L’odio razziale, i rom e i Servizi sociali

Se ti permetti di criticare chi si augura di vederli tutti morti sei solo un buonista di sinistra. Se dai del razzista allora sei un ipocrita. O viceversa. Perché loro, i cittadini, sono esasperati, e tu non lo capisci.
Non è che ci sia molta fantasia, sul web. E quando si parla di rom la gente per bene non ci vede davvero più e arriva perfino ad augurare a dei bambini di fare la fine delle gomme del loro camper, tagliate, sgozzati. È successo più o meno questo dopo la messa on line del nostro articolo su una famiglia rom di Classe, già pubblicato sullo scorso numero di questo giornale. Tanto che abbiamo deciso di eliminare un post su Facebook per alcuni commenti che lo seguivano, chiaramente di incitazione all’odio razziale, reato previsto dal codice penale. Certo, nessuno qui è rimasto sorpreso del fatto che i rom siano il capro espiatorio ideale di una società in crisi e sempre più spaventata o che su di loro (con i musulmani  però in forte risalita in classifica grazie al terrorismo) si concentri la maggior parte dell’odio razziale degli italiani. Dovranno essere davvero molto bravi gli organizzatori della Settimana antirazzista, di cui parliamo in questo numero, a cercare di spiegare alla gente che non tutti i rom rapiscono i bambini (anzi, forse proprio nessuno, se non nelle bufale realizzate ad arte per il web), che non tutti i rom rubano, che non tutti i rom sporcano. Ed evitare di fare generalizzazioni quando si parla di un popolo intero non è affatto buonismo. Perché non significa voler difendere chi davvero ti ruba i gioielli in casa. Né far passare i rom per le vittime della nostra società. E neppure chiedere che siano aiutati dallo Stato a spese degli italiani (come se poi non ci fossero rom italiani). Ma solo cercare di non fare dilagare i pregiudizi e favorire invece un’integrazione già di per sé molto complicata, ma non impossibile. In questo senso fondamentale è l’intervento dei Servizi sociali (l’Asp) per tutelare perlomeno i bambini. Sì, anche i bambini rom, esattamente come tutti gli altri che si trovano senza una casa. Una politica forte non dovrebbe temere di utilizzare risorse pubbliche anche per gli “zingari”, in maniera trasparente, anche a fronte di un populismo dilagante. Il punto è che questi soldi  dovrebbero semplicemente essere spesi in maniera efficace, evitando che si ripeta un caso emblematico (nel suo fallimento) come quello di via Baronessa, con una famiglia di dieci rom cacciata da una casa appositamente trovata per loro e di cui pagavano l’affitto gli stessi Servizi sociali che avevano per giunta in affido i figli ma che ad un certo punto non sapevano nemmeno dove fossero finiti. Ora che hanno lasciato Ravenna, e forse l’Italia, all’Asp forse avranno festeggiato. Ma per una sconfitta.

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