La focaccia della discordia, tra sessismo e cattivo gusto

Focaccia Calda PolemicaPerché la focaccia calda di Bell’Italia ha fatto tanto discutere?
Guerra, pandemia, crisi energetica non dovrebbero farci trascurare questioni così marginali? E invece, Ravenna è finita sulle homepage dei siti di informazioni nazionale grazie a due signore che per vendere la focaccia a un mercatino che si propone come il meglio della gastronomia del Belpaese sfoderano una battuta vecchia come il mondo e che chissà se hai mai fatto ridere qualcuno: “Te la diamo calda”, e poi “ma cosa hai capito?”.

La segnalazione di una donna che accusa il messaggio di sessismo ha fatto scattare la condanna della Casa delle Donne, l’intervento dell’assessore al Turismo, dell’associazione di categoria Confesercenti: tutti a dire, via quel messaggio, è sessista. E di contro il vicesindaco che va a comprare la suddetta focaccia e una fila di messaggi di solidarietà alle due malcapitate. Che paiono in effetti soprattutto questo, malcapitate. Magari altrove quel messaggio sguaiatamente ammiccante non avrebbe suscitato alcuna reazione.

Tuttavia, anche una vicenda davvero secondaria come questa va per la verità a toccare un punto nevralgico scoperto piuttosto cruciale, invece, che è quello della censura.
Sono state censurate? Sì, perché sono state accusate di un messaggio sessista. Era un messaggio sessista? Era davvero svilente per le donne? Ecco, questo è più difficile da definire.
La battuta, proprio perché fatta da due signore in t-shirt, più che voler mercificare in qualche modo il corpo femminile, mi pare volesse fare della comicità un po’ crassa nel solco di una tradizione peraltro assai consolidata.

Se una bancarella avesse promosso i propri salumi dicendo “noi ce l’abbiamo più grosso” si sarebbe scatenato questo putiferio? Probabilmente no. Altrettanto probabilmente, più di una persona avrebbe storto il naso e non avrebbe gradito, così come non ha gradito la foccaccia servita “calda”. E no, non necessariamente perché sono donne frigide o uomini che ce l’hanno piccolo. E così, ahinoi, entriamo dritto in un tema quanto mai delicato che è quello del (buon) gusto. Cosa è appropriato e cosa no per un mercatino nella piazza più centrale di una città che si vuole vendere al mondo (o così ci era parso di capire) come una culla di cultura e custode della raffinata arte bizantina? E chi lo decide?

In casa nostra, l’amica che fa le battute grevi e volgari possiamo decidere di non invitarla più, non per sessismo, proprio perché la troviamo sgradevole. Ma possiamo farlo come città? Insomma, a ben vedere la questione è in effetti non di semplice soluzione. Possiamo invocare la formazione alla cultura della comunicazione e magari spiegare alle signore che la focaccia piace anche alle donne eterosessuali e, perché no?, pure frigide, e quindi magari sarebbe saggio scegliere messaggi più includenti (ammesso sia vero, naturalmente), al limite.

Intanto, va registrato come per l’ennesima volta la Casa delle Donne si sia attirata critiche e strali che raramente vengono riservati ad altre realtà. E anche in questo caso non è facile capire se questa sia una colpa, che rischia di minimizzare tante sacrosante battaglie, o invece un merito.

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