Rigenerose azioni che fanno bene alla città

Fausto PiazzaPer una felice coincidenza in questo primo scorcio soleggiato di primavera sono sbocciate a Ravenna due iniziative che pur nella loro differenza di senso convergono verso un’idea di rinascita, rinnovamento, recupero di energie, intorno a due aree urbane della città: la zona sinistra della Darsena e l’antico Borgo San Rocco.

Le chiamerei azioni “rigenerose” che hanno preso piede e spessore, per ora come inneschi ma anche come percorsi in divenire, il cui valore, già di per se, è la condivisione del fine e la collaborazione nel merito fra diverse istituzioni, associazioni, imprenditori, volontari e cittadini attivi.

Nella zona più abbandonata e degradata della Darsena (in riva sinistra Candiano, fra via delle Industrie e il canale) col progetto europeo “Tempus” – realizzato da Cna Ravenna, Certimac, Unibo, in collaborazione con XX APS, Denara, Wasp, Rete Almagià – si è iniziato a rianimare la sede dell’Ex Consorzio Agrario, con la realizzazione di una cittadella di materiali di recupero ideata dallo studio di architettura Officina Meme. Per un fine settimana (dal 24 al 26 marzo) l’area è stata animata da eventi, performance artistiche, laboratori, incontri, concentrati nel riuso temporaneo e le prospettive di resilienza e rigenerazione ambientale dei rottami della fabbrica dismessa. Con lo scopo, almeno in questa fase preliminare, di sventare l’ulteriore degrado fisico e di vivibilità del sito.
Secondo Saveria Teston, coordinatrice del progetto, è solo un debutto: «non si tratta di uno spazio estemporaneo per animazioni culturali e sociali ma un potenziale laboratorio di indagine, ideazione e innovazione, dove studiare lec apacità autogenerative della natura, le nuove tecnologie antinquinati e in grado di riciclare risorse energetiche e materiali. Questioni che riguardano il suolo, l’acqua, le ri-edificazioni, la salubrità dei luoghi. Non si tratta di ideologia o solo di qualità della vita ma di ricerca e innovazione imprenditoriale, fondamentali per un recupero sostenibile della Darsena. L’auspicio è che “Tempus” sia anche un catalizzatore per altri spazi e progetti analoghi».

Un altro percorso di valorizzazione che è partito – in termini sociali, culturali e anche turistici – è quello che si snoda fra le porte (sono ben tre), le strade e le testimonianze storico-monumentali del Borgo San Rocco, uno dei più antichi fuori mura di Ravenna.
Anche qui un “comitato” di associazioni (TrailRomagna, Dis-Ordine, RavennaFood, Ecologia di Comunità, SlowFood), assieme a Comune, imprenditori e abitanti del borgo, ha presentato un progetto per favorire la riscoperta, l’animazione e frequentazione degli angoli più caratteristici e di aggregazione sociale del quartiere: dai complessi dell’ex Macello e del medievale Molino Lovatelli (fra i “luoghi del cuore dei ravennati” secondo un sondaggio Fai) alle osterie ottocentesche, dalla Bassa del Pignattaro ai Capannetti. In programma visite guidate, feste gastronomiche, eventi spettacolari e interventi artistici e di arredo urbano. Ma anche attività solidali e benefiche come quelle della Parrocchia di San Rocco e della Mensa di Fraternità.
Come obiettivo a lungo termine – io ci vedrei e credo anche molti dei promotori del progetto – anche una “trasformazione” urbanistica: “liberare” lo slargo intitolato ad Anna Magnani dall’utile (così si dice) ma pure squallido parcheggio (è palese), per farne uno snodo pedonale fra quartiere e centro storico disteso da porta San Mamante a porta Sisi. E riportare quello spazio – fino a meno di un secolo fa piazzetta di mercato e ancor prima caratteristico lavatoio popolare alimentato dalle acque  del canale del molino – un nuovo luogo di aggregazione. Di persone e non di automobili. Coraggio e determinazione dell’amministrazione comunale permettendo.

Intanto, come ravennati dovremmo “rigeneringraziare” chi ha avviato questi progetti: iniziative che cercano di allontanare, da un parte il rischio di sciagurate speculazioni immobiliari e finanziarie, dall’altra la cosiddetta “gentrificazione” urbana, spoliazione per ragioni meramente utilitaristiche dell’identità culturale e sociale di uno spazio storico e comunitario.
Sperando che possano ben proseguire in futuro, per il bene della città e e per i beni comuni dei cittadini.

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