I dati della diocesi, che risponde alla campagna degli atei per l’ora di alternativa. «Non è catechismo, ma cultura religiosa»
La diocesi di Ravenna-Cervia in una nota sottolinea come non si tratterebbe di un’ora di catechismo, «ma di cultura religiosa svolta secondo i programmi del Ministero. Per come è fatta oggi – continua la nota della diocesi –, l’ora di religione è diventata così un’opportunità non solo culturale ma anche esperienziale adatta a tutti. Anzi molti studenti, anche stranieri, di religione diversa, la apprezzano perché è l’ora del dialogo e del confronto dei ragazzi tra loro e con un insegnante laico (ma “approvati” dal vescovo, ndr) competente su argomenti religiosi e vitali, non solo una esposizione corretta delle caratteristiche della religione cristiana, che comunque interessano molti».
Piuttosto forte, poi, la posizione del del settimanale diocesano Risveglio Duemila che nell’editoriale di questa settimana scrive che non far fare religione ai propri figli «significa prendere una decisione impegnativa: privare i propri figli di chiavi importanti di lettura della nostra cultura contemporanea, e di quel laboratorio di umanità che quasi sempre rappresenta quest’ora all’interno del contesto scolastico». Perché, «contrariamente a quel che alcuni vogliono farci credere, l’Irc è un’opportunità per tutti», «un’ora per scrivere la propria vita», indipendentemente «da ciò che si farà da grandi», termina il comunicato, replicando chiaramente alla campagna della Uaar.