Mostra su un’epoca dove si poteva anche girare il mondo con… un tavolino

I 115 straordinari ritratti “musicali” e di performer contemporanei del fotografo Roberto Masotti, in rassegna al Museo Nazionale di Ravenna fino al 30 settembre

Roberto Masotti Tavolino YTTTOMjpegUn tavolino di piccole dimensioni su tre gambe, acquistato in un campo nomadi alla periferia di Milano nel 1974. Porta in sé i segni del tempo: la superficie è sgretolata tanto da far apparire macchie informi ma continue che sembrano paesi, continenti ovviamente sconosciuti. Per continuità di destino – non nomen-omen, bensì forma-omen – il tavolino inizia a viaggiare assieme al nuovo proprietario. Attraversa i confini di nazioni e inizia a svolgere una parte importante del lavoro del proprietario, che è fotografo e grande appassionato di musica, attento alle sperimentazioni dei linguaggi e ai territori in cui la musica incontra l’arte visiva, la performance. In poche parole, ama quei territori in cui la musica e il suono si specchiano in altri linguaggi.

Il tavolino viene impacchettato, trasportato, spedito, impugnato per accompagnare costantemente il proprietario nei suoi spostamenti. Diventa una sorta di talismano affettivo e siccome l’affetto non basta agli artisti, il tavolino inizia a costruire altre avventure. Basta presentarlo agli amici – donne e uomini del mondo della musica, dell’arte visiva, della performance – suggerendo che lo utilizzino come vogliono. Il proprietario mostra loro tutte le foto precedenti e chiede di poter catturare un nuovo ritratto, un’altra foto, fuori dal palco e dai camerini, fuori dalla folla e dai concerti, magari anche a casa sua. Tutti accettano l’invito e nascono altre storie-immagini: c’è chi usa il tavolino come semplice appoggio del corpo o delle mani, chi lo distanzia, chi lo mette in equilibrio o si attornia delle persone più care. C’è chi vi ammonticchia sopra oggetti d’affezione o espone un proprio simbolo oppure un oggetto saltato fuori a caso, frutto di un incontro fortuito. E se la distanza fisica è troppa, i confini troppo ardui da superare, sarà un’immagine fotografica del tavolino a mettersi a disposizione di altri artisti che ci giocheranno in modo ancora diverso. Il tavolo coglie la continuità di fili delle vite che immortala, il trait d’union di tanti racconti in immagini.

Il Tavolino Di Roberto MasottiIn questo racconto breve che da solo potrebbe essere il canovaccio di una storia a cannocchiale di Borges – come non ricordare il mantello del giaguaro in cui le macchie sono sintesi del mondo? – si riassume l’immaginario di You Tourned the Tables on Me progettato da Roberto Masotti (1947-2022) per otto anni, dal 1974 al 1981, ora in mostra (a cura della compagna del fotografo, anche lei fotografa e ravennate, Silvia Lelli) alla manica lunga del Museo Nazionale di Ravenna, nell’ambito del Ravenna Festival 2023.

Nella raccolta di tutte le 115 fotografie realizzate in questo arco di tempo sono riconoscibili numerosi astri della musica – e pare quasi riduttivo il campo – come Brian Eno, Anthony Braxton, John Cage, Demetrio Stratos, Philip Glass, Meredith Monk, Sun Ra… Il primo della serie ad essere immortalato è stato Juan Hidalgo, ritratto a Milano nel 1974: il compositore e musicista spagnolo non ha ancora 50 anni, una camicia a fiori che definisce la temperatura dell’epoca, lo sguardo affidabile davanti a un enorme verza appoggiata sopra a una minitastiera. Un tripudio di nonsense apparente che si sintonizza con l’omaggio al caso predisposto dal neodadaismo, la corrente a cui Hidalgo appartiene in affinità con Fluxus.

Carla Bley, compositrice e pianista statunitense di musica jazz ancora in attività, ha oggi 87 anni. Viene ripresa nel 1976 da Masotti sulla spiaggia ad Alassio: per gioco, per scherzo, Bley utilizza la sabbia e dà forma a una torta, le mani sporche in bella vista. Due anni dopo a Milano è Giuseppe Chiari a interagire col tavolino: per lui musicista, pianista interessato alle interazioni fra suono, musica e gesto nel solco delle ricerche del movimento Fluxus a cui ha aderito, il tavolino diventa parte integrante del set, da posizionare vicino al pianoforte mentre improvvisa.

L’ironia e la spontaneità sono frequenti in molte di queste immagini: che ci facciano un palloncino gonfiato e una mucca giocattolo di plastica pare chiederselo anche Terry Day, immortalato a Amsterdam nel 1978. Apparentemente sembra più accettabile la finta serietà di Fernando Grillo – definito da Carmelo Bene “il Paganini del contrabbasso” – mentre affronta una zucca gigante col suo archetto. Nell’intreccio di memorie si impiglia anche la fotografia di Esther Ferrer, performer e artista concettuale di origine spagnola che ha operato con diversi media fra cui fotografia e video: nel ‘78, a Milano, viene ripresa in un ritratto quasi intimo con uno sguardo malinconico che si allontana in modo opposto agli autoritratti fotografici che l’hanno resa famosa nel mondo. Affrontati in posa quasi specchiata sono invece Christina Kubish e Fabrizio Plessi – rispettivamente compositrice tedesca e artista visivo italiano – ripresi a Milano nel ‘79. Sul tavolino ci sono due bicchieri in cui sono immersi due flauti, che alludono alla specializzazione musicale della Kubisch. Bastano invece gli occhi di Brian Eno – un artista talmente famoso da non richiedere nessun estratto biografico – a riempire la fotografia che lo riprende a Londra nel 1976. Sono gli anni che seguono quelli della Swinging London, forse più politici e sperimentali del decennio precedente, «dove il nuovo zampillava ovunque» scrivevano Silvia Lelli e lo stesso Roberto alcuni anni fa. E quello che non compare nel ritratto di Eno, ripreso leggermente dall’alto, le mani intrecciate sulle forme-mondo del tavolino, sono tutte nell’aria, nella storia e memoria di chi ha vissuto quei tempi.

Si potrebbe continuare a parlare di ogni immagine di questa bella mostra che apre suggestioni in varie direttrici – musica, arte, performance, ma anche tribù, formazioni, incontri, collaborazioni e sperimentazioni creative – in un’epoca dove molto era possibile. Anche andare in giro per il mondo con un tavolino appresso, scegliendo un ottimo dispositivo per raccontare con le immagini, creare una storia narrando la propria e le vite di molti altri.

“You Tourned the Tables on Me” – fino al 30 settembre – Museo Nazionale di Ravenna. Orari: mar-ven 8.30-19.30, sab-dom 8.30-14

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