Pagani e la crisi politica: «Serve un progetto aperto per un nuovo centrosinistra»

Il deputato ravennate del Pd: «In parlamento continua il teatrino degli ultimi 80 giorni. Salvini in realtà voleva andare al voto il prima possibile»

PaganiAlberto Pagani, deputato Pd, ex segretario provinciale, oggi nella minoranza del partito, è stato rieletto il 4 marzo nel collegio di Ravenna. È stato tra i pochi dem rieletti nell’uninominale senza “paracadute”. Pagani è da sempre scettico verso i grillini e convinto che il Movimento 5 Stelle potesse andare al governo con la Lega da tempi non sospetti.

Lo sentiamo mentre è reduce dall’assemblea dei parlamentari che ha discusso della linea da tenere rispetto all’ipotesi del governo di Carlo Cottarelli dopo il fallimento del tentativo di governo giallo-verde naufragato con uno scontro istituzionale forse senza precedenti. Come noto il presidente incaricato Giuseppe Conte ha rimesso il mandato dopo il no del presidente Mattarella al nome di Paolo Savona al ministero dell’Economia per rassicurare i mercati date le posizioni assai critiche dell’economista sull’euro. Ma la situazione è quanto mai in movimento e ora sembra essere tornato d’attualità il Governo Lega-5 Stelle.

Pagani, quindi il Pd sarà l’unico in Parlamento ad astenersi su un eventuale governo Cottarelli?
«Saremmo stati anche pronti a votarlo, se ci fosse stato l’accordo tra tutti per un governo neutrale che potesse fare la legge di stabilità per evitare, per esempio, che a fine anno ci sia l’aumento dell’Iva. Ma visto che questo non accadrà, non può nemmeno passare l’idea che sia il governo del Pd, visto che così non è».
E la proposta di votare a luglio, arrivata proprio dalle file del Pd?
«Nasce dal fatto che votare in autunno non ci garantisce di avere un governo in grado di approvare la legge di stabilità entro l’anno. Diciamo che è una disponibilità. Per noi non sarebbe certo un vantaggio, ma potrebbe esserlo per il Paese».
Ma cosa state facendo in Parlamento?
«Senza una maggioranza è di fatto impossibile dare il via alle commissioni. Chi dice di voler avviare i lavori lo fa solo per fare propaganda, senza una vera utilità. Continua il teatrino degli ultimi ottanta giorni, purtroppo».
Che idea si è fatto di quanto accaduto al Quirinale sul caso Savona domenica scorsa?
«È successa una cosa accaduta anche in passato, più volte: il presidente delle Repubblica, che non è un notaio o un passacarte, ha fatto dei rilievi su uno dei nomi proposti per un ministero delicato come quello dell’Economia. Ma per la prima volta il suo rilievo non è stato accolto. Ed è impossibile pensare che non ci potesse essere un altro nome per garantire la realizzazione del cosiddetto contratto di governo, lo capisce chiunque».
Quindi perché Salvini e Di Maio non hanno ceduto?
«Perché Salvini cercava l’incidente per andare al voto prima possibile, per convenienza della Lega a danno di Berlusconi e dei Cinque stelle, soprattuto, mi pare evidente».
E pare aver ottenuto ciò che voleva. Questo strappo non rischia di rafforzarlo e quindi, paradossalmente, di ottenere l’effetto opposto a quello che il Presidente voleva evitare, ossia mettere in discussione la collocazione europea dell’Italia?
«È possibile, ma almeno ci sarà il vantaggio della chiarezza e gli elettori sapranno prima a cosa vanno incontro, mentre in questo modo sarebbe stato uno scivolamento verso l’uscita dell’euro senza dichiararlo».
Questo sembra un processo alle intenzioni, come dice lo stesso Savona. Non la preoccupa che il Presidente sia intervenuto facendo valutazioni politiche? Se al prossimo voto Lega e 5Stelle prenderanno il 60 percento e ripresenteranno il nome di Savona cosa potrebbe succedere?
«Non sono il Presidente e non sta a me rispondere. Come dicevo, ci sarà almeno una situazione di maggior chiarezza. Ma che Savona abbia teorizzato un piano per uscire dall’euro già nel 2015 è documentato. E in ogni caso il Presidente della Repubblica non può sottostare al diktat di un partito, nemmeno nella prima repubblica della partitocrazia succedeva».
In queste ora si parla della possibilità che torni in campo l’ipotesi Lega-5Stelle? Ci crede? Lo spera?
«Potrebbe essere, con aggiunta della Meloni, se riescono a incastrare Salvini, che le prova tutte per non farlo e andare a votare, che gli conviene».
Nessun rimpianto all’idea che a trattare con i 5 Stelle, che con la Lega si sono dimostrati più concilianti del previsto, non sia andato il Pd?
«Ho già detto che per ragioni di relazioni istituzionali un confronto non si nega a prescindere e che sarebbe stato utile andare a vedere cosa avessero da offrire. E poi è vero che la mia opinione su di loro non è basata su pregiudizi ma su un giudizio, li ritengo persone poco affidabili e con posizioni troppo diverse da noi. Prevedo che cambieranno idea ancora, più volte, su molte cose».
Il confronto con i grillini è stata una delle questioni su cui il Pd si è diviso. Il reggente Martina lo voleva, Renzi lo ha mandato all’aria in un’intervista tv. Ma chi comanda nel Pd adesso?
«Domanda chiara e diretta a cui non posso dare una risposta altrettanto chiara e diretta. Abbiamo organismi che sono stati votati all’ultimo congresso, nel 2017, e che rappresentano proporzionalmente le mozioni di allora, quando Renzi vinse con il 70 percento. Da allora e anche alla luce dell’ultimo risultato elettorale forse qualcuno ha cambiato idea e posizione, ma poiché non si è mai andati a un voto non mi è possibile affermarlo con certezza».
E secondo lei bisognerebbe andare alla conta prima del voto? Renzi ha detto che vuol fare il “mediano”…
«Mi pare una posizione apprezzabile. Bisogna fare una discussione seria in cui evidenziare quanto fatto di buono, ma anche ciò che non ha funzionato e come intendiamo correggere il tiro. È però evidente che se si va al voto a breve non ci sarà il tempo per un congresso. E ci troviamo davanti a una tale emergenza che la questione prioritaria è creare un fronte unito e unitario che coinvolga noi e altri e si riconosca su temi fondamentali come la Repubblica, l’Europa, la Nato per combattere il sovranismo filo Putin di Lega e 5 Stelle».
Ma così non rischiate ancora una volta di passare per quelli della conservazione contro il cambiamento?
«Non sempre il cambiamento è positivo, credo che prima di buttare via un progetto come quello europeo che ha garantito 70 anni di pace e progresso all’Italia ci sia da riflettere bene. Non possiamo affidarci solo agli slogan e divorziare dal raziocinio, è la morte della politica».
Se Renzi è mediano, chi deve fare il capitano? Zingaretti? Calenda?
«Prima deve nascere un progetto aperto, che coinvolga anche altri, oltre il Pd, e poi si penserà a chi può impersonarlo meglio».
Chi sono gli altri che il Pd deve coinvolgere? Gli ex di Leu?
«Penso soprattutto a quegli elettori che hanno votato 5 Stelle pensando di votare un’alternativa alla Lega e alla destra e che hanno poi scoperto che così non era, o a quelli delusi che non hanno votato. Ora è più chiaro che cosa ci aspetta a destra, e serve un nuovo centrosinistra».

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