La dolorosa vicenda di una famiglia ravennate, con la zia che ha chiesto in affido i bambini tolti alla sorella dai servizi sociali
«Chiamiamo ogni 15 giorni i Servizi sociali ma tutte le volte ci dicono di richiamare più avanti. O, al massimo, di scrivere una lettera. Ma noi vogliamo parlarci, con i bambini, vogliamo vederli. Anche solo in un autogrill e alla presenza degli assistenti sociali. Gli vogliamo dire che vogliamo loro bene e che non siamo noi a non volerli a casa». A parlare è la zia, una signora dall’aria forte (di cui non forniamo le generalità per non rendere riconoscibili i minorenni) che non può però fare a meno di scoppiare a piangere quando in redazione ci racconta, documenti alla mano, la storia dei suoi nipoti e di sua sorella, la madre dei bambini.
Una storia piena di dolore e di scelte sbagliate. «Mia sorella ha fatto tutto quello che di sbagliato poteva fare nella vita e per questo motivo non abbiamo nulla da ridire contro la sentenza del tribunale che ha deciso di toglierle i figli», continua la zia, che abita con il marito in un paese del Ravennate, in una grande casa con i suoi genitori, i nonni dei due bambini, che ora temono di non poter più rivedere i loro nipotini.
Lo scorso agosto una sentenza del tribunale per i minorenni ha incaricato i servizi sociali di occuparsi dei due piccoli, dando massima libertà all’Asp per quanto riguarda la regolamentazione del rapporto con la famiglia. E come ci ha detto il responsabile per i Minori dell’azienda pubblica, Samuele Bosi, può capitare che per un certo periodo sia necessario non fornire alcuna informazione (tranne quelle sullo stato di salute) alla famiglia.
«Ma sono passati sei-sette mesi e non sappiamo più come fare. Forse dovremmo chiamare Striscia la notizia? Gridare allo scandalo in tv?», si lamenta la zia, che prima che i bambini venissero tolti alla sorella, ne aveva già richiesto l’affido, nel luglio del 2015, con un’istanza inviata al tribunale, da cui però – ci dice – non ha mai ricevuto neppure una risposta.
«Io e mio marito non abbiamo figli, potremmo ospitare i nostri nipotini in quella che è casa loro, con i nonni che gli vogliono bene. Siamo persone rispettabili e con una vita senza macchie», continua la donna. Certo, il fatto di non essere riusciti a tutelarli finora o il rischio che la madre possa nuovamente avvicinare i bambini potrebbe in questa vicenda avere un peso fondamentale. «Ma non sento mia sorella da mesi, non so neppure dove abita, e se si dovesse presentare a casa nostra per vedere i bambini potremmo chiamare le forze dell’ordine, forti di un decreto che le impone di restare ad almeno 300 metri di distanza dai suoi figli. E per quanto riguarda quello che è successo finora, come potevamo noi, anche se siamo la sua famiglia, tenere a bada una donna adulta, che poteva portare con sé i propri figli ovunque e in qualsiasi momento?».
La mamma dei due bambini, stando anche a quanto riportato dal decreto del tribunale, si è sempre ribellata a qualsiasi sostegno istituzionale (mandando in frantumi anche una piacevole – per i piccoli – parentesi in una comunità nelle Marche) e il padre del bambino (quello della sorellina è invece ignoto) – sempre assente in questi anni e residente in una città lontana – rifugge dalle proprie responsabilità. Con gli zii e i nonni pronti ad accoglierli, il destino dei due fratelli forse non è mai stato così incerto.