La dignità umana e la rinascita di un quartiere

Fausto PiazzaSono nato e tuttora vivo nella Darsena di città, per cui quando si chiama in causa, nel dibattito pubblico, il mio quartiere non riesco a evitare di parlarne. A costo di ripetermi e ancor peggio di citarmi, visto che sul tema ne ho scritto negli ultimi 20 anni a bizzeffe.

Lo spunto è la “scoperta” che un gruppo di rifugiati, emigrati senza tetto, bivaccavano in stato pietoso nel fatiscente magazzino ex Sir, noto a tutti come Sigarone. La vicenda ha sollevato, legittimamente, una discussione su vari media e social web ma con stucchevoli strascichi polemici fra gli estremi dello sdegno reazionario e della retorica dell’accoglienza. In un ottica a mio parere un po’ miope che evoca il luogo abbandonato (l’ex fabbrica, la periferia) senza collocarlo nella cornice reale – di tempo e spazio – che meriterebbe.

Il caso contingente è umiliante comunque lo si guardi: come può sopportare la benestante Ravenna la condizione disumana che è stata svelata? La questione non è solo etica ma riguarda clamorose falle di efficienza e di coordinamento nella rete delle istituzioni – dalle forze dell’ordine ai servizi del welfare – che non hanno visto o hanno chiuso un occhio. Ed è una questione che riguarda non solo gli immigrati stranieri ma anche l’ultimo dei “barboni”, magari ravennate doc. La legge e la morale ci dicono che vanno individuati e assistiti. Punto e basta.

Invece, il contesto in cui il misfatto è accaduto – edifici e aree dismesse, un pezzo di quartiere urbano semiabbandonato – la dice ben più lunga dell’episodio. La Darsena di città da ormai trent’anni è sempre stata indicata come una grande opportunità di crescità ed evoluzione dell’assetto urbano ravennate, nel suo slancio verso il mare e nelle opportunità di saldare il centro storico con un innovativo quartiere sull’acqua. Ma poca attenzione si è prestata ai notevoli rischi di degrado urbano e sociale che le estenuanti lentezze nella realizzazione di questa prospettiva potevano provocare.

Stiamo parlando di un’area di decine di ettari di edifici decadenti e terreni inquinati, rottami e macerie, a malapena recintati.
Il sottile e contorto confine che segna questa enorme zona senz’anima è una progressiva rinascita o un disastroso disfacimento. Molti strumenti di pianifcazione (Prg, Pug, Master Plan, Agenzia Pubblica, Usi temporanei e Rigenerazone urbana…) sono semi falliti o hanno avuto esiti minimali rispetto all’enormità degli assetti in campo, al pari dell’impotenza dell’iniziativa privata, anche questa debole e sporadica. Nell’attesa di fondi di investimento miliardari o di improbabili finanziamenti pubblici – un po’ come aspettando Godot – la Darsena si è animata con qualche locale, eventi, passeggiate, jogging, il Moro che riluce in testa al vecchio porto. Ma sono solo bar-lumi e passerelle sullo sfondo di un suggestivo ma anche oscuro e corrotto scenario distopico.

Se le prospettive di ricostituzione sono così remote almeno si applichino, nei confronti delle decine di aree private che insistono in zona, le leggi sulla responsabilità patrimoniale e quella moral suasion pubblica che impongono un minimo di messa in sicurezza, ripulitura, decoro…
Magari qualche comparto (sta già accadendo) sarà fagocitato e “risanato” dall’esuberanza della natura, per trasformarsi in un parco spontaneo da “terzo paesaggio”, come è accaduto fra le decrepite tubature e le sopravvissute torri Hamon dell’ex Sarom. Meglio così che certe nefandezze speculative.

A proposito, lunedì 6 dicembre si tiene un incontro all’Almagià sulla “Tattica Darsena 2022/2023” (con il sindaco De Pascale e Nicola Zingaretti) dedicato a progetti e idee di rigenerazione. A quando invece un convegno sulla Strategia di lungo corso per capire con quali funzioni e risorse fare rinascere questo straordinario quartiere che scruta il mare? E quindi dovrebbe guardare lontano…

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