Disagio mentale: sempre più difficile reperire psichiatri per il servizio pubblico

Roberto Zanfini parla del ruolo, delle attività e dei numeri del Dipartimento di salute mentale nel ravennate, replicando anche alle lamentela sulla carenza di personale

 

Zanfini

Roberto Zanfini

Questione cruciale che riguarda sempre più persone, la salute mentale è stata identificata anche dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità come una delle sfide cruciali del nostro tempo, con il numero di persone affette da depressione in costante crescita. Da tempo, tuttavia, i famigliari delle persone che soffrono di patologie mentali lamentano una carenza da parte dell’Ausl che deve far fronte a una richiesta sempre maggiore di prestazioni, l’argomento è stato anche recentemente trattato in consiglio comunale grazie a un’interpellanza di Alvaro Ancisi e sarà affrontato in una commissione ad hoc. Noi intanto abbiamo rivolto alcune domande a Roberto Zanfini, direttore emergenza urgenza psichiatrica ambito territoriale di Ravenna.

Quante persone sono seguite dal Dipartimento di salute mentale?

«Il numero delle persone che si rivolgono ai Centri di salute mentali che afferiscono al Dipartimento varia di anno in anno attestandosi tra le 5.500 e le 6.500. Una parte di queste prosegue i trattamenti per diverso tempo e ha interventi complessi e integrati non solo multiprofessionali (trattamenti che prevedono l’intervento di più figure professionali) ma anche di più servizi. I trattamenti non sono solo quelli farmacologici, ma anche quelli psicologici e psicosociali. L’obiettivo del trattamento è quello della guarigione della persona, dove per guarigione si intende non solo quella sintomatologica ma anche quella funzionale, ossia il recupero delle abilità ottenuta attraverso interventi riabilitativi e personali, cioé il raggiungimento di un grado di soddisfazione rispetto alla propria esistenza. Per il raggiungimento di tali obiettivi è necessaria la motivazione della persona e il coinvolgimento dei familiari, di altri servizi, dell’associazionismo e di settori economici per il lavoro. In altre parole ogni persona ha un piano di trattamento individuale che prevede il coinvolgimento oltre che di altre persone anche di altri servizi e istituzioni che non sono solo sanitari. Per questo il Dipartimento, a partire dal 2017 ha puntato molto su un metodo di lavoro che mette in pratica i principi sovraesposti, denominato Budget di Salute. E l’ambito territoriale di Ravenna è stato scelto come territorio di sperimentazione. I trattamenti in base alla loro intensità possono essere anche territoriali e riguardare gli ambienti di vita della persona, eseguiti in appartamenti supportati, in semiresidenze e in residenze. Talvolta avvengono in regime di ricovero. Il Spdc di Ravenna esegue oltre 700 ricoveri all’anno e per quasi il 90% si tratta di ricoveri volontari. Un risultato degno di nota è stato quello di aver raggiunto la capacità di gestire le situazioni di crisi senza ricorrere alla contenzione meccanica di cui l’ultima risale all’agosto del 2016».

Quali le patologie più frequenti e quali quelle in maggiore aumento?

«Rispetto ai disturbi trattati quelli prevalenti sono i disturbi dello spettro schizofrenico, quelli dell’umore e i disturbi di personalità. I trattamenti non vengono però forniti solo in base alla diagnosi ma principalmente in base ai bisogni della persona al fine del raggiungimento degli obiettivi di guarigione. Negli ultimi anni si è osservato un incremento dei disturbi di personalità e dell’associazione tra abuso di sostanze e disturbo mentale».

L’Oms nel 2017 ha diramato cifre impressionanti sulla depressione che sembra essere in rapido aumento e provocare problemi su più fronti. Quali sono i numeri in provincia di Ravenna?

«I disturbi dell’umore, in generale, risultano in incremento. Ma non tutti gli studiosi sono concordi sul ritenere questo fenomeno come reale. Molti pensano che tale situazione non sia reale ma che rappresenti l’espressione del fatto che i criteri per eseguire la diagnosi di un disturbo dell’umore siano stati ampliati. E che quindi siano attualmente diagnosticate come malattia situazioni che prima non erano considerate tali, bensì esperienze sì dolorose, ma fisiologiche. È comunque vero che in questi ultimi anni i disturbi psichici che giungono all’osservazione sono diversi e talvolta completamente nuovi. Sono ormai rarissime le condizioni di tipo catatonico come pure quelle di tipo isterico e vi è anche una netta riduzione dei disturbi di tipo schizofrenico che oltretutto non si manifestano più con gravi destrutturazioni psichiche come lo stereotipo culturale descrive. La modificazione della manifestazione dei disturbi psichici nel corso del tempo è un fenomeno che è stato sempre conosciuto e denominato “effetto patoplastico”».

Nel luglio scorso l’associazione di famigliari di malati psichici adulti denunciavano forti carenze mediche: 25 medici sui 34 del passato per mancate sostituzioni. Qual è la situazione a oggi?

«Premessa fondamentale: il numero dei medici per 100 mila abitanti presenti a Ravenna non è diverso da quello di altri ambiti territoriali. Dopodiché il problema del reperimento degli psichiatri è un problema con il quale ci si dovrà confrontare sempre di più come già avviene da diversi anni in altri paesi. Un dato: quando io mi sono specializzato a Bologna si diplomavano 20 psichiatri all’anno e adesso 6. E comunque l’Ausl Romagna ha messo in campo tutto quello che era in suo potere per poter sanare la situazione, ma diverse persone hanno rifiutato l’offerta di lavoro tra cui anche dei tempi indeterminati. A breve vi sarà un altro concorso e si spera che con questo si possa sanare le criticità».

Esiste un rischio burn out, di stress professionale, per gli operatori del settore?

«In qualsiasi attività lavorativa è presente il rischio di burn out. Questo però è particolarmente vero in alcune professioni e in alcuni contesti lavora tivi. Il burn out è comunque un fenomeno complesso e sono previsti dei percorsi aziendali di supporto agli operatori».

Per quello che invece è il disagio psichico più diffuso e meno invalidante, se c’è un settore in cui il privato sopperisce alle esigenze è proprio quello del disagio psicologico. Perché? Se una persona pensa di essere per esempio depressa o soffre di ansia o attacchi di panico a chi deve rivolgersi? Come viene accolta e trattata dal servizio pubblico?

«Il servizio pubblico è tenuto a erogare le prestazioni previste dai Lea, i livelli essenziali di assistenza definiti dal Ministero per la Salute. La disabilità che il disturbo provoca non è tanto dovuta alla diagnosi ma alla disfunzioni e alle menomazioni che questo provoca. Per cui vi possono essere diagnosi “minori” con alta compromissione del funzionamento e diagnosi “minori” con bassa compromissione del funzionamento. In altre parole non “una diagnosi un tipo di problema” ma “una persona un tipo di problema”. Oltre a un accesso ai servizi attraverso le vie ordinarie come il Cup e il Pronto Soccorso sono previsti accessi facilitati ed è per questo che vi è una forte integrazione con le case della salute».

Sappiamo quante persone fanno uso di psicofarmaci in provincia?

«A livello nazionale gli psicofarmaci sono tra le classi di farmaci tra le più prescritte, in particolare gli antidepressivi e le benzodiazepine. Gli psichiatri non sono però gli unici prescrittori essendo gli psicofarmaci prescritti anche da altri medici».

Il pubblico collabora a progetti specifici di prevenzione nelle scuole, nei luoghi di lavoro?

«La prevenzione primaria in psichiatria è difficile perché non si conoscono le cause dei disturbi psichici che sono comunque, come per tutte le malattie, multifattoriali e non solo biologiche. Ci sono progetti di collabora zione con le scuole e con i Consultori volta a individuare quelle forme di disagio definite come stati mentali a rischio che rapppresentano quelle condizioni di maggior probabilità di manifestare nel corso del tempo un disturbo psichico. La fascia di età interessata è quella adolescenziale».

Esistono dati precisi sui suicidi negli ultimi anni? È una tendenza in crescita?

«L’Istat pubblica annualmente i dati nazionali sui suicidi. Il numero delle persone in trattamento al Csm che si suicida è tendenzialmente costante nel corso del tempo e si tratta, fortunatamente, di poche unità all’anno».

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