«L’università ha bisogno di più spazi e tornare un luogo dove socializzare»

Dopo 21 anni da docente, il geografo Mario Angelo Neve è stato eletto presidente del campus. E lancia una proposta di cooperazione tra sedi

Palazzo Corradini Campus Università

Palazzo Corradini una delle sedi del Campus universitario di Ravenna

«L’università a Ravenna ha bisogno di nuovi spazi che devono avere i servizi adeguati per le esigenze di studenti e docenti».
Nelle parole del professore Mario Angelo Neve c’è la missione del mandato triennale, appena iniziato, come presidente del campus. Un nuovo incarico per il docente di Geografia che iniziò la carriera accademica a Ravenna ventuno anni fa come ricercatore al dipartimento di Beni culturali.

Professor Neve, dove troverete gli spazi di cui ha bisogno il campus?
«Prima di tutto deve essere chiaro che gli spazi sono condizione necessaria ma non sufficiente: vanno fatti funzionare con i servizi giusti. Faccio un esempio: la caratteristica di Ravenna di avere un campus diffuso con più sedi è bella ma i palazzi storici del centro non sempre sono adeguati a fare lezione. Ambienti enormi con caratteristiche acustiche e di impianto che hanno bisogno di adattamenti notevoli per essere adeguati alle normative vigenti».

A quali altre soluzioni state guardando?
«Ci sono diverse possibilità. Ma sono solo ipotesi su cui ragionare. A breve il rettore sarà in visita in città per un sopralluogo complessivo, e sarà l’occasione per fare il punto, anche in considerazione delle necessità del nuovo corso di Medicina. Ma c’è bisogno di una visione a medio-lungo termine».

Il bisogno di spazi del campus è una risposta ai tempi pandemici?
«La pandemia ha solo accelerato un bisogno che si vedeva da anni con la costante crescita delle iscrizioni. Un esempio concreto può rendere l’idea. Prendiamo la magistrale in Cooperazione internazionale. L’accesso è con selezione, quest’anno gli iscritti sono 120 ma l’aula più grande che abbiamo ha 60 posti. Cerchiamo di gestire la cosa come si può. E dobbiamo tenere presente che metà degli iscritti sono stranieri da oltre 30 Paesi diversi che quindi hanno scelto questo corso con l’idea di seguirlo da frequentanti».

La pandemia che ha costretto a nuove dotazioni per strutturare in modo più funzionale la didattica a distanza quindi è stata un vantaggio…
«È un paradosso ma in effetti è così, tenendo conto anche che l’affluenza degli studenti all’università di Ravenna non ha quelle caratteristiche di massa che devono fronteggiare le scuole superiori».

La didattica mista, in presenza e a distanza, ha anche ampliato l’accessibilità agli studi universitari?
«Sicuramente per qualcuno è stato un vantaggio. Prendiamo gli studenti lavoratori, per loro c’è uno strumento più flessibile. Però il risvolto della medaglia è che per funzionare davvero si deve tendere alla spettacolarizzazione».

Neve Presidente Campus Università 2022

Mario Angelo Neve, presidente del Campus universitario di Ravenna

Non più lezioni ma show televisivi?
«In un certo senso è così. In carriera mi è capitato di fare lezione a gruppi di 120 persone in presenza e già era molto diverso rispetto a farlo in un’aula di 40: è come un comizio, sei molto più generico, hai poco contatto visivo. Se poi parliamo di situazioni miste con persone in presenza e altre collegate allora la spettacolarizzazione è inevitabile. Mantenere l’attenzione davanti a uno schermo per 6 ore è qualcosa di impensabile, soprattutto perché la generazione a cui ci rivolgiamo non è abituata ad alti livelli di concentrazione per lunghi periodi. Possiamo dirlo senza timore. E il docente deve arrivare a tutti, tende per forza a semplificare, deve accentuare gli elementi che alleggeriscono il discorso, deve usare immagini e video. Invece di fare lezione faccio Alberto Angela: non ho nulla contro Angela, che fa un ottimo lavoro, ma è televisione, non una lezione universitaria».

Dagli studenti quali sollecitazioni arrivano?
«Ho avuto modo di fare incontri durante il mio percorso di candidatura alla presidenza e ho sentito molte proposte intelligenti. In particolare si avverte il bisogno di riportare l’università ad essere un luogo in cui la cultura è un elemento di socializzazione e non solo un mezzo per trovare lavoro. L’università non può essere fatta di pendolari che timbrano il cartellino per lezioni e esami. Dobbiamo puntare a una popolazione universitaria che abbia più possibilità di vivere la città, ad esempio immaginando spazi di coworking molto flessibili e utilizzati per attività diverse. Lo studente può andare a teatro e fruire di uno spettacolo ma se riesce a contribuire a creare cultura è un’altra cosa».

Entra in carica nel mezzo di una pandemia. Cosa vede nel futuro del campus?
«Il momento più delicato l’ha vissuto certamente la professoressa Elena Fabbri che mi ha preceduto. Ora la situazione è più delineata. Io credo che sia importante impostare una pianificazione a medio termine su un orizzonte di 3-4 anni. Dobbiamo uscire dal ragionamento di voler risolvere problemi quando si presentano per non impiccarci alle emergenze. Prima dell’estate prepareremo un piano da presentare al Consiglio e faccio la stessa proposta agli altri campus per coordinarci: cooperare è meglio che competere».

Ma sa benissimo che i campanili esistono…
«Non ho nulla contro i localismi, la diversità è una bella cosa, se non diventa stucchevole. È giusto che ogni campus abbia le sue specificità ma queste non devono essere pretesti per non andare avanti. Cooperare non è qualcosa di mieloso, radical chic. La cooperazione vuol dire anche scontro: non bisogna avere paura del conflitto a patto che sia un confronto aperto e costruttivo».

Eredita un campus che ha appena registrato il record di aumento di iscrizioni, lo stesso campus in cui insegna dal 2000. Di cosa è figlia questa crescita?
«Tutti hanno fatto uno sforzo di razionalizzazione dei corsi. Di fronte alla moltiplicazione dei corsi che accadeva negli anni passati, Ravenna ha saputo armonizzare e ha attirato gli studenti che hanno capito le scelte fatte dietro ai corsi. Quando ogni campus della Romagna ha dovuto trovare la propria offerta specifica, a Ravenna si è puntato sul patrimonio ambientale e culturale. Invece di corsi con attrazioni superficiali che fanno scena, come vediamo nei supermercati delle università private online, si è andati a valorizzare le specificità esistenti senza cercare l’originalità a tutti i costi. Non è facile avere studenti da Germania, Francia e Inghilterra. Significa che hanno trovato un’offerta che apprezzano».

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