Violenze tra giovanissimi e la difficoltà di essere adulti: stiamo facendo abbastanza?

“Contro la violenza e l’indifferenza degli adulti”, così recitava lo striscione appeso dagli studenti di una classe del Ginanni poco distante dal luogo in cui un loro compagno di scuola era stato aggredito da altri ragazzi con una catena pochi giorni prima. Un episodio che ha sconvolto non solo quella comunità scolastica ma che soprattutto non appare così isolato.

Le cronache raccontano di baby gang a Faenza, di risse sedate fuori dalle discoteche, di violenze sempre più frequenti e (apparentemente) per motivi sempre più futili tra ragazzi giovanissimi anche dalle nostre parti. E questi giovanissimi sembrano ora puntare il dito contro gli adulti, che forse in realtà più che indifferenti, rischiano di essere impotenti.

In una società sempre più complessa, in rapido cambiamento, è di certo sempre più difficile essere figure di riferimento. Il problema forse è che essere adulti oggi è più difficile che un tempo, quando qualche certezza, magari qualche ideologia e soprattutto qualche speranza erano più facili da coltivare, quando non avevi l’impressione di vivere in un bilico perenne in cui anche realtà solide e di cui andare orgogliosi sembrano vacillare, in primis la sanità pubblica, in secundis le garanzie sul lavoro, gli stipendi e le pensioni e via discorrendo.

Le famiglie con figli sono numericamente meno, i ragazzi che mostrano sintomi di disagio sempre di più. Inevitabile dunque che sia più difficile essere anche genitori (ma pure nonni, zii, educatori in generale…). Quindi ben vengano gli incontri sul tema promossi dai Comuni, il counselling nelle scuole, i cicli di appuntamenti dedicati alle famiglie con gli adolescenti, ma tutto questo rischia di essere un goccia nel mare che peraltro non riesce a coinvolgere le famiglie forse in maggiore difficoltà.

La domanda è: quanto stiamo davvero attrezzando i servizi sociali, per esempio? Quanto stiamo sostenendo i figli delle famiglie con seri problemi economici? Ci stiamo accorgendo che la povertà economica riguarda proprio soprattutto le famiglie con i figli? Magari gli di seconda generazione che non possono contare sui patrimoni dei nonni… E quanti nuovi centri aggregativi pomeridiani abbiamo aperto e finanziato? E i servizi di salute pubblica che si occupano di disagio psichico? Quanta educazione e prevenzione sull’uso di sostanze stiamo facendo? Quanto la preoccupazione per il benessere degli studenti entra davvero nelle aule delle scuole medie e superiori ogni giorno se non per qualche spot calato dall’alto o per qualche buon proposito degli insegnanti? E come ci stiamo preoccupando dell’impatto dei social nella vita dei ragazzini?

La sensazione, a guardarsi intorno, è che forse no, non stiamo facendo abbastanza.

Per fortuna inaugura il nuovo festival della non-scuola di Ravenna Teatro, una delle realtà che da generazioni ormai riesce a parlare con gli adolescenti che vi prendono parte e che forse ha più da insegnare in termini di “educazione all’affettività” di tante conferenze sul tema. Ecco, ci vorrebbe forse un’altra idea altrettanto luminosa, ma forse, gli adulti di oggi, sono in difficoltà anche su questo…

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