Il consiglio comunale di Ravenna, nella riunione del 10 settembre, ha approvato – favorevoli tutti i gruppi a eccezione de La Pigna – un ordine del giorno che chiede al sindaco e alla giunta di sollecitare il governo Meloni per sbloccare il progetto Agnes che prevede l’installazione di 75 pale eoliche in mare al largo della costa, un campo fotovoltaico galleggiante, un impianto di stoccaggio a terra e un sistema per la produzione di idrogeno verde. Un investimento da due miliardi di euro capace di coprire il fabbisogno energetico di circa 500mila famiglie, corrispondenti alla popolazione della Romagna.
Sul fronte dei permessi, Agnes ha già superato la Valutazione di Impatto Ambientale (via) e attende l’autorizzazione unica. Ma l’intoppo è la mancata calendarizzazione delle aste per l’eolico e il fotovoltaico galleggiante nel decreto cosiddetto Fer2 pubblicato dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase). Si tratta del regime incentivante italiano istituito nel 2024 per supportare le rinnovabili innovative o con costi di generazione elevati. Per il 2025 è escluso l’eolico offshore: il testo del decreto fa riferimento a sole tre fonti delle dieci tecnologie contemplate dal decreto Fer2: fotovoltaico galleggiante, biogas e biomasse.
L’ordine del giorno – promosso dai consiglieri Chiara Francesconi (Progetto Ravenna), Luca Cortesi e Domenico Antonio Esposito (Partito Democratico), Igor Gallonetto (Movimento 5 Stelle), Nicola Staloni (Alleanza Verdi Sinistra), Andrea Vasi (Partito Repubblicano), Daniele Perini (Ama Ravenna) – sottolinea come l’esclusione dell’eolico offshore dai bandi previsti dal Fer2 sia «un errore strategico che penalizza in modo diretto la città di Ravenna, proprio mentre l’Europa chiede impegni concreti per la decarbonizzazione e la transizione ecologica».
I retroscena dicono che le aste siano in ritardo perché il governo vorrebbe individuare una formula che non esclusa i progetti di eolico galleggiante (Agnes invece è a pali fissi sui fondali) che si stanno rivelando più costosi e meno efficienti. L’ordine del giorno presentato dalla maggioranza esprime preoccupazione per le conseguenze di queste scelte: «Da un lato si ostacola l’innovazione in ambito energetico, dall’altro si favorisce l’espansione di impianti a terra in contesti territoriali spesso inadeguati o già saturi, come ricordato anche dalla Regione Emilia-Romagna».
Il sindacato Uil accoglie positivamente l’approvazione dell’ordine del giorno. «Sono bastati 120 giorni per concludere l’iter autorizzativo per il rigassificatore – è l’affondo di Carlo Sama, segretario provinciale – e non esistono scuse per non garantire tempi altrettanto celeri anche per il progetto delle rinnovabili al largo delle nostre coste».
Accanto alla spinta per le fonti rinnovabili, Uil ritiene oramai non più rinviabile la ripresa a pieno regime delle estrazioni di gas: «Su 62 miliardi di metri cubi di gas utilizzati in Italia solo 3 sono di produzione nazionale e siamo quindi costretti a massicce e costose importazioni dall’estero a costi decuplicati rispetto al gas presente nei nostri giacimenti. La recente intesa tra Stati Uniti e Italia sull’impegno all’acquisto di gas liquefatto dagli Usa a costi più elevati per trasporto e logistica comporterà un aumento di spesa per famiglie e imprese».
Un paio di anni fa il ministero dell’Ambiente ha fornito i dati relativi alle riserve nazionali di idrocarburi dividendole in riserve “certe”, dove l’estrazione con i mezzi e le tecniche attualmente disponibili è considerata sicura al 90%; “probabili”, che potranno essere recuperate con una probabilità superiore al 50%; e “possibili”, dove le probabilità di recupero sono inferiori al 50%. Al 31 dicembre 2021, in Italia erano presenti riserve certe per quasi 40 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui 22,1 miliardi in giacimenti terrestri e 17,7 miliardi in mare. A questi si aggiungono 44,4 miliardi di metri cubi di gas contenuti in riserve “probabili” e 26,7 miliardi di metri cubi in riserve “possibili”, per un totale di 111 miliardi di metri cubi di gas potenzialmente presenti in Italia. Per avere un ordine di grandezza, in Russia c’erano 37.400 miliardi di metri cubi, 32.100 in Iran e 24.700 in Qatar.