Violenza sulle donne? Dare il buon esempio potrebbe pure non bastare…

Come capita spesso nelle discussioni che si infiammano sui social, ci sono due fazioni contrapposte, incredibilmente, anche quando si parla di donne ammazzate. Da una parte quella del patriarcato che è il male del mondo e degli uomini che devono scusarsi per essere uomini ogni volta che una donna viene uccisa; dall’altra quella che non accetta ancora di chiamarli femminicidi e si limita a bollare i vari omicidi come casi di cronaca con protagonisti uomini disturbati che hanno perso la testa.

Difficile entrare nel dibattito sulla violenza contro le donne senza abbondare di retorica. Difficile farsi ascoltare davvero dai maschi se troppo femministe. Se si scrive con gli asterischi e si intraprende una caccia alle streghe al contrario, senza riuscire più a sopportare il politicamente scorretto neppure in ambito culturale. Allo stesso tempo è difficile far capire – a chi non ci vuole proprio sentire  – pur senza voler vedere il patriarcato ovunque, che viviamo in una società tendenzialmente maschilista.

La cosa più facile, da giornalisti, ci è parsa essere quella di far parlare degli uomini, sull’ultimo numero del nostro giornale dedicato al tema, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Psicologi, attivisti, filosofi, avvocati, operatori culturali. Che cercano di spiegare in particolare ad altri uomini come si possa arrivare ad odiare le donne, o qualcosa del genere. Come si potrebbe cambiare mentalità.

Senza voler accentuare o sottovalutare un problema che spesso è strumentalizzato ma che senza timore di smentite è lecito dire sia piuttosto oggettivo: ci sono donne che muoiono per mano di compagni o ex compagni uomini. Che siano tante o  poche – come strilla per esempio in queste ora Nicola Porro o simili – se paragonate ad altre realtà non fa di certo differenza.

Il problema esiste ed è legato anche all’educazione impartita dalle famiglie e a quella del tutto assente (almeno finora…) delle scuole. Un problema che porta a crescere uomini che non riescono a gestire i rapporti sentimentali, che si sentono legittimati a poter decidere per la propria compagna, che le vietano di vestirsi in un certo modo, di uscire con le amiche e tutte quelle cose che state leggendo in questi giorni.

Non so se la si possa davvero insegnare l’empatia, l’affettività. Ma una cosa la possiamo fare. Dare banalmente il buon esempio. Da uomini, da padri. Insegnare il rispetto, fin dai piccoli gesti quotidiani. Spiegare ai figli maschi che nessuno è di nostra proprietà, aiutarli a gestire un rifiuto, fare attenzione a quello che si dice; insegnare alle figlie femmine che nessuno può dire loro cosa devono fare. Sembra facile, non sempre lo è.

E potrebbe pure non bastare, in una società come quella in cui viviamo, che rende i ragazzi allo stesso tempo sempre più fragili e più o meno inconsciamente maschilisti.

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