Processo Poggiali: nessuna dichiarazione dall’infermiera, ora la camera di consiglio

L’ex infermiera non ha aggiunto nulla dopo la difesa dell’avvocato in replica al pm. Richiesto l’ergastolo. Sentenza dopo le 17.30

L’ultima udienza si è chiusa senza dichiarazioni conclusive dell’imputata: la 44enne Daniela Poggiali, ex infermiera dell’ospedale di Lugo a processo per l’omicidio di una sua paziente, non ha aggiunto nulla dopo le considerazioni finali fatte dal suo avvocato Stefano Dalla Valle. Il penalista è tornato a ribadire la richiesta di assoluzione dopo che il pubblico ministero Angela Scorza, nelle sue ultime repliche, aveva nuovamente ribadito la richiesta dell’ergastolo con isolamento diurno per un anno e mezzo. Gli otto giudici (due togati e sei popolari) della Corte d’Assise si sono quindi riuniti in camera di consiglio per il verdetto: la sentenza è attesa dopo le 17.30.

La difesa ritiene che la Corte debba assolvere l’imputata perché non c’è certezza che la morte di Rosa Calderoni, 78enne di Russi ricoverata nel reparto di Medicina dell’Umberto I, sia da imputare a cause esterne e non naturali. Ma anche se così fosse non ci sarebbero prove sufficienti per incolpare Poggiali oltre ogni ragionevole dubbio. Dalla Valle ancora una volta ha invitato i giudici a non farsi confondere dalle foto dell’ex infermiera in posa con un altro cadavere appena deceduto in reparto: «Un gesto inopportuno ma questo non fa di lei un’assassina». Per il pm invece in quelle foto sta la rappresentazione del movente: il piacere nel dare la morte da parte di una donna che in criminologia andrebbe considerata come «serial killer dominante». La procura non ha dubbi sulle cause esterne nella morte dell’anziana perché dall’autopsia non è emerso altro e non ha dubbio che si tratti di una somministrazione massiccia di cloruro di potassio visto che in entrambi gli occhi ne è stata rilevata una concentrazione troppo alta per essere fisiologica. Poggiali è stata l’ultima infermiera a somminsitrare terapie alla donna prima che finisse in coma e allora è lei che va condannata. Incertezze sulle modalità il pm non ne ha: potassio inserito nel deflussore della flebo collegata al braccio di Calderoni nei 5-10 minuti in cui l’infermiera rimase sola in camera con la paziente facendo uscire la figlia e chiudendo la porta per somministrare formalmente una normale flebo che non richiedeva particolare esigenze di privacy. Sempre seconda l’accusa poi Poggiali avrebbe sostituito l’ago cannula collegato al deflussore, rimosso dopo il decesso, per depistare le indagini. Per questo quello ritrovato nel contenitore dei rifiuti speciali – l’unico di quel giorno per l’accusa, non l’unico per la difesa – aveva sì potassio nel tubo ma Dna maschile nell’ago terminale.

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