax e djembe.

Il suo intervento a Prospettiva Dante unirà la lettura della Commedia alla performance, cosa dobbiamo aspettarci?
«Stiamo lavorando duramente alla costruzione del pezzo, anche in questo momento. Porteremo in scena uno dei più noti e amati canti dell’Inferno. Non sono un attore, ma mi impegnerò nella lettura delle battute di Virgilio, accompagnato dall’attore senegalese Mohamed Ba, nei panni di Dante, dalla professoressa di italiano Raffaella Bianchi che interpreterà Francesca e dall’attore e musicista ivoriano Rufin Don Zeyenouin che accompagnerà la performance con djembe, maracas, sax e canti africani. Raffaella leggerà in italiano volgare, mentre io e Mohamed leggeremo la mia traduzione del canto in Wolof, la lingua più identificativa del Senegal».

Il pubblico potrà seguire i passaggi con una traduzione del testo in italiano?
«A questo non abbiamo pensato. Ci siamo concentrati sulla musicalità della lingua e sull’emozione che può trasmettere. Gran parte del pubblico della rassegna conoscerà bene il canto e crediamo apprezzerà il gioco di traduzione dal volgare alla lingua Wolof. Abbiamo scelto questo passaggio anche per il legame con Ravenna, incarnato nella figura di Francesca, che pensiamo renda il V canto ancora più più vicino ai cittadini».

Qual è il suo rapporto con Dante? Questo lavoro di traduzione nasce per la rassegna o fa parte di un progetto più grande?
«Sono estremamente affascinato da Dante, in particolar modo dall’Inferno. Non so quanti peccati devo aver commesso per sviluppare questa ossessione (ride, ndr). Il progetto di traduzione è nato nel 2021, quando in occasione del 700esimo anniversario della morte del Poeta ho partecipato alla lettura davanti alla tomba insieme a un altro ragazzo senegalese e a due ravennati: noi leggevamo in Wolof, loro in volgare. Poco dopo, ho presentato il progetto all’Istituto italiano di cultura di Dakar e ho visto un gruppo teatrale di ragazzi delle banlieue mettere in scena il mio testo. Da lì ho deciso di non smettere, e sono andato avanti nella traduzione. Non è un lavoro facile, richiede molto tempo: si dice che tradurre è tradire, ma cerco di restare il più fedele possibile all’originale nonostante la grande differenza linguistica. Rispetto le terzine ad esempio, ma non le rime, troppo complesse in lingua Wolof. Inoltre, essendo un linguaggio tipicamente orale, da quando il francese è la lingua ufficiale del Senegal, il Wolof ne ha subito molto l’influenza, prendendone in prestito termini e modi di dire. Io cerco di preservarlo nella sua purezza, trovandomi anche nel cuore della notte a inviare mail a Dakar cercando l’esatta traduzione di una parola».

C’è una sorta di universalità nella Commedia che vale la pena sottolineare con la lettura in diverse lingue?
«Certamente. Noi tendiamo sempre a sottolineare le differenze, perché è più facile, ma dovremmo iniziare a valorizzare le affinità. Non che le diversità siano un male, anzi, a patto però di non usarle per alimentare i conflitti. La cultura toscana di Dante del 1300 raccolta nella Commedia è inevitabilmente diversa da quella senegalese di oggi, così come lo è anche dalla stessa cultura toscana di oggi. Eppure è Dante stesso a dare universalità al testo: quando parla di peccatrici, affianca alla babilonese Semiramide la storia di Francesca da Rimini, fino arrivare in Africa da Cleopatra. In questo caso potremmo parlare di universalità del peccato… Anche come monito del fatto che non tutte le somiglianze sono positive, e non tutte le diversità negative».

Il concetto di diversità e affinità tra popoli è un nodo importante che la segue fin dall’inizio della sua carriera. Può raccontarci di più della sua storia?
«Sono arrivato in Italia all’inizio degli anni ‘80, iniziando a lavorare come venditore ambulante proprio sui lidi romagnoli. Ho sempre amato la lettura e il mio obiettivo principale è stato fin da subito quello di imparare la lingua. Mi sono interessato subito alla stampa, ogni volta che avevo un momento libero prendevo i giornali e cercavo di capire cosa succedesse nel Paese, e soprattutto, cosa si dicesse di noi immigrati. Sentivo di avere qualcosa da dire, così iniziai a scrivere in un linguaggio elementare, mischiando l’italiano al francese, e perfezionandomi di volta in volta. Nell’89 L’Europeo mi ha chiesto di realizzare un servizio sulla vita degli immigrati. Ho viaggiato da Torino a Catania, passando per Firenze, Venezia, Caserta, per raccogliere testimonianze e farmi raccontare la vita di queste persone senza essere ancora giornalista. L’anno dopo ho pubblicato un libro, Io, venditore di elefanti, scritto a quattro mani con Oreste Pivetta, dove raccontavo la mia storia. Da lì le collaborazioni con i giornali sono cresciute, sono andato “a bottega” tra le varie redazioni fino ad iscrivermi all’albo nel ‘95. Negli anni ho diretto anche una mia rivista letteraria, El Ghibli, nata nel 2003 proprio per promuovere la diversità e dare un’occasione di pubblicazione agli autori neo-italofoni che muovevano i primi passi nell’ambito, ma non solo. Negli anni sono stati pubblicati anche tanti nomi italiani, e i testi venivano tradotti in inglese, spagnolo e francese. Oggi purtroppo la rivista sta morendo, mancano i fondi e l’avvento dei social e dei blog ha dato a tutti un modo per “autopubblicare” i propri scritti. Sono molto affezionato al progetto e spero che trovi nuova linfa per sopravvivere».

Ci sono mai stati episodi di razzismo che hanno in qualche modo ostacolato la sua carriera?
«Di episodi di razzismo ce ne sono stati tanti, ne parlo approfonditamente nel libro Noi italiani neri. Uno tra i tanti, l’aggressione da parte di due controllori del tram, scesi appositamente dal mezzo per chiedermi il biglietto mentre camminavo nei pressi della fermata. Gli chiesi perché avrei dovuto mostrargli il biglietto, dal momento che ero un pedone, loro mi risposero che quella era casa loro e facevano ciò che volevano, per poi iniziare ad aggredirmi. In ambito lavorativo però non posso dire di avere vissuto esperienze analoghe. Credo che il settore culturale sia molto più aperto e votato all’integrazione. In tutti questi anni mi sono sempre sentito libero di pubblicare e di esprimermi liberamente, e questo è importante».

È cambiata oggi la percezione dello straniero rispetto a 40 anni fa?
«Direi di sì, ma in modo altalenante. La politica dopotutto “fa il suo pane” e lo stesso vale per la stampa. Questo non vale solo per la destra, ogni fazione fa i suoi interessi, ma alcune cose spaventano. La libertà di espressione è fondamentale, ma a volte leggo titoli di giornale che mi riportano indietro di tanti, troppi anni. Anche le dinamiche sono cambiate: mia figlia ride quando commento questi fatti iniziando con “ai miei tempi…” ma è proprio così. Ai miei tempi, davanti a qualche ingiustizia o episodio di discriminazione, prendevo in mano la penna e scrivevo la mia a un giornale. Oggi, con i social, ognuno ha il suo orticello e risponde per sé. Gli amici mettono like per dare supporto e la questione nasce e muore lì. Tutto sembra più fine a se stesso, si è un po’ perso il senso della critica sociale profonda necessaria al cambiamento».

Convinse un ravennate ad abbandonare le cure per un tumore, arrestata “guaritrice”

La donna era stata smascherata da “Striscia la Notizia” – VIDEO

È stata arrestata nei giorni scorsi Sara Duè, la sciamana riminese finita anche al centro di vari servizi televisivi (a Striscia la notizia) per le sue presunte qualità di guaritrice. A lanciare la prima accusa, sul piccolo schermo, la madre e gli amici del ravennate Massimo Mariani, morto di tumore a 46 anni dopo essere stato convinto dalla donna ad abbandonare le cure tradizionali. Qui sotto il servizio completo.

La donna è finita nei giorni scorsi agli arresti domiciliari – come disposto dal tribunale di Brescia – insieme a due suoi collaboratori. Dovranno tutti rispondere a vario titolo di esercizio abusivo di professione medica, truffa, lesioni personali, tentata estorsione e sostituzione di persona. L’operazione nasce dalla denuncia di due coniugi, genitori di un bimbo di due anni affetto da tumore, a cui la donna aveva offerto una cura alternativa dietro compenso di 1.500 euro (anche questa storia è stata documentata con vari servizi da Striscia).

Sui social, la donna si definisce “esperta di medicina quantistica, coach olistica sciamana”. A una finta paziente, inviata del programma televisivo con telecamera nascosta, aveva dichiarato che «i tumori sono tossine emotive e fisiche», che si curano «ma non con la chemio», «bisogna sfiammare e detossinare, in qualche mese va via». Secondo la donna «non ci sono malattie inguaribili, perché sono dovute a un disequilibrio fisico, psichico o energetico, basta riequilibrare». Il metodo che proponeva – anche al ravennate Mariani – è un «software quantistico che costa 60mila euro, arriva dall’America, ce l’abbiamo solo noi in Italia» che si connetterebbe «al tuo campo energetico e inizia a fare uno scanner».

Scuola, contributi per i libri di testo per studenti con Isee sotto i 16mila euro

Domande fino al 25 ottobre. Anche per le borse di studio

Libri Scuola

C’è tempo fino al 25 ottobre (ore 18) per fare richiesta di contributo per i libri di testo per l’anno scolastico 2024/2025: a beneficiarne sono studentesse e studenti iscritti alle scuole medie e superiori (secondarie di primo e secondo grado), con un Isee massimo di 15.748,78 euro.

La domanda va presentata esclusivamente online utilizzando l’applicativo messo a disposizione da Er.Go Scuola all’indirizzo https://scuola.er-go.it.

Non occorre dichiarare la spesa sostenuta, perché l’importo del beneficio, che sarà erogato direttamente dal Comune o Unione di Comuni di residenza dello studente, non è soggetto a rendiconto.

Borse di studio

È inoltre possibile presentare domanda, con le stesse modalità e con lo stesso requisito economico di accesso di Isee, per le borse di studio, che sono di due tipologie. Quelle finanziate con risorse regionali, erogate dalla Provincia di residenza dello studente e destinate ad alunni iscritti al primo e al secondo anno delle scuole secondarie di secondo grado del sistema nazionale di istruzione e al secondo e terzo anno dei percorsi IeFp presso un organismo di formazione professionale accreditato per l’obbligo di istruzione che opera nel Sistema regionale IeFp.

La seconda tipologia riguarda le borse finanziate da risorse statali: erogate con modalità che saranno comunicate dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, sono finalizzate a sostenere gli studenti in difficili condizioni economiche nell’acquisto di libri di testo, soluzioni per la mobilità e il trasporto e l’accesso ai beni e servizi di natura culturale. In questo caso, per evitare sovrapposizioni con le borse regionali, sono destinate a studenti iscritti all’ultimo triennio delle scuole secondarie di secondo grado del sistema nazionale di istruzione.

Importi dei contributi

La determinazione degli importi per tutti i tipi di benefici previsti, quindi sia contributi per libri di testo sia borse di studio, sarà effettuata in funzione delle effettive domande e sulla base delle risorse disponibili, dopo la validazione da parte delle Province/Città Metropolitana/Comuni dei dati degli aventi diritto, con priorità alle domande ammissibili rientranti nella fascia Isee 1 (Isee da 0 a 10.632,94 euro).

Per le borse di studio finanziate da risorse regionali gli importi potranno essere “importo base” e “importo maggiorato” del 25%, quest’ultima destinata a studenti che hanno conseguito nell’anno scolastico precedente la votazione media pari o superiore al 7 e a studenti con disabilità certificata ai sensi della legge 104/92, indipendentemente dal requisito del merito.

Chi può presentare domanda

Possono presentare domanda gli studenti e le studentesse nate a partire dal 01/01/2000 (il requisito dell’età non si considera per gli studenti con disabilità certificata ai sensi della legge 104/1992) che risultino: in possesso del requisito reddituale rappresentato dall’Isee del richiedente, in corso di validità; iscritti nell’anno scolastico 2024/2025  a scuole secondarie di primo e di secondo grado del sistema nazionale di istruzione; al secondo e terzo anno di Istruzione e Formazione Professionale presso un organismo di formazione professionale accreditato per l’obbligo di istruzione che opera nel Sistema regionale IeFp alle tre annualità dei progetti personalizzati di Istruzione e Formazione Professionale presso un organismo di formazione professionale accreditato per l’obbligo di istruzione che opera nel Sistema regionale IeFp.

Il giovane rapper cervese Djomi apre X Factor con quattro “sì” – VIDEO

Il primo concorrente di X Factor 2024 – la cui prima puntata è andata in onda ieri sera (12 settembre) su Sky e piattaforma Now – è stato un giovane rapper cervese, il 22enne Domenico Pini, in arte Djomi.

E nonostante le perplessità iniziali del più “severo” tra i giudici del talent, Manuel Agnelli, è riuscito ad accaparrarsi subito 4 “sì” della giuria nelle audizioni. Accompagnato dalla nonna definita “Indiana Jones di Cattolica”, il rapper ha portato un remix di Beggin’ di Madcon, di cui ha riscritto una parte. Qui sotto il video della sua esibizione.

Yuri Ancarani al Festival del cinema di Venezia con il suo lavoro per la Juventus

Il nuovo corto del regista ravennate commissionato da Artissima e dal club bianconero e girato tra Allianz Stadium e Hana-Bi, con Claudio Marchisio e il piccolo Leo Molduzzi

Mirko Toniolo
03/09/2024 Venezia. 81 Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica, l’arrivo in darsena dell’Hotel Excelsior di Claudio Marchisio, Yuri Ancarani e Luigi Fassi

L’acclamato regista e videoartista ravennate Yuri Ancarani ha presentato nei giorni scorsi al festival del Cinema di Venezia il suo ultimo lavoro, commissionato dalla Juventus e dalla fiera Artissima (in particolare la sezione Junior dedicata ai bambini). Si tratta di un cortometraggio di pochi minuti dal titolo Il tappeto verde, dedicato ai sogni dell’infanzia, in risposta al tema della 31esima edizione della fiera torinese di arte contemporanea, “The Era of Daydreaming”.

Il video è stato presentato al Giffoni Film Festival lo scorso luglio e dopo la tappa veneziana sarà visibile allo stand di Artissima Junior dall’1 al 3 novembre al Lingotto di Torino.

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Realizzato questa estate, il cortometraggio porta in scena una sorta di ponte tra il terreno di gioco dell’Allianz Stadium di Torino – con protagonista l’ex calciatore, bandiera della Juve, Claudio Marchisio – e la spiaggia di Marina di Ravenna, con il piccolo Leo Molduzzi che sogna il campo da calcio tra le dune e i lettini del bagno Hana-Bi.

«Quando ho fatto il sopralluogo allo stadio della Juventus – ci racconta Ancarani – sono rimasto stupito dal fatto che non ci fosse ancora il prato nel campo, ma una distesa di sabbia. Ho quindi deciso di girare subito, seguendo nei giorni successivi l’allestimento del prato vero e proprio. La sabbia che c’è sotto l’erba mi ha fatto venire subito in mente la nostra spiaggia e l’idea di girare all’Hana-Bi è anche figlia del tifo per la Juventus del titolare, Chris Angiolini…».

Ancarani, invece, dice di non essere tifoso, né appassionato di calcio, nonostante in passato abbia girato una sorta di documentario anche su San Siro. «Quello di Milano è uno stadio completamente diverso (quello di Torino è di ultima generazione, ndr), che sembra uscito da Blade Ranner, o da Gotham City. Dovrebbe essere demolito…».

Per quanto riguarda i progetti futuri, dopo la sortita veneziana con l’acclamato lungometraggio Atlantide, ora Ancarani è impegnato in un’altra città molto cinematografica come Roma, in un nuovo progetto di cui ancora non si conoscono però i dettagli.

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