E se i servizi educativi fossero un bene comune?

La vicenda dei servizi di pre post scuola finiti in mano a una cooperativa di fuori regione di cui parliamo a pagina 13 merita una riflessione. Non a caso è partita una petizione da parte dei genitori e tra gli operatori c’è grande amarezza.
E la prima, banale, è: come è possibile che dopo vent’anni una cooperativa radicata sul territorio, che fa questo lavoro appunto da sempre, venga scalzata da perfetti sconosciuti? I temi paiono essere due: l’offerta economica e l’offerta formativa. Ora, in cosa risparmiano se l’offerta formativa è addirittura migliore? Il sospetto è che l’unica voce su cui possano limare sia il costo del lavoro, probabilmente, dicono gli addetti, partendo con contratti ex novo che non riconosceranno anzianità e scatti. Peraltro, è noto, i contratti di lavoro previsti per chi lavora in cooperative sociali sono comunque lungi dal faraonico. Del resto, non fossero ormai argomenti da marxisti di estrema sinistra, viene anche da chiedersi: se per vent’anni tu Comune devi affidare un servizio alla medesima cooperativa tramite appalto, non si potrebbe contemplare l’ipotesi di internalizzare il servizio? Perché di pre-post scuola ce n’è e ce ne sarà bisogno da qui a sempre. Sarebbe un modo forse drastico ma di certo efficace per garantire continuità del servizio agli utenti, anche certezze ai lavoratori. Ma naturalmente di questi tempi c’è da sembrare pazzi, visto le ristrettezze di bilancio, anche se per il servizio per la verità è chiesto il contributo delle famiglie sulla base dell’Isee. Allora forse potrebbe essere almeno un’idea pensare a forme di accreditamento sul modello delle case protette in parte divenute appunto totalmente pubbliche, in parte totalmente private? Perché in ogni caso va dato atto alle cooperative che hanno gestito questo servizio per anni di esserselo inventato, di aver colto una necessità delle famiglie, di aver avuto l’idea di estenderlo alle materne a partire dal prossimo anno. La loro amarezza è comprensibile. Il punto è che forse, forse, ha ragione chi dice che i servizi educativi dovrebbero avere un percorso diverso da quello di altri servizi, come per esempio l’illuminazione pubblica (per cui comunque almeno il bando è ventennale, qui si parla di appena quattro anni). Forse, forse, i servizi educativi potrebbero essere considerati uno di quei beni comuni un po’ come l’acqua, che per essere erogati devono generare lavoro pagato il giusto, ma non profitto. Perché in questa storia resta una certezza, che a guadagnarci sarà un’azienda piovuta da fuori regione che dovrà comunque cercare qui il proprio personale. E resta anche un dubbio: possibile che il pre post scuola possa essere un business tanto interessante?

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