Il cold case resta irrisolto, c’è una banda a piede libero

Andrea AlberiziaNon si sa chi ha ammazzato Pier Paolo Minguzzi. La corte d’assise di Ravenna il 22 giugno ha pronunciato una sentenza di assoluzione in primo grado per i tre imputati dell’omicidio di Alfonsine nel 1987: il 21enne terzogenito di una facoltosa famiglia di imprenditori dell’ortofrutta venne rapito e ritrovato cadavere dopo dieci giorni in cui gli anonimi sequestratori chiesero 300 milioni di lire.

Alla sbarra c’erano due ex carabinieri al tempo in servizio proprio alla caserma di Alfonsine e l’idraulico del paese. Per tutti e tre il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo. I tre furono i colpevoli (pene ultraventennali già scontate) di un altro omicidio avvenuto tre mesi dopo quello di Minguzzi nella stessa Alfonsine nell’ambito di un altro tentativo di estorsione a un altro imprenditore dello stesso settore. La vittima fu un carabiniere impegnato nell’appostamento sul luogo della consegna del denaro.

L’accusa dice: se sono colpevoli del delitto di luglio 1987, come possono non esserlo di un caso analogo avvenuto ad aprile? Per di più se in una delle telefonate ai familiari di Minguzzi il telefonista si sbagliò e chiese di parlare con Contarini che poi fu il destinatario del secondo tentativo di estorsione. Quante bande di rapitori c’erano in una paese di diecimila anime? E come mai dopo l’arresto dei tre non ci sono stati altri casi di estorsione se la feroce banda di Minguzzi era ancora a piede libero?

Le difese non hanno potuto ignorare questa macchia nelle fedine penali e hanno offerto questa lettura: i tre tentarono l’estorsione di luglio perché sembrò loro un sistema facile per fare soldi visto che in paese serpeggiava il terrore dopo la tragica scomparsa di Minguzzi. Allora lo scenario da prendere per buono è quello in cui nel luglio di 35 anni fa, a tre mesi da un tragico delitto, due giovani carabinieri anziché indagare su quel caso pensarono di mettere in piedi un’estorsione e andarono a ritirare il bottino in un fosso armati di un revolver di proprietà dell’idraulico e che uno dei militari non esitò a usare per fare fuoco contro quello che di certo sapeva essere un commilitone e non un criminale. Se su Netflix trovassimo una fiction con questa trama qualcuno abbandonerebbe lo streaming dopo due puntate: “Dai, non è credibile”. Ma la realtà, almeno quello giudiziaria, può andare oltre le serie tv.

Restano una madre, un fratello e una sorella che ancora non sanno chi ha ammazzato il loro caro. A loro resta quello che ha detto uno degli avvocati di parte civile: «Pier Paolo aveva 20 anni e gli hanno tolto la vita. Ma finché qualcuno potrà ricordarlo, non potranno impedirgli di avere 20 anni per sempre».

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