Tra le voci che da tempo cercano di accendere i riflettori su quanto sta avvenendo a Gaza c’è la parlamentare Pd ravennate Ouidad Bakkali che già nel 2024 partecipò a una missione a Rafah. Nei giorni scorsi ha per prima chiesto lumi al governo su quanto denunciato da Linda Maggiori rispetto al passaggio di armi dal porto di Ravenna senza autorizzazione e sul progetto Undersec, seguita a stretto giro di posta dal sindaco Alessandro Barattoni che ha inviato una lettera con una richiesta di chiarimento al ministro dei Trasporti Salvini.
Bakkali, rispondendo alle nostre domande, ci dice che rispetto a quell’interrogazione non si sono avute risposte, e che, più in generale «stiamo lavorando, sulla scia di quello che ha fatto la Spagna, affinché si possa discutere in modo articolato una mozione parlamentare in commissione Trasporti consapevoli che il tema “trasporto di armi” passa anche dalle commissioni Difesa, Finanze ed Esteri. Il punto è che va fatta chiarezza e ci sia certezza sul rispetto della Legge 185/90 che vieta le esportazioni verso Paesi in conflitto o che violano i diritti umani, e prevede il rilascio di licenze governative per le operazioni. Chiarimenti che oggi vengono legittimamente chiesti anche dai lavoratori portuali. Questo tema investe tutta la portualità italiana e questo è un momento estremamente delicato che va affrontato con la massima trasparenza. L’interrogazione sull’episodio specifico del 30 giugno vuole essere un punto di partenza ed è possibile che, per accelerare i tempi, diventi anche oggetto di un question time».
Bakkali era anche alla manifestazione organizzata il 6 giugno sulla spiaggia di Punta Marina a supporto della Global Sumud Flotilla (su cui è imbarcato anche un ravennate). «Si tratta di una mobilitazione dal basso che non ha precedenti nella storia contemporanea recente – commenta – e che ci fa capire innanzitutto l’immobilismo della comunità internazionale. La seguiremo con attenzione non solo per la portata storica dell’impresa, ma anche per la funzione di protezione che un’attenzione massiccia può avere, la stessa presenza di alcuni deputati (del Pd, di Avs e dell’M5s, ndr) vuole essere una sorta di scudo diplomatico, come fu a Rafah. Ma come abbiamo già visto con il drone che ha centrato la nave Family in acque tunisine (nella notte tra l’8 e il 9 settembre, per fortuna senza conseguenze per le persone a bordo, ndr) stiamo assistendo a una totale spregiudicatezza del governo israeliano nel produrre morte e nel perseguire un genocidio».
Bakkali parla di genocidio con convinzione: «Uso questa parola perché è ciò che sta succedendo secondo la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio del 1948, nominarlo aiuta a mostrare quanto di disumano sta succedendo e a usare questo termine sono i massimi studiosi internazionali, così come denunciato dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia. Si tratta di un reato molto preciso che bisogna far emergere con forza per fermare la mattanza. Preferisco correre il rischio di usare la parola sbagliata che negare o minimizzare quello che credo la storia definirà l’abisso del diritto internazionale e dell’etica umana».
Sul presunto rischio di un antisemitismo di ritorno, Bakkali non usa mezzi termini: «Sappiamo purtroppo che l’antisemitismo serpeggia in Europa e non da oggi. Credo che l’inerzia della comunità internazionale e le scelte di Netanyahu, che ha etnicizzato il conflitto e sdoganato un regime di apartheid, possa di fatto riempire i serbatoi di odio antisemita per generazioni. Non sono io a dirlo, ma ebrei di tutto il mondo che non si riconoscono nella politica del governo isrealiano. Basti dire che dopo il 7 ottobre 2023 sono stati annessi più territori palestinesi che negli ultimi vent’anni. Allora appare evidente che ancora prima degli ostaggi, del contrasto ad Hamas, per l’estrema destra israeliana viene l’annientamento del popolo palestinese, la cancellazione della prospettiva dei due Stati. Il suprematismo ebraico oggi al governo in Israele è la più grande minaccia per Israele stessa come dicono gli ebrei di tutto il mondo».
C’è un rischio di “etnicizzazione” del confronto anche per i musulmani che vivono al di fuori di Gaza? «Fino a un anno e mezzo fa il tema mi preoccupava molto. Vedevo i volti dei ragazzi delle seconde generazioni che protestavano nelle piazze e temevo che potessero sentirsi soli e pensare che davvero le loro vite, le vite di ragazzi musulmani come quelli in Palestina, per il mondo potessero valere meno di altre vite umane. Pochi allora parlavano della sproporzione della reazione di Israele agli attacchi del 7 ottobre e non riconoscevano che il governo israeliano stava di fatto attaccando la popolazione civile della Palestina. Oggi invece per fortuna le piazze sono piene di una mobilitazione globale che non ha un solo colore o un solo credo e penso che questo abbia smorzato se non annullato il rischio che i musulmani potessero sentirsi soli nel contrastare quanto sta accadendo. La lotta comune e che nasce dal basso è una lotta laica a difesa del diritto internazionale e dei diritti umani, contro ogni suprematismo e per l’autodeterminazione dei palestinesi».