Darsena, fra idee “dal basso” e la visione che ancora non c’è

Fausto PiazzaScade in questi giorni il bando promosso dal Comune – nell’ambito del progetto europeo Dare – per raccogliere “dal basso” progetti innovativi di rigenerazione per gli innumerevoli spazi ancora inutilizzati della Darsena di città. L’ennesima iniziativa partecipativa che cerca di stimolare l’avvio di una fase di rilancio dell’attenzione verso l’enorme, e ancora in gran parte abbandonato, quartiere sull’acqua della città. Iniziativa encomiabile sul piano politico, nel senso più nobile di coinvolgimento della polis ravennate, anche se è ancora tutto da vedere l’esito di questa offerta rivolta a cittadinanza e vari portatori di interessi. Peraltro, l’iniziativa si affianca ad altri momenti di riflessione sul tema, come la mostra (ancora aperta a Palazzo Rasponi) sui progetti del recente concorso di idee sulla connesione fra zona stazione e testata del Candiano. E come, ancora più importante, la pubblicazione del nuovo Piano Urbanistico Generale che è entrato nella fase delle cosiddette “osservazioni” pubbliche prima dell’approvazione definitiva. Una pianificazione che ovviamente riaggiorna, per dirla in termini sommari, quanto, come e cosa si potrà costruire fra le due sponde dell’ex porto canale fino al ponte mobile.

Il problema di fondo, nonostante tutti questi fermenti (e anche qualche barlume di riutilizzo dell’area – dai locali alla passerella) è la vaghezza di una visione di quello che potrebbe essere il nuovo quartiere. La mancanza di una strategia di lungo termine, di una serie di indirizzi funzionali, insomma di un’idea forte che possa smuovere investimenti pubblici (innanzitutto) e privati, in un effetto domino positivo. Se arriveranno “dal basso”, dai professionisti dell’architettura o dal governo della città, coi suoi strumenti urbanistici, ben vengano, ma per ora l’impressione è quella di un’eccessiva parcelizzazione e ibridazione del comparto, anche a rischio di iniziative speculative.

Una suggestione molto interessante viene da una intervista pubblicata recentemente su queste pagine al nuovo presidente del Campus universitario di Ravenna – negli ultimi anni in notevole crescita – che lamenta una carenza (dovuta all’utilizzo di spazi in antichi palazzi del centro) di funzionalità di aule e laboratori e la necessità di ricercare strutture per ospitare i nuovi corsi dell’Alma Mater ravennate. Il dirigente universitario non si sbilancia ufficialmente ma credo stesse pensando proprio alle potenzialità del quartiere sull’acqua. Perché, appunto, non immaginare che la Darsena possa ospitare il campus universitario del futuro? Uffici, aule e laboratori, ma anche centri di ricerca, incubatoi di start up, spazi di coworking e cohousing, una sorta di quartiere dedicato alla conoscenza, alla sperimentazione d’impresa, alla sostenibilità ambientale e sociale. Senza dimenticare che serviranno alloggi, servizi e spazi commerciali e di aggregazione per la cultura e il tempo libero. E poi aree riservate alla natura, anche pensando alle ambientazioni del “terzo paesaggio”, per lo svago e lo sport.  Di spazio ce n’è e per un quartiere così grande potenzialmente non si puo non pensare in grande, se abbiamo a cuore la nostra città e non vogliamo consumare altro territorio vergine, come ormai impongono anche normative edilizie e leggi urbanistiche.  È solo un sogno, un’utopia? E perché non provarci.

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