Sintoni: «È un diritto del pubblico avere un’offerta variegata, da Brecht a Salemme»

Il fondatore e direttore di Accademia Perduta, che decide i cartelloni di Faenza, Cervia, Bagnacavallo, Forlì e Meldola: «Raramente uno stesso spettacolo è spalmato su tutte le stagioni, il più delle volte è pensato per uno specifico teatro»

RuggeroSintoni 04.02.2017 62

Ruggero Sintoni

Dal 1982 Ruggero Sintoni e Claudio Casadio animano Accademia Perduta, centro di produzione teatrale che dirige le stagioni di molti teatri romagnoli: da Faenza a Forlì, da Bagnacavallo a Cervia, toccando anche Meldola e il comico di Ravenna. Di come sia possibile coordinare una tale quantità di teatri mantenendo alta la qualità della proposta, e della grande responsabilità di formare il gusto di intere generazioni di spettatori, ne ho parlato direttamente con Sintoni, nel suo ormai leggendario ufficio del Goldoni di Bagnacavallo, spazio ricavato dall’ex bagno del custode.

Tra poche settimane in Emilia-Romagna si vota, e i fondi regionali costituiscono una voce importante per il bilancio dei vostri teatri. Un cambio di giunta potrebbe avere effetti negativi per Accademia Perduta?
«Non ti so rispondere. Io ho scelto di fare il tecnico della cultura, non il politico. Mi metto al servizio delle pubbliche amministrazioni, siano esse locali, regionali o statali: non mi pare opportuno confondere questo ruolo e parlare di politica. Posso però dirti che, in questa regione più che in altre, il sistema teatrale è complesso, variegato ed efficiente. Dai grandi teatri della lirica ai centri di produzione teatrale – che in questa regione sono ben 5, sui 27 presenti in tutta Italia –, l’Emilia-Romagna offre un panorama unico. Chiunque vinca lo dovrà tutelare, comunque vadano le elezioni».

Avete già esperienze di collaborazione con giunte comunali di destra?
«Undici anni fa, a Meldola, vinse le elezioni Gian Luca Zattini, oggi sindaco di Forlì. Con lui abbiamo avuto un bel rapporto. Io credo che i progetti culturali e teatrali veri siano un po’ lontani dagli orientamenti politici delle pubbliche amministrazioni. Poi la politica può condizionarci. Ma ricordo anche che i nostri teatri sono pieni di abbonati e di consenso».

Come andranno secondo lei le elezioni?
«Non lo so. I cambiamenti dell’elettorato e degli schieramenti sono diventati così veloci che ciò che era vero quattro mesi fa oggi non lo è più. È dal 1982 che faccio questo lavoro: ho visto cambiare molte giunte, ma Accademia Perduta è sempre cresciuta. I teatri sono un po’ come delle vetrine che si affacciano sulle città: da essi si può capire qualcosa del funzionamento di una pubblica amministrazione. Un conto sono le idee politiche, un altro è il lavoro effettivamente svolto. A me non importa conoscere le idee, la razza o la religione di chi guida l’ambulanza che mi viene a prendere se sono finito fuori strada!».

Sempre più professori scelgono di portare a teatro le loro classi. Perché si sente, sopratutto per i più giovani, questo bisogno di teatro?
«Il teatro forma lo spirito critico e la relazione con gli altri, proprio in virtù della sua collettività. Un bambino che guarda la televisione, magari da solo, e vede una scena di paura, si spaventa. A teatro, assieme agli altri bambini, questa stessa paura viene esorcizzata. Lo stesso vale per il comico: una risata collettiva è liberatoria. Da qui il grande successo del comico d’autore. Gli spettatori hanno bisogno di ridere assieme, di collettività. Lo vedo dall’aumento dei numeri, dall’allargamento del pubblico, dall’abbassamento dell’età media degli spettatori. Quest’anno Cervia ha fatto 50 abbonamenti in più; Forlì ha superato ogni previsione; a Faenza c’è stato il record storico di abbonamenti».

La particolarità di Accademia Perduta è proprio il fatto che controlla una rete molto estesa di teatri. Come evitare il rischio di standardizzare l’offerta?
«Succede raramente che uno stesso spettacolo sia spalmato su tutte le stagioni. Il più delle volte ogni spettacolo è pensato specificamente per un teatro. Il nostro risparmio è sulla direzione artistica, che è comune per tutti i teatri, sull’ufficio stampa e sulla nostra squadra tecnica. E poi va anche detto che noi non siamo solo organizzatori: io e Claudio Casadio produciamo teatro. Pensa all’ultimo spettacolo di Davide Enia, agli spettacoli di Claudio, a Fanny&Alexander, a Pietro Piva. Essere produttori fa la differenza anche nell’organizzazione di una stagione. Parliamo la stessa lingua degli artisti, e per questo, spesso, uno spettacolo ci costa meno».

Cosa significa avere il potere di formare il gusto del pubblico? Qual è il vero compito di una direzione artistica?
«Ne parliamo spesso io e Claudio. Il nostro vangelo è la consapevolezza continua di essere un teatro pubblico. I teatri sono di chi paga le tasse, e i pubblici sono diversi. Perciò non mi posso arrogare il diritto di proporre ciò che piace a me, ma devo dare delle risposte variegate. Non si tratta assolutamente di assecondare un gusto commerciale: abbiamo inaugurato questa stagione con due testi di Brecht, piuttosto forti e difficili. Poi c’è anche Vincenzo Salemme, ma è giusto così. Credo che sia un dovere, oltre che un diritto del pubblico».

Quest’anno il vostro cartellone di prosa contemporanea è quasi interamente composto da artisti nati fra gli anni ’50 e ’60. Secondo lei c’è un problema generazionale a teatro?
«Quest’anno è un fatto casuale. Gli anni scorsi abbiamo avuto esperienze con Carrozzeria Orfeo e Kepler-452, gruppi molto giovani. Sono realtà che abbiamo affiancato e incoraggiato, come ad esempio è successo con i Menoventi. Il problema non è generazionale, ma formale. C’è un teatro che continua a rimanere legato a stilemi vecchi e che rischia di incartarsi. Ma ci sono anche ricercatori che hanno trovato cifre stilistiche personalissime: Davide Enia, Alessandro Serra, Nicola Borghesi. Attori vecchi possono fare un teatro nuovissimo; viceversa, giovani gruppi possono essere legati a stilemi datati. La questione generazionale non mi fa vibrare un pelo. Mi interessa invece quando è legata al pubblico, mi interessa cioè che sia il pubblico a rinnovarsi».

Quali sono i mali del sistema teatrale italiano?
«Nel 2014 la riforma ministeriale sul FUS ha cercato di rendere meno discrezionale il sistema dei contributi pubblici per i teatri. Oggi quasi tutti i teatri sono affidati attraverso bandi pubblici. Il sistema, assolutamente perfettibile, è però migliore di quello precedente. Piuttosto, credo che sia necessario un ruolo diverso di chi fa critica teatrale. Per tanti motivi la critica si è andata sempre di più spegnendo: occorre un contraltare alle biglietterie, che sia però laico. I critici non devono avere la convinzione che esista un teatro buono e uno cattivo, né esaltare solo forme di spettacolo “alto”, che a loro piace ma che alla fine svuota i teatri. È ovvio che chi ha la responsabilità di un teatro abbia bisogno del consenso del pubblico – non c’è nulla di male. Proprio per questo c’è bisogno di una critica laica, che va pagata e sostenuta. Altrimenti il critico rischia di ridursi a ufficio stampa».

FONDAZIONE FLAMINIA BILLB TUFFO MARE UNIVERSITA 01 – 15 05 24
INCANTO BILLB 19 04 – 01 05 24
CENTRALE LATTE CESENA BILLB LATTE 25 04 – 01 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24