Salute mentale, i famigliari dei pazienti: «Il servizio dell’Ausl è inadeguato»

Il presidente dell’associazione Porte Aperte: «Ci sono 25 medici invece di 34. E i malati nel Ravennate sono circa seimila»

Depression

Hanno intenzione di contattare e sollecitare tutti i sindaci dei principali comuni di Ravenna e della Romagna e i direttori dei Distretti sanitari, oltre a chiedere nuovamente un incontro con i vertici dell’Ausl per lamentare quelle che, a loro dire, sono mancanze sempre più tangibili ed evidenti nel servizio sanitario che si occupa del disturbo mentale negli adulti. Sono i membri di Porte Aperte, un’associazione che conta un centinaio di famiglie che vivono la difficile realtà del disturbo mentale in un familiare, spesso il figlio, e da anni opera sul territorio organizzando anche convegni e cercando di difendere i diritti dei malati. Il presidente è Valerio Cellini che ci spiega le ragioni di questa nuova iniziativa: «Da quando è nata l’Ausl unica della Romagna è successo esattamente ciò che molti, anche tra i primari dei reparti interessati, avevano previsto: sul territorio non c’è più nessun “responsabile”, ma solo un referente che ha moltissimo da fare e pochissimi poteri effettivi, con un calo dell’organico ed enormi problemi per gli assistiti. I servizi di salute mentale sono inadeguati».

Cellini riconosce miglioramenti avvenuti sotto gli anni della direzione del Dipartimento di Salute Mentale ravennate della dottoressa Carozza, a cominciare dalle condizioni in cui si trova chi viene ricoverato, ma oggi denuncia una situazione di grave difficoltà  per la stragrande maggioranza dei pazienti, dovuta innanzitutto alla mancanza di medici. «Non si fanno più sostituzioni e oggi ci sono 25 medici in servizio sui 34 che erano. Alcuni psichiatri  hanno in media 300 pazienti, come si può sperare che si possano davvero seguire e monitorare casi anche molto complessi con così poche risorse?». E così, anche a chi servirebbero incontri settimanali si riesce a garantire non più di un incontro al mese, è la denuncia di Cellini. Quando da tempo ormai tutti gli studi indicano come strada maestra da intraprendere quella di una “presa in carico” del paziente da parte di un’équipe di specialisti per arrivare quando possibile alla guarigione completa o almeno alla cosiddetta “guarigione sociale” cioé alla possibilità per chi è affetto da disturbi psichici di interagire con gli altri. «Molte di queste persone, anzi la grande maggioranza, se adeguatamente supportate, sono in grado di lavorare e possono diventare autonome, ma serve un percorso, serve un supporto che oggi solo in pochissimi riescono ad avere». Perché stiamo parlando di cifre a tre zeri.  Cellini dice che ci sono circa 6mila pazienti nella sola Provincia di Ravenna (circa 18mila in tutta la Romagna) di cui un terzo grave, con patologie che vanno dalla Psicosi alla depressione. Le persone prese in carico con interventi anche riabilitativi sono in numero estremamente insufficiente. «Il nostro obiettivo è continuare a dire che si può stare meglio, se non guarire, che altrove succede, che il diritto alla salute va garantito e anche l’inclusione di queste persone, vogliamo lavorare per superare lo stigma sociale. Anche i media hanno un ruolo importante – aggiunge – quante volte sentiamo dire “seguito dai servizi” di qualcuno che ha commesso un delitto. Ma la verità  statistica è che  queste persone sono pericolose per se stesse, perché tra loro c’è un tasso di suicidio più alto rispetto al  resto della popolazione, mentre in proporzione il dato relativo ai fatti delittuosi è più basso. Sono persone fragili e sensibili, spesso travolti dalla velocità  di questa società  rispetto alle quali si trovano impreparati».

Ma, appunto, Cellini insiste: esistono percorsi di uscita possibili. «Sarebbe importante la piscoterapia, ma non abbiamo psicoterapeuti né dal sociale, né dal sanitario». Ecco allora il nuovo appello e un tentativo di sensibilizzazione sul territorio che va a unirsi, per la verità, a quelli di altre realtà che si occupano di salute mentale a cominciare dall’Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale, del Sunas, Sindacato Professionale degli Assistenti Sociali alla Società  Italiana di Epidemiologia Psichiatrica. E non è forse inutile ricordare come solo ad aprile scorso l’Organizzazione mondiale della sanità  lanciava l’allarme per il continuo e drammatico aumento dei casi di depressione. Il paradosso è che questi appelli e le raccomandazioni sono state di fatto accolte dalle istituzioni, visto che la Conferenza Stato-Regioni ha approvato un documento dal titolo “Piano di azioni nazionale sulla salute mentale” che l’associazione Porte Aperte definisce “molto avanzato” e “con il taglio giusto”. Peccato che all’articolo 1 venga anche precisato che “per le attività  previste dal presente accordo si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. E la sensazione, secondo i famigliari dei malati, è che non solo negli ultimi anni non sia aumentata la spesa per una domanda e richiesta comunque in crescita, ma che addirittura stia subendo dei tagli. Con buona pace dell’Oms e degli allarmi di questi anni lanciati da tanti specialisti.

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