Lo psicologo a scuola: «Non solo per studenti, anche il personale va aiutato»

Il presidente regionale dell’Ordine degli psicologi in Emilia-Romagna ricorda che gli investimenti in psicoterapia riducono costi sociali per ricoveri, farmaci, assenze dal lavoro e disagi

Il 15 settembre la campanella suonerà in tutte le scuole dell’Emilia-Romagna, riportando in classe centinaia di migliaia di studenti. Dopo gli anni horribiles del Covid e della didattica a distanza, l’esigenza di porre un accento sulla tutela della salute mentale e sulla ricerca del benessere si è fatta sempre più stringente e ha riportato l’attenzione sulla figura dello psicologo scolastico, un tempo elemento quasi accessorio e oggi sempre più richiesto, in primis dagli studenti stessi. È quanto rileva il dottor Gabriele Raimondi, presidente dell’Ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna e in campo da vent’anni come professionista nell’ambiente scolastico.

Adolesente Cappuccio Giovane

Dottor Raimondi, come funziona esattamente il servizio di supporto psicologico nelle scuole? 

«Gli istituti possono attivare un servizio di supporto psicologico che spesso viene identificato con la parola “sportello d’ascolto”. Gli studenti, ma anche gli insegnanti e i genitori, possono richiedere un intervento di sostegno per affrontare diverse tematiche, da quelle individuali a quelle relative alla gestione del gruppo. Lo psicologo scolastico, poi, si occupa anche di facilitare la relazione scuola-famiglia e di promuovere i comportamenti di benessere in generale».

La presenza dello psicologo è obbligatoria o è a discrezione dei singoli istituti?

«Purtroppo in Italia non abbiamo una normativa che imponga la presenza dello psicologo scolastico, quindi la scelta è lasciata alla sensibilità dei singoli istituti. In Emilia-Romagna abbiamo una buona presenza in termini di diffusione, circa il 90 percento, ma non un’adeguata presenza in termini di tempo: sei o sette ore settimanali, a volte anche meno, sono insufficienti».

Come vengono selezionati i professionisti? 

«La modalità più diffusa è quella dei bandi emanati dai singoli istituti, ma c’è un tema aperto di discussione sulla continuità degli incarichi a scuola perché la figura dello psicologo è legata anche all’aspetto di fiducia e relazione, che si costruisce naturalmente solo con il tempo».

I ragazzi utilizzano gli sportelli?

«Sì, riconoscono l’importanza del supporto che ricevono. Una volta un ragazzo mi ha fermato in corridoio e mi ha detto: “Dottore, io non sono mai venuto allo sportello, però sapere che c’era e che ci potevo venire se mi andava per me è stato bello”. È stato un segnale importante di come una presenza come quella dello psicologo nella scuola garantisca una possibilità di benessere».

Quali sono, di solito, i motivi per cui gli studenti chiedono aiuto?

«Soprattutto le relazioni affettive e interpersonali, come è naturale che accada in una fase, come quella adolescenziale, in cui l’identità viene costruita e definita mediante l’appartenenza ai gruppi. Ma si parla anche di difficoltà di apprendimento e di orientamento scolastico».

Le richieste sono aumentate durante la pandemia? 

«Molto, comprese quelle degli studi privati, che hanno visto aumentare il loro reddito del 30 percento circa. Questo vuol dire che c’è una domanda importante che però non sempre viene accolta, sia perché le strutture pubbliche in Emilia-Romagna non sono sufficienti, sia perché non tutti i cittadini hanno la possibilità di rivolgersi al privato. Come Ordine abbiamo avviato un’interlocuzione costante con la Regione per aumentare gli investimenti nel pubblico. Gli studi dimostrano che un maggior investimento in psicoterapia riduce costi successivi in termini di ricoveri, farmaci, assenze dal lavoro, disagio sociale. Insomma, è anche un investimento economico».

Lo sportello serve non solo agli studenti, ma anche agli insegnanti e al personale scolastico non docente…

«Ci sono insegnanti che hanno difficoltà a relazionarsi con le situazioni di vita degli studenti, con i colleghi o con i genitori degli alunni, si sentono in difficoltà nel riconoscimento del ruolo e nella condivisione della responsabilità educativa. Prendersi cura di chi si prende cura è un investimento strategico».

E i genitori, invece, che ruolo hanno? Mandare il figlio dallo psicologico è ancora percepito come un taboo?

«No, direi che nella maggior parte dei casi è percepito come un servizio utile. Certo, ci sono anche situazioni in cui i genitori non vogliono che il figlio ne usufruisca. A questo proposito, credo che sia fondamentale una corretta informazione delle caratteristiche e del modello di intervento, chiarendo sin da subito sia ai ragazzi che ai genitori i limiti del segreto professionale. Ad ogni modo, al momento è ancora necessario il consenso informato dei genitori per rivolgersi allo sportello, soprattutto per l’attività di tipo sanitario, mentre si sta lavorando per alleggerire l’obbligo sulle attività di tipo educativo-formativo».

Adolescenti e giovani adulti di oggi si interessano al loro benessere psicologico molto più che in passato. Per quale motivo, secondo lei?

«Si sta acquisendo una consapevolezza sempre maggiore del fatto che il benessere psicologico ha lo stesso diritto, dignità e funzione del benessere fisico. C’è una maggiore legittimazione a chiedere e a riconoscerne l’importanza. Da questo punto di vista anche la pandemia è stata una facilitazione: i vissuti di disagio psicologico legati al distanziamento sociale hanno legittimato molti a poter dire “anch’io”: anch’io ho paura, ho l’ansia, vivo situazioni rispetto alle quali ho bisogno di un aiuto. I giovani si identificano come portatori di bisogni anche psicologici e vogliono che la società riconosca loro il diritto a prendersene cura».

Non sarebbe utile, allora, introdurre percorsi formativi sulla salute mentale nelle scuole?

«Sarebbe assolutamente prezioso, anche per superare finalmente quel meccanismo in base al quale per poter parlare di come si sta in classe bisogna sottrarre due ore alla professoressa di matematica o a quella di italiano. Avere uno spazio garantito e strutturato da dedicare alla formazione, all’accompagnamento e all’elaborazione psicologica permetterebbe di dare risposta anche a quei ragazzi che per loro difficoltà a esporsi magari non si rivolgeranno mai a uno sportello d’ascolto. Spazi di questo tipo permetterebbero di creare un clima di condivisione e di comunità scolastica che faciliterebbe anche il resto dell’apprendimento».

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