Covid, il paradosso della normalità per forza

Dopo esserci chiesti cosa ne sarebbe stato del mondo post lockdown, è forse ora il momento di chiederci se in effetti quel dopo non sia arrivato e sia qui, senza che ce ne siamo nemmeno troppo accorti.

Il momento che stiamo vivendo è infatti piuttosto paradossale, da un lato numeri di contagi senza precedenti, dall’altro un ritorno alla normalità quasi forzato. Nessuna chiusura di servizi e attività e per chi ha la terza dose (o la seconda da meno di 120 giorni) non c’è più il rischio di quarantena o la seccatura della fila al drive through o in farmacia. Basta rifornirsi di mascherine Ffp2 e nemmeno il coniuge positivo obbliga al tampone. Basta infatti l’autosorveglianza, ultima acquisizione del dizionario a cui ci siamo abituati in questi due anni.

Ci dobbiamo autosorvegliare. Siamo grandi e maturi, possiamo da soli decidere cosa sia o meno opportuno fare. Per esempio il cinema? Una cena fuori? Shopping in luoghi affollati in tempi di saldi? Contando sul fatto che anche gli altri, ovviamente, si stiano autosorvegliando. In fondo, la misura prevede un grande atto di fiducia verso le persone, nello stesso momento in cui impone un obbligo vaccinale a tutti gli over 50, amplificando una spaccatura tra favorevoli e contrari ormai talmente profonda che non ha risparmiato amicizie, relazioni, luoghi di lavoro.

Del resto alle contraddizioni ci stiamo abituando, così come alle deroghe anche di principi che sembravano saldissimi. Non si può chiedere in classe ai ragazzi se sono vaccinati, ma se nella loro classe risultano due positività i ragazzi non vaccinati non potranno andare a scuola come se fossero positivi. Per tutelare la privacy, basterà non chiedere loro per quale ragione sono in Dad. Questo ovviamente ammesso che possano raggiungere la scuola senza prendere mezzi pubblici, perché in tal caso, resteranno a casa anche se non ci sono positivi in classe. Anche se la decisione di non vaccinarli è dei genitori, o magari di un solo genitore, e non la loro. Ma il diritto allo studio è garantito eh, guai a dire il contrario.

Quindi, in questa specie di normalità precaria in cui i ragazzi vanno (chi può) a scuola, i vaccinati di categoria A vanno al lavoro comunque e i luoghi del divertimento e della cultura sono aperti (per quanto spesso vuoti), possiamo anche pensare che la battaglia è quasi vinta. Cercando di non pensare troppo ai turni massacranti di chi lavora in ospedale, ai lavoratori del turismo, a quelli del commercio. E cercando di non pensare troppo nemmeno al fatto che quando l’anno scorso andammo a farci la seconda dose avevamo una prospettiva di almeno nove mesi che ora si è ridotta a 120 giorni.

E la scadenza di questa normalità quando sarà? Possiamo pensare a una normalità in cui non è possibile fare previsioni né nel breve né nel medio o nel lungo periodo? Che sia prenotare uno spettacolo a teatro, una vacanza o cambiare casa? Quando diciamo che dobbiamo convivere con il virus, stiamo forse parlando di questo.
Capire bene a cosa stiamo rinunciando in questo intreccio di misure, paure e aggiustamenti si fa sempre più difficile e il rischio di perdere per strada qualche tassello cruciale, che sia di benessere individuale o collettivo, senza nemmeno accorgersene, è sempre più concreto.

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