L’Enrico perduto e il dramma del Pd

Fausto PiazzaHo incontrato Enrico Liverani per la prima volta a fine ottobre. Un’occasione informale a pranzo. L’ho considerato un appuntamento importante: ero curioso di conoscere l’uomo, già candidato a sindaco, che aveva fatto quadrare il cerchio nel Pd, dopo mesi di divisioni, spinte centrifughe e snervanti mediazioni intestine. Determinata l’investitura ufficiale, non avevo più sentito fra gli uomini che contano nel partito una parola di traverso su di lui. Anzi, molti apprezzamenti.
Era assessore comunale ai Lavori pubblici da qualche mese ma la sua breve esperienza e la sua minima notorietà mi avevano fatto pensare che marcavano una debolezza in campagna elettorale. Probabilmente sbagliavo.
Quel giorno aveva dichiarato che se fosse stato sindaco avrebbe trascritto nel registro comunale i matrimoni gay. Per aggirare i convenevoli gli avevo detto subito che era stata una bella mossa. Un segno di discontinuità rispetto a una legislatura ormai sfinita. Una mossa che però gli avrebbe procurato critiche e nemici anche fra compagni e alleati di partito. Mi fece capire che non era una tattica: «Non potevo tacere di fronte a questo problema di diritti civili…». Era attento agli equilibri politici, ma mi disse che più di ogni altra cosa gli interessava cimentarsi con l’amministrazione pubblica. Era consapevole che vincere le elezioni non sarebbe stata una passeggiata ma era convinto di potercela fae al primo turno, vedeva l’opposizione agguerrita ma comunque divisa. Mentre alle spalle aveva un Pd compatto. E non temeva neppure un ballottaggio: si rammaricava soltanto che sarebbe accaduto a giungo inoltrato, non proprio un periodo ideale per portare gli elettori alle urne. Perché tra le sue preoccupazioni più evidenti c’era il rischio dell’astensionismo, lo spettro della diserzione del voto che aveva segnato le ultime elezioni regionali. L’obiettivo doveva essere recuperare i voti dei simpatizzanti delusi del Pd. Ora che Enrico Liverani è scomparso, possiamo piangere la sua umanità e rammaricarci delle sue potenzialità ma è impossibile valutare se la città abbia perduto o meno un bravo sindaco. Sicuramente si tratta di una drammatica perdita per il Pd che aveva visto in Enrico la punta di diamante di una fase di rinnovamento della classe del partito capace di sostanziare reputazione e consensi perduti. Il partito lo aveva inquadrato e scelto intorno ad alcune caratteristiche precise: giovane, laico, di sinistra, in discontinuità. Oggi sull’orizzonte del Pd locale non si vede un altro simile profilo. Ed è un problema non da poco. Con il rischio di una sindrome da “commissariamento” che prelude a un ritorno al passato.

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