La (triste) campagna per il referendum

Il  referendum del 17 aprile è alle porte e Ravenna è indiscutibilmente tra i territori più interessati essendo capitale di un distretto che impiega migiaia di persone e rischierebbe la rovina se vincesse il sì, dicono quelli del no, anzi del non voto. È  questo uno dei mantra piuttosto insopportabili di una campagna elettorale che a livello locale è iniziata prima che altrove e addirittura dentro il palazzetto dello sport durante partite di basket e volley in cui venivano proclamati urbi et orbi slogan contro il referendum cercando di far passare nemmeno troppo sottilmente il messaggio che se votate sì, l’offshore chiude e voi non avrete più né basket né volley. Un piccolo “ricatto”, diciamo, a fronte di quello ben più pesante che è la faccenda delle migliaia di lavoratori a casa. Una faccenda naturalmente che nessuno vuole sottovalutare. Ma è anche vero che è difficile credere che il più importante distretto offshore d’Italia possa continuare a basare la sua esistenza sul limitato numero di concessioni entro le 12 miglia già esistenti e che potranno continuare a funzionare tranquilamente fino a scandenza, solo non potranno  essere rinnovate. Sì, d’accordo, si può capire che non siano contente. Ma le aziende off-shore sono in difficoltà da mesi se non anni, ben prima del referendum e la sensazione è che i fattori determinanti stiano ben oltre le 12 miglia marine altroché. Diverso sarebbe se questi si battessero per poter avere nuovi pozzi entro le 12 miglia. E invece no, perché il governo ha già fatto la legge (che accoglie uno dei testi del referendum iniziali) che vieta nuovi insediamenti. Ma quelli esistenti devono succhiare tutto il possibile. Mah, una logica ferrea forse non c’è, ma pazienza. Dall’altra parte, anche i sostenitori del sì faticano a conquistare l’empireo della strategia politica. Per esempio attaccano il Pd per la scelta di non andare a votare un referendum che di fatto boccia una legge del loro stesso governo. Se è stato inventato il quorum insieme all’istituto del referendum una ragione ci sarà, l’astensione è un diritto e la battaglia politica è alla luce del sole. Davvero non pare il caso di gridare allo scandalo. Ancor più grave, tuttavia, è che i favorevoli pare vogliano usare il referendum per far dire agli italiani che è ora di investire sulle rinnovabili, laddove il referendum parla d’altro. Con un rischio boomerang colossale: e se gli italiani invece disertano le urne cosa dobiamo capire, che le rinnovabili non le vogliono?  Non sarà piuttosto che a tenere comunque a casa gli italiani (e anche i ravennati) sarà soprattutto la scarsa fiducia che, comunque vada, succeda poi davvero qualcosa (ogni riferimento al referendum sull’acqua è da considerarsi intenzionale)?

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