Il ravennate che vent’anni fa inventò il bike sharing: 80mila chiavi in circolazione

Fulvio Tura a fine anni Novanta lanciò le bici gialle e rosse nella sua città. Il servizio ora è in altre 130 località italiane e il fondatore è diventato il collaboratore della startup asiatica Obike che ha portato le bici condivise a flusso libero

BicirosseSe non puoi batterli, unisciti a loro. Un vecchio adagio che Fulvio Tura, dopo vent’anni nel campo dei pedali, ha preso alla lettera. L’imprenditore ha lanciato alla fine degli anni Novanta “C’entro in Bici”, il primo servizio di biciclette pubbliche, quello che oggi si chiama “bike sharing”. Con gli inglesismi sono arrivati gli asiatici che hanno cannibalizzato il mercato e spazzato via la concorrenza, fatta di piccoli artigiani locali che non potevano competere con l’economia di larga scala del Sol Levante. Ora Tura collabora con loro.

Il progetto “C’entro in Bici” a Ravenna era il servizio delle biciclette pubbliche rosse (per i cittadini) e gialle (per i turisti) che funzionavano con le chiavi distribuite nei negozi e uffici turistici. È nato così: «Era la fine degli anni Novanta – ricorda Tura – e studiavo dei progetti pensati per i negozianti. Da poco era stato aperto l’Ipercoop e qualche commerciante mi aveva chiesto un’idea per non subire la concorrenza della grande distribuzione. L’idea mi è venuta in spiaggia». Nello specifico, Tura ha pensato ad una chiave universale – distribuita nei negozianti e non replicabile – che potesse aprire tutte le biciclette pubbliche nelle rastrelliere di “C’entro in Bici”. Inizialmente le biciclette distribuite a Ravenna erano una ventina, poi sono via via aumentate perché il servizio era piaciuto subito ad amministrazione e città. Così il progetto si è allargato anche in altre città in Italia. Più di 130 i Comuni e che si sono rivolti a Tura per esportare l’idea. «Oggi ottantamila italiani hanno la chiave che apre queste biciclette e che avevo fatto studiare alla Cisa. Il brevetto era mio, quindi insieme al Comune abbiamo fatto piuttosto in fretta a metterlo in piedi», dice l’imprenditore con un certo orgoglio. Non tutto, però, è stato rose e fiori: «L’esperienza nella maggior parte dei territori che l’aveva è terminata dopo poco tempo». La colpa non era ancora delle startup asiatiche ma di un certo modo di fare politica: «L’amministratore di turno lanciava il servizio di bici pubbliche perché magari andava di moda. Poi arrivava il successore, oppure cambiava il colore della giunta, e allora portare avanti un servizio lanciato da un altro, con costi di manutenzione, sembrava poco conveniente dal punto di vista politico. Così veniva semplicemente abbandonato». Nonostante tutto, in qualche comune il progetto sopravvive ancora.

Dall’Asia hanno invaso il mercato delle biciclette pubbliche in tempi recenti e in tutta Europa le piccole aziende, che non possono permettersi di competere con questi colossi, hanno chiuso bottega. «Potevo cambiare mestiere – dice Tura – e in fondo un tempo mi reinventavo ogni quattro anno. Oggi però di anni ne ho 60 e forse non è il caso, così ho contattato la ditta chiedendo se erano interessati a venire a Ravenna. Non lo erano: città troppo piccola per i loro volumi. Le cose sono cambiate però quando ho prospettato loro un progetto su tutta la riviera romagnola». Così Tura oggi fa manutenzione e gestisce la distribuzione delle bici di O-Bike, la ditta che ha lanciato il free floating a Ravenna (vedi pagina 12). «Hanno bisogno di qualcuno che svolga questo servizio e che conosca il territorio», spiega l’imprenditore che in questi giorni è impegnato con la distribuzione delle biciclette anche in altri comuni della riviera. Sul rischio furti e danneggiamenti sostiene che «fa parte del rischio di impresa. Di solito nei primi tempi può capitare che le bici vengano rubate o danneggiate. Però se vengono utilizzate è un costo che viene ben assorbito dai bilanci».

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