«Il giornalismo stia più lontano dalle élite e più vicino alle persone»

Sarah Varetto, direttore di SkyTg24: «Un politico in meno e una storia in più aiutano a capire meglio il Paese»

«Ho cominciato a fare questo lavoro nel 1992 e se penso alla dotazione tecnica che avevamo allora, oggi il giornalismo è proprio un altro mestiere. Ma il bisogno di giornalisti rimane e il loro ruolo nel contesto di oggi diventa ancora più importante». Sarah Varetto ha 44 anni e dal 2011 dirige SkyTg24, il canale all news della pay-tv satellitare dove è arrivata nel 2003 occupandosi di economia. Il 27 novembre sarà al teatro Alighieri per ritirare il premio Guidarello al giornalismo d’autore assegnato da Confindustria Romagna (vedi tra i correlati per i nomi di tutti i premiati).

Direttore, partiamo proprio dal Guidarello: un premio al giornalismo è il tentativo del settore di non avvilirsi oppure non è vero che c’è crisi nei giornali? Insomma, come se la passa il mestiere?
«Lo stato di salute del mestiere dipende molto da quali media prendiamo come riferimento. Vediamo che c’è una crescita della diffusione e del consumo di informazioni attraverso smartphone e siti web, spesso a discapito della carta stampata. Però la tv in Italia resta per molti la fonte principale di notizie. Cambiano i mezzi e le piattaforme attraverso cui si distribuiscono le notizie e questo rende ancora più necessario un ruolo del giornalista come garante della veridicità dei fatti o come selezionatore: ecco perché non abbiamo mai mandato in onda un solo frame dei video dell’Isis: non ci sto a fare da gran cassa. Il pubblico non vuole panzane».

E forse il pubblico resta anche un po’ deluso quando i media sbagliano la lettura della realtà come accaduto con Brexit e Trump…
«Non si può raccontare l’America guardandola da New York. Il problema di molto giornalismo, non solo italiano, è essere troppo contiguo all’establishment: bisogna stare più lontani dalle élite che governano e più vicini alle persone. I miei giornalisti li mando fuori a raccogliere le storie: un politico in meno e una storia in più aiutano a capire meglio come cambia il nostro Paese».

Tra le nuove piattaforme di fruizione ormai quotidiana per molti c’è il web. Ma i dati dicono che la produzione di news online non è proprio una macchina da soldi per gli editori. Il settore si sta interrogando su quali modelli di business abbracciare?
«Bisogna capire in che modo e maniera farsi remunerare il lavoro fatto. Ogni azienda sta facendo i suoi ragionamenti, dal paywall all’advertising: il settore è in sviluppo, per adesso non fa soldi a palate ma è destinato a crescere».

Quanto incidono i dati di ascolto sulle scelte di redazione?
«Sulla linea editoriale ben poco perché anche se siamo visibili in chiaro sul digitale terrestre siamo una paytv e per noi la cosa più importante è la soddisfazione degli abbonati. Però quando capita di sperimentare qualche linguaggio nuovo può essere interessante misurare l’apprezzamento».

Quante telefonate riceve il direttore di SkyTg24 dalla politica?
«Pochissime. Alle spalle abbiamo un editore puro che fa questo di mestiere e quindi è lontano da conflitti di interessi veri o potenziali. Siamo liberi e la politica questo lo sa, ormai è consolidato».

Cosa c’è nel futuro più prossimo del giornalismo?
«La professione avrà un brillante futuro se saprà adattarsi alle trasformazioni delle nuove tecnologie. Al centro c’è sempre la notizia che si diffonde a raggiera attraverso tutti i canali oggi a disposizione di una testata».

Può accadere che un giornalista d’inchiesta sappia fare un buon lavoro sulla carta stampata ma non altrettanto per un canale televisivo?
«Sono mestieri diversi, le modalitù del racconto sono diverse. Una bella inchiesta tv richiede non solo la capacità del giornalista di trovare i fatti e raccontarli ma anche quella di saper catturare immagini belle. C’è differenza».

Il futuro quindi sarà confezionare la stessa notizia in maniera diversa per pubblici diversi?
«Parliamoci chiaro: con gli smartphone oggi nessuno aspetta l’edizione delle 20 del Tg per avere le notizie. Però è ovvio che su un telefonino posso leggere le breaking news mentre un servizio di approfondimento andrò a cercarlo su altri canali. Il futuro dell’informazione risiede nella capacità di una testata di adattarsi ai nuovi linguaggi di racconto. Ad esempio noi di SkyTg24 già adesso cerchiamo di curare certi prodotti con un taglio più simile al racconto della serialità televisiva che è quella con cui il pubblico ha più confidenza».

Facendo così ne risente la sacralità dell’informazione?
«Mi sa che se continuiamo a parlare della sacralità dell’informazione finiremo per rinchiuderci in un santuario. Dobbiamo uscire dagli schemi vecchi: l’impegno del giornalista è raccontare la realtà ma questo non toglie che si possa fare con linguaggi più moderni, sfruttando la tecnologia che abbiamo visto arrivare nel corso degli anni».

Come tanti giornalisti l’esordio è stato in una testata locale, una televisione piemontese. Quanto detto finora per le grandi testate nazionali sulla necessità di adattarsi vale anche per l’informazione locale?
«Sono fermamente convinta che anche il locale debba percorrere tutti i canali. La domanda di informazione locale penso che resterà sempre. Veniamo da un’epoca in cui le élite consideravano positivo tutto quello che era sovranazionale a prescindere dal caso specifico e questo ha avuto forse un ruolo nella scarsa capacità di governare la globalizzazione. Come effetto di questo ora c’è una voglia di chiudersi nella propria comunità».

E quindi il giornalismo partecipativo va tenuto in considerazione…
«È inevitabile perché la tecnologia di oggi fa in modo che chiunque possa diffondere la sua testimonianza di un evento».

Così siamo arrivati al mondo dei social network. Il direttore di SkyTg24 ha un profilo Twitter ma non Facebook. È una scelta particolare?
«Diciamo che uso i social quasi esclusivamente per lavoro: mi informo sui social e mi interessano come fenomeno dove si costruiscono tendenze che di veritiero hanno ben poco».

Una curiosità collegata al tema social. Nella breve bio su Twitter c’è scritto direttore e non direttrice. Sul tema del linguaggio di genere si dibatte molto: che linea vi siete dati in redazione? È una questione su cui i media dovrebbero porsi una riflessione?
«Per me la questione non è dirimente. Credo che sia più importante che le donne arrivino in posizioni apicali della declinazione di un titolo. E poi l’Accademia della Crusca le considera entrambe corrette».

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