Hera, il nuovo cda e l’occasione per riflettere

C’è chi dice che lo abbiano fatto per farlo fuori politicamente e impedirgli di candidarsi a sindaco, nel 2016. Chi usa il fatto per dimostrare che sì, i politici sono tutti uguali ed è uno scandalo, anche nel Pd fanno finta di litigare ma poi in fondo una poltrona non fa schifo a nessuno e fa far pace a chiunque. La nomina nel cda di Hera di Danilo Manfredi, ex segretario comunale Pd e soprattutto ex sfidante di De Pascale alla segreteria provinciale lo scorso autunno, fa discutere. Come ogni nomina di questi tempi, del resto. La cosa più probabile è che la ragione per cui Matteucci ha scelto Manfredi sia anche un segnale per sancire la fine delle divisioni interne al Pd. Altrettanto probabile che qualcuno abbia gioito vedendo Manfredi fuori dai giochi per la candiatura a primo cittadino, opzione che forse all’avvocato in realtà non è mai interessata più di tanto. Altrimenti, avrebbe potuto rifiutare, lui che un lavoro fuori dal partito ce l’ha. C’è poi chi dice che avrebbe dovuto rifiutare anche per dare un segnale di rottura rispetto a certe logiche anche per non deludere chi l’aveva sostenuto. Se non fosse che, bastava ascoltarlo, Hera Manfredi l’ha sempre difesa e non ha mai messo in discussione l’impianto della partecipate. Manfredi non ha mai avuto nulla di renziano o grillino. Anzi è stato forse questo a scuotere così tanto il partito durante il congresso.
Ma a parte lo specifico di questa nomina, il rinnovo del cda  può essere un’occasione per porre altri e più generali quesiti su un colosso che più che in mano pubblica, sembra in mano Pd (vedi le regolari spaccature anche in maggioranza al momento del voto), dove i consigli comunali sembrano in realtà ratificare decisioni già prese altrove (e se non le ratificano pazienza, mica serve l’unanimità), dove un cda di 14 membri (peraltro, somma tristezza, con appena tre donne che par di capire sarebbero ancora meno se non ci fosse una legge a obbligarli) appare comunque pletorico e costoso. Meglio sarebbe un bando per scegliere i membri? Ma l’indirizzo politico chi lo darebbe? Meglio sarebbe lasciare questi servizi al mercato esclusivamente privato dando ai Comuni il potere di scegliere a chi affidarli? O meglio continuare con il modello pubblico-privato e prevedere un incarico non retribuito un po’ come accadrà con le Province e addirittura con i nuovi senatori della riforma Renzi-Berlusconi? Insomma, il rinnovo del cda di Hera potrebbe essere un’occasione per una riflessione che riguarda la gestione di beni e servizi primari per la collettività e rispetto alla quale anche un certo Pd (vedi Balzani a Forlì) ha mostrato più di un’insofferenza.

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