L’enogastronomia fra consumismo, cultura materiale ed economia

Fausto PiazzaNon c’è dubbio, viviamo nell’era dell’enogastromania. Cibo e vino, il sedersi a tavola e gozzovigliare fuori casa, all’insegna della convivialità, sembrano diventati una passione irrinunciabile, trasversale per età, livello culturale, reddito (a parte i tanti che hanno solo bisogno di sfamarsi come possono). Il web e le tv tracimano di programmi, siti e app sul tema, sui social è un’indigestione di like e commenti sui locali, e certi chef sono celebrità, come i campioni del pallone o i divi dello spettacolo.

Io che sono nato negli anni ‘50, di origine popolare, ho vissuto fino alla giovinezza il cibo come tradizione alimentare, rito domestico. Mangiar fuori era un lusso, al massimo s’andava in trattoria fuori porta, tre quattro volte l’anno, per mangiate pantagrueliche di pietanze ruspanti o sulla graticola. Non c’erano cuochi in cucina ma, come a casa, le azdore. E il vino era quello ossidato e supertannico “del contadino”. Credo di avere bevuto i primi vini decenti con l’etichetta a vent’anni compiuti. D’accordo, è passato quasi mezzo secolo, certo che l’accelerazione impressa da questa bulimia collettiva è smodata.

Ma al di là della frenesia delle mode e di una evidente deriva consumistica, il mondo del cibo è anche cultura materiale, evoluzione antropologica, economia e lavoro. Se restiamo a Ravenna e in Romagna questa tendenza famelica ed etilica si conferma ad esempio con il recentissimo record di presenze a GiovinBacco, con il sempre affollato triangolo del ristoro fra Mercato Coperto, via IV Novembre e via Ponte Marino e il susseguirsi di aperture e rilanci di locali dedicati alla convivialità di ogni genere e specie, il sorgere ed evolversi di imprese agricole e cantine. Il che non è male per una città e una regione dalla vocazione turistica.

Ma non è tutto e sempre bontà e convenienza quella che appare in tavola. In questo ambito, anche a livello locale, voglio evidenziare l’attività di educazione, promozione, valorizzazione, condivisione della qualità nella filiera alimentare (dalla produzione agricola al consumatore finale passando per la ristorazione) di associazioni come Slow Food – con il suo motto del “buono, pulito e giusto” e i suoi presìdi – e ChefToChef, che si impegna da tempo a costruire una rete fra produttori e artigiani virtuosi, valenti cuochi e buongustai consapevoli. Si tratta in gran parte di appassionati volontari che attraverso incontri (anche con le scuole), eventi cittadini, fiere e mercati, degustazioni guidate, portano avanti una cultura etica e lungimirante sul cibo. E voglio citare i nomi di alcune di queste persone che dalle nostre parti si sono prodigate da tempo lungo questo percorso: Franco Chiarini, Angela Schiavina, Mauro Zanarini, Graziano Pozzetto e il compianto Emilio Antonellini.

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