Quando il teatro fa parte dell’orizzonte affettivo: Longiano, Novafeltria, Cattolica

Alla scoperta di tre sale della Romagna – il Petrella, il Sociale e la Regina – che si distinguono per programmazione e qualità della proposta

È una cosa che mi ha sempre colpito delle città romagnole: per quanto piccolo e isolato sia il paesino, due edifici non mancano mai. Il primo è il circolo, sia esso comunista o repubblicano. L’altro è il teatro. Se il paese è abbastanza grande da meritarsi una chiesa, stai pur sicuro che troverai anche un teatro cittadino. È come se in questo territorio fosse iscritto il bisogno di profano. Certo, si tratta di piccoli teatri, lontani dalla magnificenza dei grandi stabili dei capoluoghi. Ma quasi sempre sono parte inscindibile dell’orizzonte affettivo dei cittadini: curatissimi, spesso antichi, a volte vere e proprie perle che sorprendono per la loro bellezza il visitatore foresto.

Teatro Petrella LongianoCome l’ottocentesco teatro Petrella di Longiano. Ho parlato con Roberto Alessi, tra i fondatori di Cronopios, società che dal 2014 gestisce le stagioni del Petrella, per capire meglio il segreto dell’amore nato attorno a questo luogo. Come quello di Cristina Donà. «Due anni fa visitò il teatro e s’innamorò. Lo scorso 11 gennaio, durante il suo concerto, ha deciso di coinvolgere un coro riminese e ha scritto una canzone dedicata al Petrella. Due regali bellissimi, di sua spontanea iniziativa». Ma perché tanto affetto? «Il Petrella è il teatro delle residenze, amatissimo dagli artisti che qui lavorano con calma in una città dove vivere è bello. La prima stagione che abbiamo gestito l’abbiamo intitolata “Desidera”. Il nome nasceva dal desiderio di rivedere il Petrella come l’avevamo visto da giovani, durante la gestione di Sandro Pascucci», ovvero il dipendente comunale che nel 1986 s’inventò le residenze per gli artisti. «Allora l’idea era una novità assoluta, e permetteva di sfruttare al massimo le particolarità del teatro. Il nostro desiderio era di riprendere questo modello di “casa degli artisti” e riattualizzarlo». Una scelta che ha avuto ricadute profonde anche sulla struttura della stagione. «Su 14 date in cartellone, ben 10 sono anteprime nate qui, in residenza al Petrella. Penso ai Nina’s Drag Queens, o alla residenza della compagnia Scimone Sframeli, lo scorso giugno: grandi compagnie con tanti attori, impensabili normalmente per l’economia di un teatro come il nostro. Ma sono loro che ci chiedono ospitalità: è questa la cosa bella». Una particolarità che dovrebbe inorgoglire gli abitanti del piccolo borgo. Ma che tipo di rapporto hanno i cittadini col teatro? «Longiano ha pochi abitanti: è ovvio che la netta preponderanza dei nostri spettatori viene da fuori. Ma è sempre più difficile intercettare il pubblico. L’offerta culturale è più ampia, e anche la televisione contribuisce a disincentivare il viaggio verso Longiano. Per questo ci piacerebbe aprirci di più alla città, attivando laboratori ad esempio; ma finora, per la forma di gestione che abbiamo avuto, è stato piuttosto complesso. È uno dei nostri obiettivi futuri, magari collaborando con associazioni artistiche del territorio».

Teatro Sociale NovafeltriaDalla valle del Rubicone scendiamo verso il Marecchia, confine fisico fra valli romagnole e marchigiane. Siamo a Novafeltria, emiliano-romagnola dal referendum del 2009. Il teatro Sociale, fondato nel 1925, ha visto molti passaggi di mano fino al 2017, quando Fabio Biondi, direttore artistico de L’arboreto, ha cominciato a curare la gestione di questo spazio, sentitissimo dalla sua comunità. «Ricordo quando mi ha chiamato una signora che non poteva venire a vedere lo spettacolo di Celestini. Voleva liberare il suo posto da abbonata. Questo è amore per il proprio teatro e per la propria comunità». Un amore che Biondi ha raccolto e incoraggiato. «Abbiamo avuto la fortuna di prendere in gestione un teatro già molto importante per la memoria storica della città. Dopo un periodo di indebolimento dell’offerta culturale abbiamo ripreso le attività ed è aumentato il pubblico: oggi siamo a 100 abbonati, metà della sala. Altri vengono da fuori: Santarcangelo, Riccione, San Marino». Ma quali sono i segreti di questo successo? «Non basta portare il nome importante. Bisogna creare una passione, far comprendere che il teatro è della città. Per questo sono importanti i laboratori per adulti, il dialogo con le scuole. Sull’esempio dei caffè napoletani, abbiamo inventato i “biglietti sospesi”: la comunità ci dà dei soldi che noi investiamo per chi non si può permettere di andare a teatro. Un’iniziativa che sta andando benissimo. Questo significa creare fiducia, e il pubblico lo capisce: non è solo una somma di spettacoli, ma c’è un progetto, una sfida culturale».
«Per questo», mi assicura Biondi, «i teatri di provincia sono storicamente l’ossatura del sistema teatrale italiano. Quando hanno una direzione artistica forte creano cultura. Lavorando a stretto contatto con le comunità diventano presidi e garantiscono la circolazione di idee». Presidi che vanno curati anche dalle amministrazioni. «Quando si lavora in contesti così piccoli, il rischio d’impresa è molto elevato. Per questo le amministrazioni, quando funzionano bene, fanno la differenza. Il Comune ha sbloccato finanziamenti regionali per 100 mila euro per rimodernare il teatro. Ecco un altro merito politico della nostra regione, che storicamente ha investito sulla cultura e sullo spettacolo».

Sala Teatro Regina CattolicaPer concludere questo viaggio ci spingiamo fino a Cattolica, ultima città costiera romagnola. Il teatro della Regina non è piccolo – la platea ospita 600 sedute – ma si tratta di un “teatro di confine”, come piace definirlo a Simonetta Salvetti, direttrice del teatro gestito in compartecipazione da ATER e dal Comune. «Attraversi un ponte e sei nelle Marche», mi spiega. «Siamo ai confini di una regione ricca di tradizione e di teatri. Dalle nostre parti c’è il Bonci, poco lontano il Rossini di Pesaro. Noi siamo giovani: il teatro è del ’96, fu il primo costruito ex novo nel dopoguerra. Compie 23 anni a settembre. Va da sé che la nostra tradizione è molto recente». Ma le scelte artistiche per attirare e fidelizzare il pubblico sono state vincenti. «Costruiamo la stagione tenendo conto del format che ci siamo dati: una prosa molto forte e varia. Tendiamo a prediligere spettacoli che attirino i ragazzi delle scuole e che possano essere fruibili da tutti. Nomi riconoscibili, semplici o meno: da Pippo Del Bono ad Anna Finocchiaro, insomma. E sta andando molto bene: questa stagione abbiamo registrato già diversi sold out. Sebbene non ci siano oggi le stesse sicurezze del passato, mi sembra di assistere a un risveglio del teatro dopo anni buissimi».Insomma, un buon rapporto col pubblico, che è cresciuto “assieme” al teatro e alla sua sala “off”, il cosiddetto Salone Snaporaz. Siamo in terre felliniane, il fantasma di Federico è inevitabile. «È stato un omaggio al regista voluto dall’allora sindaco, Gianfranco Micucci: una struttura polifunzionale dedicata ai vari appuntamenti della città. Oggi è usata anche come cinema: a Cattolica oggi non ci sono altre sale». San Fellini veglia sulla cultura filmica di Cattolica. Un caso interessante quello di Cattolica, che ricorda, per stile e per comunicazione, l’approccio pop del vicino Spazio Tondelli di Riccione. «Un progetto che accarezziamo da tempo è quello di creare una proposta unica anche con lo Spazio Tondelli di Riccione», confessa la Salvetti. «È difficile, già cerchiamo di non sovrapporci con le date. Ma avere un cartellone condiviso sarebbe molto bello».

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