martedì
08 Luglio 2025
divagazioni

Gambe contro briciole: le stranezze del parlato dialettale ravennate

Condividi

Tin Bota Te BotaDi recente ho letto su queste pagine un Bombolone che dopo la visita di Ursula von der Leyen sviscerava giustamente le differenze territoriali secondo le quali, di luogo in luogo, è più corretto dire tin bota o te bota. È bello sapere che questo dibattito esista anche al di fuori della mia mente di expat, di cesenate trapiantato a Ravenna che passa una parte vergognosa del suo tempo libero ad annotare differenze linguistiche tra la sua terra d’origine e la sua terra d’adozione.

In ogni caso un approfondimento sulle peculiarità linguistiche del ravennate, così come registrate da un foresto, era da tempo nei progetti di questa rubrica, e questo mese ci tocca. La principale differenza tra il dialetto romagnolo parlato a Ravenna e il dialetto romagnolo parlato a Cesena è che a Ravenna ogni parola ha dodici o tredici vocali in meno. Prendiamo ad esempio il pane, la principale misura della civiltà n dai tempi dei Promessi Sposi e forse da ancor prima. Il pane, quello che voi chiamate E PÉ, noi cesenati lo chiamiamo E POAÈIN. Mettiamo di andarlo a comprare con il cane, che i ravennati chiamano e ché e i cesenati chiamano e caein. Va detto che a Ravenna si fa prima. A Ravenna è relativamente facile dire a un tuo familiare che porti il cane a fare una passeggiata e ti fermi a comprare il pane, mentre nella mia città di origine se dici “a port fora e caein e a vag a to e poaein” potresti rimanere per sempre intrappolato nella modulazione delle vocali di uno dei due complementi oggetti. Mettiamo che il forno sia a Marina, che un ravennate chiama marèna, e per un ravennate si tratta di un luogo preciso e specifico compreso tra la rotonda della Colonia e la riva sud del canale Corsini, mentre per un cesenate è una parola che si pronuncia più “maraoeoaeoina” e identifica più o meno l’intera costa adriatica e forse anche le altre. Ok, sto divagando. Poi insomma bisogna superare l’impasse e non indulgere troppo nel campanilismo, e quindi a un certo punto sei davvero entrato dal fornaio, con o senza cane.

Dal fornaio succede una cosa stranissima, perché c’è tutta una serie di prodotti che potete comprare e che a Cesena hanno tutti nomi diversi – c’è la pagnotta dolce stesa, c’è la pizza, ci sono le pizzette, c’è la spianata. A Ravenna queste cose per qualche motivo si chiamano tutte “pizza”. Tu sei lì a fare la la cercando di succhiare conoscenza dalla persona che sta ordinando, e a un certo punto inizi a sentirti un corpo estraneo all’interno di un agglomerato sociale con fortissime leggi interne, fondamentalmente incomunicabili all’esterno di quel corpo tribale, come in un mondo movie o uno Scorsese d’annata. Mi dai quel pezzo di pizza e poi se non ti scoccia ti prendo un altro pezzo di pizza, ce l’hai la pizza con l’olio? Quanto la fai la pizza dolce?

Ok, intendo, sì, nella vita i problemi sono anche altri. Però, come dire, uno va ad abitare in Croazia e si aspetta che nelle prime settimane ci possa essere qualche problema a capire e a farsi capire, una cosa che quando ti trasferisci dalla Romagna alla Romagna fa un po’ di effetto perché, insomma, ovvi motivi.

Le mie prime frequentazioni ravennati mi hanno abituato all’idea che il ravennate pronunci la parola “diverso” in modo divérso dal modo in cui la pronunciano il resto degli italiani, e che questo valga altresì come regola generale per la lettera “e” accentata, quindi ad esempio cérto e la mérda e quel modo divertentissimo che avete di pronunciare la parola “förbici” con l’umlaut. Più difficile accettare che i ravennati siano l’unica popolazione in questo paese a pronunciare “presèpe” con la E aperta, ma probabilmente lo fate solo per prendere in giro i cesenati che osano avventurarsi nella bassa in periodo natalizio, e quindi no problem.

No problem nemmeno per il fatto che  voi chiamate becacino una cosa che noi chiamiamo marafone perché in fondo una volta che ti siedi al tavolo non è così importante come lo chiami (approfitto qui per dire che da quando mi sono trasferito in questa città non ho una compagnia per giocare a marafone o becacino che dir si voglia).

Imparare il dialetto è stato più difficile, perché una conversazione in dialetto romagnolo tra un cesenate e un ravennate sembra una conversazione in lingue indoeuropee tra un portoghese e un tedesco e quando indulgo nell’ascolto della vostra lingua natia a volte sento il petto squarciato dagli stessi tagli brutali che vengono dati alle ultime sillabe de pé e de ché e po andé a fe i pasadé cun e bröd, e ci ho messo un’eternità a capire che voi parlate di briciole nel contesto in cui noi parliamo di gambe (cioè dite che ugné brisul quando noi diciamo ugné gamba, per rafforzare l’assenza di una certa cosa) senza contare questa idea balorda (nata credo nel contesto della trafila garibaldina o durante la Resistenza, in un periodo cioè nel quale sgamare i forestieri con certi trucchi linguistici era molto importante) che un vero ravennate entra in gelateria a prendere un gelati o du gelato.

Ma la cosa a cui da fuori non mi abituerò mai e poi mai è in realtà una consuetudine della lingua italiana parlata dai ravennati e che ci riporta dentro al negozio del fornaio, quando il ravennate modello ha comprato tutto il e la pizza e la pizza e le pizze che gli servivano, e il fornaio fa la domanda di rito: «Altro?». E il ravennate risponde «altro», e a Ravenna quando dici «altro» significa che non vuoi più niente. Decenni di acquisti in città non sono serviti ad abituarmi: resto mesmerizzato ogni volta che lo sento dire.

(vi lascio a meditare con una cosa incredibile ma sotto gli occhi e gli orecchi di tutti, che personalmente ho scoperto solo dopo aver passato i quarant’anni: avete mai notato che nel dialetto romagnolo non esiste la doppia consonante? Anche Ursula ha imparato che “botta” si traduce “bota”, ma in generale anche la cassetta diventa la caseta. Propongo un piccolo concorso: se qualcuno invia alla redazione – redazione@ravennaedintorni.it – una parola pronunciata anche in dialetto romagnolo con la doppia consonante vince una pizza, offerta da me, al fornaio sotto casa mia. Scelgo io quale pizza. Altro.)

Francesco Farabegoli, cesenate trapiantato a Ravenna, scrive o ha scritto su riviste culturali come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not

Condividi
Contenuti promozionali

LA CLINICA DELLA FINANZA

CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

Casa Margaret, sguardo contemporaneo in un’atmosfera anni Sessanta

Il progetto realizzato a Faenza dallo studio ravennate Tundra

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi