Il giro del mondo in bicicletta arriva in Argentina. Nel 2013 la partenza da Ravenna

Foto Magiojpg11Prosegue il viaggio dei fratelli Gondolini che dopo il Sudamerica nel 2018 esploreranno l’Africa, per poi tornare a Ravenna nel 2019

Dopo alcuni mesi pedalati in gruppo con amici, Giovanni e Francesco – i fratelli Gondolini – ci scrivono dall’Argentina. Si tratta del 42esimo Paese toccato da Giovanni, partito nel febbraio del 2013 da Ravenna per compiere il giro del mondo in bicicletta (insieme all’amico Marco Meini, poi fermatosi in Canada, dove ha messo su famiglia) e che ha raggiunto quota 60mila chilometri pedalati, attraverso quattro continenti.
Ci scrivono dopo essere stati circa tre mesi in Bolivia, dove si sono impegnati in una missione salesiana insieme anche ai genitori che li hanno raggiunti in Sudamerica per l’occasione, loro che già raccolgono fondi per le missioni dall’Italia.
Dal nord dell’Argentina, i due passeranno poi in novembre in Cile per poi tornare in Argentina verso Natale, diretti alla Patagonia prima della risalita nei primi mesi del 2018 verso Buenos Aires e poi Uruguay e Brasile. Sarà infine tempo di Africa, per poi tornare a Ravenna nel 2019.

 

Gallery immagini del Magio Bike Tour

MaGio TourAlla scoperta dell’operazione Mato Grosso in Bolivia

Il Sud America è quell’angolo di mondo in cui lo spirito missionario, da secoli, ha dato il meglio e il peggio di sé. In America Latina sono sorti migliaia di avamposti missionari originariamente prettamente cattolici e solo ora, seppur in minoranza, anche al seguito di altre organizzazioni non cristiane. Non mi è mai piaciuto il concetto della conversione delle altre genti. Il catechizzare gli altri, l’imporre al barbaro o l’indigeno il nostro credo religioso mi è sempre sembrato inadeguato. Non lo concepivo già ai tempi del catechismo quando ero adolescente. Ora proprio lo detesto. Il rispetto verso gli altri deve avere le basi anche nel rispetto dell’altrui credo. Ma queste sono le opinioni personali di un non credente.

Questa estate però, per conoscere meglio la realtà missionaria in Bolivia, abbiamo parcheggiato qualche settimana la bici per andare ad aiutare alcuni ragazzi locali. La missione che ci ha ospitato nacque quarant’anni fa grazie al gruppo dell’Operazione Mato Grosso. I primi volontari qui costruirono una chiesa, un piccolo ospedale e un oratorio per le genti che vivevano isolate nella foresta. Ora attorno a quelle tre opere sorge un paese.

Abbiamo conosciuto Silvana e Sergio, i due laici italiani responsabili del progetto e ci sono piaciuti subito, perché seppure la loro casa sorgesse all’ombra del campanile, il loro obiettivo, la loro missione appunto, non era quella di convertire. Silvana e Sergio davano alloggio nella loro casa a venti ragazzi tra i tredici e i diciotto anni. Vitto e alloggio per permettere loro un diritto primario e inalienabile. Il diritto all’educazione. Aiutano questi ragazzi con famiglie problematiche, non ad andare in chiesa, ma ad andare a scuola! Vedevo purezza nella dolcissima fede cristiana di questi due volontari, senza bigottismi o imposizioni. La preghiera prima del pasto durava un secondo mentre gli abbracci o l’ascolto che solo un papà e una mamma possono donare duravano 24 ore.

Arrivato lì con la presunzione di aiutare, ho scoperto alla fine di aver ricevuto molto più di quello che ho dato. Alla sera a tavola ero anch’io uno dei tanti figli, coccolato un po’ da un papà una mamma.

I rifiuti di plastica dell’Occidente abbandonati nelle periferie del sud del Mondo

MaGio tour

Mi chiedo se Giulio Natta vedendo ciò che noi viandanti troviamo ogni giorno per le strade, proverebbe ciò che un secolo fa provò Alfred Nobel, quando un necrologio scritto per errore lo accusava di essere un mercante di morte, invece che un grande inventore.

Mi immagino l’ingegner Natta mentre passa come noi attraverso le tonnellate di plastica che le città rilasciano dai loro sfinteri nelle periferie. Cosa ne penserebbe lui, uno dei padri inventori della plastica, al vedere cosa ne abbiamo fatto della sua geniale creazione? Si metterebbe le mani nei capelli? Si dispererebbe come il signor Nobel, che elaborò nel suo testamento l’idea dell’omonimo premio, per pulire la sua coscienza dinamitarda?
Ciò che mi infastidisce ancora di più è che il ricco occidente porta le sue innovazioni, come la plastica, nel sud del mondo, senza alcun libretto di istruzione e manutenzione. L’importante è l’affare. Il grande affare di oggi. Scordando sempre il disastro di domani.

Dall’altra parte però scopro con piacere che sono alcuni Stati africani ad essere all’avanguardia, proibendo senza eccezioni l’utilizzo di borse di plastica nei loro mercati: primo fu il Rwanda, nel 2006, seguito dal Senegal, e infine quest’anno anche dal Kenya.
Semplicemente vietati, punto. Mentre in Europa si redigono accuratissimi bilanci annuali su quanto si produce, quanto si ricicla, quanto si recupera ovvero quanto si brucia! Tutto sempre con grande attenzione a non danneggiare il produttore. Perché quello è sacro.
Mentre il mare non lo è più. O così sembra, visto che nel solo Mediterraneo vomitiamo ogni giorno più di 700 tonnellate di plastica.

E neanche gli oceani lo sono più. Visto che la sola Garbage Patch del Pacifico Settentrionale è stimata attorno ai 3 milioni di tonnellate di sola plastica. Nemmeno l’acqua che beviamo lo è più. Perché recenti studi della Orb Media di Washington mostrano che le microplastiche, in parte derivanti dai tessuti sintetici, sono persino lì.Non lo sono nemmeno i campi, i boschi, i parchi. Perché i viandanti lasciano buste di plastica e rifiuti anche lì.

Spesso mi contestano che senza le istituzioni e le leggi, il cittadino singolo possa fare poco e niente. Vero. Però penso che tutti insieme si possa creare una opinione pubblica capace di spingere la pesante macchina burocratica. E nel frattempo, anche se mi dicono che una busta in meno non salverà il mondo, continuo a ripetermi la frase di un piccolo grande uomo che veniva dall’India: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Poi chissà che qualche matto arriverà a pensare che si possano addirittura raccogliere tutti i rifiuti che galleggiano nell’oceano. Ah sì! C’è anche questo folle: il visionario americano Bryan Slat, che ha appena fondato l’impresa Ocean Cleanup, per realizzare la sua missione.
Allora arrivo ad essere quasi ottimista, pensando che le soluzioni esistano e siano realizzabili, ma dobbiamo metterle in atto in fretta, ognuno nel suo grande o piccolo mondo, prima che questa dinamite ci esploda tra le mani.

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