Dentro la mente del mandante, del sicario e della figlia della vittima

I profili dei protagonisti del recente processo per l’omicidio di Ilenia Fabbri, visti con la lente dello psicologo Enrico Ravaglia

Nell’attesa delle motivazioni della sentenza di condanna di primo grado, il dottor Enrico Ravaglia, psicologo e psicoterapeuta psicoanalitico, propone una lettura psicologica dei protagonisti – e in particolare degli imputati – al processo per l’assassinio di Ilenia Fabbri, avvenuto a Faenza il 6 febbraio del 2021.

Enrico Ravaglia Psicologo

Il dottor Enrico Ravaglia nel suo studio

1. La fine e l’inizio

L’immagine finale, se non tutto, dice molto. La condanna è la stessa per entrambi gli imputati, Claudio Nanni e Pierluigi Barbieri, ritenuti colpelvoli, il primo come mandante e i secondo come esecutore, dell’assassinio di Ilenia Fabbri: la pena dell’ergastolo.

La sentenza
Alla pronuncia della sentenza, Barbieri, l’esecutore del delitto, resta in piedi. Guarda dritto e fisso il giudice. Non si nasconde affatto. Non lo hai mai fatto nel corso di tutto il processo e non lo fa neppure oggi.
Nanni, il mandante, invece resta seduto, come accasciato. Si copre con una mano la testa china. Sprofondato nella sedia, rimane quasi nascosto. A tutti, al pubblico e sé stesso. Le guardie penitenziarie davanti alla sua gabbia di vetro lo impallano, quasi non lo si vede.
Questa sineddoche, questa immagine conclusiva, racconta molto dei due imputati. Molti ricorderanno gli accadimenti, per chi non li conoscesse, li riassumo brevemente.

All’alba di un giorno d’inverno: i minuti dell’omicidio
È l’alba di un giorno d’inverno, poco più di un anno fa. Una donna sonnecchia nella propria stanza da letto. È sola e già sveglia. Se ne sta appoggiata con la schiena sul cuscino mentre guarda il cellulare.
Alza la testa dal telefonino perché percepisce qualcuno lì presente. Ha davanti a sé una figura minacciosa, un omone tutto bardato. È fermo e immobile. Non risponde alla sua domanda “Chi sei? Cosa vuoi?”.
Spaventata la donna, di nome Ilenia, sguscia del letto e scatta per fuggire. Passa vicino allo sconosciuto. Da immobile che era, l’uomo si anima. Nella mano tiene stretto un martello. Violento la colpisce sulla testa con il manico. Stordita e sanguinante Ilenia scappa giù per le scale. L’uomo la rincorre e la colpisce ancora. Sempre alla testa.
Lei lotta e lo scongiura. Non serve a niente. Riceve altri colpi. Lo implora. “No, No. Basta, ti prego”.
Lui non si ferma, la colpisce ancora. La donna resta, per qualche momento, priva di sensi. L’aggressore si avvicina per verificare se sia morta. Si accorge che continua a deglutire.
(Proprio “deglutire”, perché è questa la parola che userà l’assalitore quando descriverà in tribunale l’azione che ha commesso, una volta arrestato.)
Accertatosi che è ancora viva, le gira intorno. Va alle spalle della donna. Le appoggia il manico del martello sotto il mento. Da dietro la tira con forza verso di sé per strangolarla.
Per arrivare a questo momento si è fatto un gran fracasso. Si sono sentite le urla, i colpi. Hanno sentito anche i vicini che adesso suonano al campanello. Dal piano superiore, dove è iniziata l’aggressione, anche una voce femminile, probabilmente al telefono, chiede aiuto. L’aggressore si accorge adesso che c’è un’altra persona in casa. Pensava non ci fosse nessun altro, tranne la donna: credeva fosse sola in casa.
Continuano a suonare al campanello, continua la richiesta di aiuto dal piano superiore.
Le cose vanno per le lunghe, la donna non muore. L’uomo sente che deve sbrigarsi. Si guarda attorno: si trova vicino alla cucina. Rovista nei cassetti, trova un coltello con il manico verde. Lo prende e le squarcia la gola per diciassette centimetri. Il sangue inizia a flottare copioso, l’aggressore se ne va.

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Ilenia Fabbri con l’ex marito Claudio Nanni

Al piano di sopra la “voce femminile” continua a parlare al telefono. Continua a chiedere soccorso e indicazioni su cosa fare, pur non sapendo esattamente cosa sia successo di sotto. Terrorizzata, resta barricata nella stanza da letto accanto a quella della povera donna, dove è iniziato l’assalto.
La voce al telefono è quella della fidanzata della figlia di Ilenia. Arianna, la figlia era lì con lei. Era però uscita di casa pochi istanti prima dell’ingresso del killer nell’abitazione. Fuori, ad aspettarla c’era il padre. Padre di Arianna, ed ex marito di Ilenia. Era andato a prendere la figlia per accompagnarla vicino a Milano a comprare un’auto.
Era proprio con Arianna che la fidanzata, restata a casa, parlava al telefono. «C’è un uomo che insegue tua mamma giù per le scale», diceva spaventata. L’aggressione è iniziata qualche minuto dopo che l’auto del padre, con Arianna a bordo, era partita. Avevano già imboccato l’autostrada, poco distante. Il tempo di raggiungere la prima uscita e sono tornati indietro. Non di corsa però. Alla guida c’era il padre: Claudio Nanni.
Nonostante le dieci sollecitazioni della figlia, lui non ha accelerato più di tanto. Diceva di sentirsi male. Attraverso Arianna, che continuava a rimanere collegata al telefono, lui raccomandava alla ragazza in casa di starsene chiusa in camera, di tenersi al sicuro.

Dopo l’omicidio
Si scoprirà che l’aggressore, di nome Pierluigi Barbieri, era stato mandato proprio da Claudio Nanni, padre di Arianna ed ex marito di Ilenia. Nanni, messo alle strette confermerà, dopo circa un mese dall’omicidio, di esserne il mandante. Ma non del delitto. Continuerà sempre a ribadire che non aveva chiesto a Barbieri di ucciderla, ma solo di spaventarla.
Ma, per le modalità con cui si sono svolte le azioni in casa, per stessa testimonianza di Barbieri, che ha confessato appieno le proprie responsabilità; per i cristallini riscontri ottenuti dagli inquirenti, per gli elementi fortemente colpevolizzanti a cui Nanni non ha saputo dare spiegazioni plausibili; per queste e per molte altre ragioni, la giuria si è convinta che la verità corrispondesse a quella testimoniata dal killer.
Ovvero che Claudio Nanni abbia chiesto a Pierluigi Barbieri, dietro compenso, di ammazzare la sua ex moglie; nonché madre di sua figlia. Durante il processo sono stati ascoltati molti testimoni, compresi ovviamente i due imputati.
Le testimonianze di questi due uomini sono state opposte, sia nei contenuti che nelle modalità.
Barbieri, il sicario, ha raccontato tutto. Ha favorito indagini. Non si è risparmiato, come vedremo.
Nanni, il mandante, invece no. Si è mostrato ingessato e trattenuto.

2. Claudio Nanni, il mandante

Nel suo interrogatorio, più che fornire spiegazioni alternative, Nanni ha ribadito un unico concetto: ovvero che non ha mandato Barbieri per uccidere l’ex moglie, ma solo per intimidirla.
Nel capitolo successivo, quando parlerò di Barbieri, troverete molti virgolettati. Tante frasi che ha pronunciato il sicario in aula. Qui no. Nanni non si è allargato in descrizioni, Non ha parlato in modo fluente. È sempre stato molto restio. Probabilmente anche per vergogna.

Il padre “abbottonato e la figlia “strumentalizzata”
Si possono comunque fare ipotesi partendo proprio da questo suo modo “abbottonato”.
Durante il suo esame di fronte alla giuria ha ripetuto una locuzione più volte: «volevo dissuaderla».
Dissuaderla dalle cause giudiziarie che Ilenia gli stava intentando, con importanti richieste di denaro. Quel “dissuaderla”, quella parola per certi versi ricercata e ripetuta più volte, mi ha fatto pensare che sia stata pronunciata più con la ragione che con l’istinto. Più preparata che liberamente detta.
Per il Pubblico Ministero Claudio Nanni è colui «che usa la figlia come alibi. Che non le risparmia la vista del cadavere della madre». L’avvocata della figlia, ritiene che abbia «strumentalizzato Arianna facendo leva sull’acquisto di quell’auto tanto desiderata. Tanto che Arianna ha subito due lutti: la morte della madre e l’accettazione che il padre abbia commesso una cosa così grave».
Per poi aggiungere che la sua assistita è «un’orfana speciale perché dopo la perdita della madre si è pure trovata di fronte al fatto che il mandante fosse il padre ed ha dovuto ascoltare la condanna all’ergastolo nei suoi confronti». Insomma, è colui che «le ha servito il dolore su un piatto d’argento».

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Claudio Nanni in aula durante il processo

Claudio Nanni però, è anche quello che affida una replica al suo avvocato difensore, dove chiede di puntualizzare, a nome suo, suscitando un grande disappunto nell’aula del tribunale, che «non è vero che Arianna è un’orfana speciale, ma la sua bambina speciale».

Per un momento, torniamo indietro di quasi un anno. Torniamo a quando Claudio Nanni non era ancora stato arrestato, ma era comunque sospettato da molti, non solo dagli inquirenti. Tra il delitto ed il momento del suo arresto passò circa un mese. Per quel mese Arianna visse con lui. La ragazza si era convinta della sua innocenza, tanto da riferire ad una giornalista di aver domandato al padre, piangendo, se lui centrasse con la morte della madre. Il padre le rispose che non era stato lui. Che una così brutta non gliela avrebbe mai fatta. Che l’amava tanto e viveva per lei. Poi, successivamente, quando venne arrestato e fu costretto a riconoscere, per evidenze incontrovertibili, quanto meno di aver mandato lui, in quella casa, Barbieri, Nanni scrisse alla figlia una lettera dal carcere.
Questa: «Arianna, come ti avranno detto i miei avvocati le cose sono andate diversamente da come dovevano andare. In ogni caso ho commesso un errore e dovrò pagare. Il non poterti più vedere o per anni o per sempre, per quanto ti amo, in questo momento non mi dà la forza di vivere più. In più dovresti provare odio nei miei confronti e questo mi butta ancora più giù. Per questo provo vergogna nel parlare e farmi vedere da tutti ma soprattutto da te. Non ci sono parole per chiederti scusa e penso che la cosa migliore sia scomparire. La zia Cristi e lo zio Dino ti seguiranno per ogni cosa. Nonostante tutto il MIO AMORE PER TE È GRANDE».
Scritto proprio così, con le ultime parole in maiuscolo. Non cito questa lettera per evidenziare la posizione di Nanni rispetto all’accaduto, ma per sottolineare come ribadisca il suo amore nei confronti della figlia.

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Claudio Nanni si è separato dalla moglie Ilenia Fabbri alla fine del 2017

Meccanismi di difesa
C’è un’altra strada, oltre allo sgomento, come ha manifestato il pubblico in aula, per commentare questo assoluto contrasto tra quello che ha fatto e quello che dice?
C’è un altro sguardo per leggere questo comportamento? Dove, da una parte dice di volere bene alla figlia; ma da un’altra, almeno secondo la sentenza di primo grado, ne uccide la madre e usa la stessa figlia per costruirsi un alibi.
Provo a rispondere citando i così detti “meccanismi di difesa”.
Essi sono normali strumenti psichici ai quali ricorriamo tutti, spesso in modo inconsapevole. Non sono nulla di strano, né di patologico. Un conto però è a quali, e in che quantità, ci ricorriamo. Sono processi volti a preservare l’equilibrio e l’integrità del nostro apparato psichico. Un esempio, forse il più noto, è la rimozione, dove la nostra psiche ci induce a dimenticare qualcosa che ci turba ricordare.
Nel caso di Nanni alcuni “meccanismi di difesa psicologica” coinvolti potrebbero essere diversi. Il primo è “l’annullamento retroattivo”, ovvero quella dinamica dove il soggetto cerca di lenire i propri conflitti cancellando un pensiero, o un’azione, inaccettabili, con qualcosa di segno opposto. In questa ottica affida all’avvocato parole amorevoli nei confronti di Arianna, dopo averla pesantemente colpita.

“Annullamento retroattivo e “proiezione”
Attraverso questo meccanismo, la persona si sforza di fare in modo che i pensieri, ma pure le azioni che ha commesso, come in questo caso, non siano avvenute. Per questo fine ricorre, come ho detto, ad un pensiero, una parola, o un atto di significato opposto. Per quanto sia, molto probabilmente ci sarà anche in Nanni una parte che ritiene inaccettabile l’aver promosso l’omicidio della madre di sua figlia. Una parte che ripudia quel suo aspetto caratteriale e da cui vuole prendere le distanze. Anche se, di quella azione, è probabilmente il mandante. Per contrastare questa parte psichica intraprende azioni opposte, che cercano, appunto, di annullarla. Così si parte dal negare alla figlia il proprio coinvolgimento, per poi scriverle la lettera dal carcere, fino ad arrivare alle parole affidate all’avvocato.
Al desiderio di rappresentarsi scorporato dalla sua parte distruttiva, oltre che funzionale processualmente, viene pure utile dare la colpa a Barbieri.
Forse per questo Nanni resta arroccato. Si trincera nel ribadire che voleva solo farla “desistere”, ma non farle del male. Forse, anche per questo, al processo non spende parole di manifesto dispiacere e non versa neppure una lacrima. Manifestare dispiacere, e ancora di più piangere, sono esternazioni che l’avrebbero costretto a riconoscere, e a contattare direttamente, quella sua parte violenta. Parte che, oltre ad averlo portato a fare uccidere la sua ex moglie, tanto ha danneggiato la figlia, privandola della madre.
Quindi prima nega alla figlia di essere coinvolto nell’omicidio. Poi, dovendo prendere atto dell’evidenza, ammette di avere inviato Barbieri, ma di essersi limitato alla richiesta di spaventarla. Enfatizza i suoi buoni sentimenti, o quanto meno prende le distanze da quello cattivi. Lo fece attraverso la lettera che scrisse a suo tempo dal carcere. E l’ha fatto, quando ha chiesto al suo avvocato di ribadire che la figlia non è una “orfana speciale”, ma la sua “bambina speciale.”.
Intravedo anche altri meccanismi, ad esempio la “proiezione”. Dove, non riuscendo a tollerare quanto ha determinato, attribuisce la responsabilità al mandatario. È anche utile processualmente, oltre che per la propria psiche, dare la colpa a Barbieri. Quanto questa dinamica proiettiva sia inconscia e consapevole, se non addirittura strategica, non lo sappiamo. Invece, tra i “meccanismi di difesa” coinvolti, ce n’è un altro che mi sembra la faccia da padrone nella mente di Nanni: il “diniego”.

Perversione e diniego
Il diniego non è la semplice negazione di un’azione che si è compiuta. È un modo massiccio e profondo per celare la parte della nostra personalità che non ci piace, o che non vogliamo accettare.
Nel caso di Nanni, il riferimento è sempre a quella parte che ha determinato la morte di Ilenia e che lo chiama in causa come padre immorale, al punto da avere utilizzato la figlia per costruirsi un alibi. Probabilmente nella sua verità profonda Nanni sa di essere mandante dell’omicidio, ma c’è anche un’area che disconosce questa verità. E per disconoscerla arriva al punto da ricusare la realtà.
È come se si convincesse che c’è una dimensione dove lui non ha fatto del male, quantomeno non alla figlia. È come in un rapporto di figura/sfondo. Effettivamente lui può volere bene alla figlia. Non sarebbe il primo. Pensiamo a tanti efferati criminali che non hanno avuto pietà nel crimine, che hanno ucciso o fatto uccidere tanta gente, ma che in famiglia o in altre situazioni specifiche, erano bonari ed amorevoli.
Questo funzionamento psichico è tipico del perverso. Ovviamente qui parlo di “perverso” e “perversione” in senso tecnico. Di fatto il perverso sa come stanno le cose, ma allo stesso tempo le nega. Per dirla tecnicamente: è attraverso il diniego che si esprime la scissione tipica dell’io nel perverso. Per dirla in modo più colloquiale, probabilmente Nanni sa di essere il mandante, ma quando parla con Arianna ritiene di non esserlo.
Non consentendo alla figlia, anche in questo modo, una piena elaborazione della tragica vicenda.

3. Pierluigi Barbieri, l’esecutore materiale

«Fino ai sei anni ero un bambino che meritava tutto, dopo i sei anni ero un bambino che non meritava niente».
Così si è sintetizzato, qualche tempo fa, Barbieri davanti al pubblico e alla corte che lo ascoltava.

Scrutare l’inconscio
Prima di entrare nel merito è necessaria una premessa. Quando si ascoltano storie di cronaca nera è bene diffidare dagli esperti che in televisione snocciolano ritratti psicologici come se nulla fosse. Non vanno presi troppo sul serio i vari psichiatri, i vari psicologi, che delineano con sicura certezza il profilo di un criminale. Specie se lo fanno senza averlo mai visto e conosciuto. Senza averci mai parlato di persona. Quello che spesso si vede in tv è un modo di fare azzardato e poco professionale. Presuntuoso ed approssimativo. Tutt’altro che rigoroso. Senza uno, o più colloqui, senza fare domande dirette all’interessato, non è possibile conoscere appieno le sue fantasie inconsce. Non si è in grado di definire quali fossero le pulsioni in atto al momento del delitto. Unicamente il colloquio, tra analista e soggetto, consente di attingere a queste dimensioni inconsce. In tribunale Barbieri ha risposto a domande di stampo giuridico, di verifica dei fatti. Tutt’altro che psicologiche, e tanto meno di approccio psicoanalitico. Di conseguenza non ho elementi tali da descrivere con certezza la psicologia di Barbieri. Quelle che scrivo qui sono ipotesi, suggestioni. Seppur serie e tecniche.
Un’ultima annotazione di servizio: nel testo che segue ci sono molti virgolettati. Salvo diversa specificazione, sono passaggi testuali di frasi che Barbieri stesso ha pronunciato in aula, durante il suo interrogatorio.

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Pierluigi Barbieri al banco degli imputati per il suo interrogatorio

La confessione e le parole non pronunciabili
Torniamo ora, al giorno dell’esame ai due imputati. La PM ha preferito iniziare con l’esecutore reo confesso, con Barbieri. Forse lui se l’aspettava, forse aveva voglia di parlare, in ogni caso si è alzato pronto. La dottoressa Scorza ha chiesto se tra lui e Nanni, già in precedenza ci fossero state conversazioni sul progetto di uccidere Ilenia. Barbieri ha risposto di sì, subito e senza incertezze. Non ha avuto indugi nel dire che il piano per uccidere la donna si era determinato a più riprese. Che più volte è stato sospeso per poi ripartire. Lo dice senza imbarazzo.
Non si sente invece di pronunciare le parole che servono a descrivere come la donna doveva essere inizialmente uccisa. Le parole che andrebbero a descriverne le modalità che, a suo dire, gli aveva proposto Nanni. È stato capace di uccidere in modo cruento una donna, ma ha difficoltà, quasi imbarazzo a pronunciare le parole che andrebbero a dettagliare il primo progetto. La corte però vuole sapere. Gli chiede di essere esplicito. Tutto d’un fiato l’Imputato risponde: «Voleva (Nanni) simulare un suicidio. Farla trovare impiccata».
Mi sorprende, specie tenendo conto di quello che poi Barbieri ha fatto, questa difficoltà a parlare dell’impiccagione. Immagino ci sia un perché. Mi domando quale sia. Il motivo è subito svelato: «Il padre della mia ragazza si impiccò e lei non voleva più abitare in quella casa» dice. È singolare l’empatia che Barbieri prova verso la figlia di Nanni ed Ilenia. Ammette che possa esserne uccisa la madre, anzi si fa personalmente strumento per quella terribile azione, ma si preoccupa di quello che possa vedere la ragazza una volta rientrata a casa. Continua a riferire quanto fosse contrario a quella modalità. Non al progetto omicida in sé. «Ma cosa stai dicendo?!» riferisce di aver risposto a suo tempo a Nanni. Poi, rivolto verso la corte aggiunge: «Mi sono messo nei panni della figlia». «Ho detto (a Nanni) quella cosa lì non va bene».
Non riesce a pronunciare il lemma “impiccagione”. La parafrasa con “quella cosa lì”. La parola “impiccagione” è troppo diretta ed evocativa per lui, tanto da non poter essere pronunciata come le altre. È sorprendente. Deve avere sorpreso anche il Presidente della Corte, che vuole vederci chiaro, e capire, con un riscontro di realtà, se quelle parole siano veritiere. Gli domanda «Come si chiamava il padre della ragazza?». Pronto l’imputato risponde e scandisce cognome e nome di quell’uomo.
La PM prosegue, gli chiede dei progetti delittuosi nei confronti della povera Ilenia, antecedenti a quello effettivamente attuato. Ritorna l’elemento della forma. L’esecutore sostiene che Nanni gli avrebbe proposto di sopprimere la sua ex moglie con un tubo di ferro che tiene in officina. Probabilmente un utensile che ha la funzione di diventare estensione delle chiavi inglesi, capace di fare forza su viti particolarmente dure. Dure e ferme nella loro posizione come dovevano apparire a Nanni le volontà della sua l’ex moglie.
«Ti rendi conto che se la colpisco con una cosa così, le sfondo il cranio e faccio un macello?» poi dice di aver aggiunto, sempre rivolto a Nanni, «Ti rendi conto dello spettacolo che troverà tua figlia?». Barbieri ripete l’espressione “ti rendi conto”. Non so se siano state effettivamente pronunciate quelle le parole a Nanni, o se siano attuali, cioè dette per la prima volta, in aula. Mi pare, in ogni caso, contengano un tenue affaccio di consapevolezza, certamente insufficiente, sulla drammatica realtà, cioè il progetto criminale che stavano elaborando.

L’insistenza ed il sopruso
Pare che due siano stati gli elementi che hanno influenzato il sicario: l’insistenza ed il sopruso rappresentato.
Barbieri, forse pure per ridimensionare le proprie responsabilità, per alleviare il proprio senso di colpa, riferisce che quel ribadire in modo martellante ed ossessivo la richiesta di sopprimere Ilenia, lo abbia convinto.
Come se quell’insistenza fosse andata a sollecitare e fortificare una sorta di transfert. Dove per transfert intendiamo una riedizione di una relazione precedente. E visto che parlo di definizioni psicoanalitiche, è corretto anche ricordare che le dinamiche transferali si manifestano prevalentemente nei rapporti di persona, in presenza, e lo fanno in modo principalmente inconscio. Sembrerebbe comunque che questi continui lamenti di Nanni espressi a Barbieri, questo continua rappresentazione di Nanni come uomo vessato, umiliato e messo economicamente alle strette, abbia rievocato in Barbieri la sua precedente relazione con la ex convivente.
Non è una mia interpretazione, lo afferma Barbieri stesso, in modo fin troppo esplicito «…io ho rivissuto quello che mi diceva lui… quello che mi ha combinato la mia ex moglie… il fatto dei soldi, me ne ha fatti di ogni colore».

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Pierluigi Barbieri, il sicario reo confesso dell’omicidio di Ilenia Fabbri

Vittime colpevoli e innocenti
La dimensione evocativa, e la focalizzazione selettiva sulla povera Ilenia, come rappresentante di percepiti soprusi passati, emerge anche da un altro passaggio, dove il sicario racconta di aver puntualizzato a Nanni che il gesto omicida sarebbe stato indirizzato solo su Ilenia e Ilenia soltanto, in quanto colpevole. L’esecutore si era preoccupato che non ci fossero altre persone in casa, tanto meno l’attuale compagno di Ilenia. La preoccupazione che non ci fossero altre persone non era tanto dettata dalla paura di trovarsi in un’ulteriore colluttazione, ma di non dovere uccidere una seconda persona innocente. Anzi forse il nuovo compagno della donna, ai suoi occhi, non era solo un innocente ma una sorta di collega sfortunato, ancora inconsapevole di come fosse in realtà Ilenia, e che quindi andava preservato. Certo non ucciso. Questo è il passaggio che mi ha indotto questa lettura: «Fai (rievocando il dialogo con Nanni) che non ci sia anche il suo convivente. Io prima guardo nel parcheggio. Tu ce l’hai con questa donna, io capisco tutte le cattiverie che ti ha fatto. Capisco tante cose, che ti ha messo sul lastrico. Ma gli innocenti no».
Implicitamente Barbieri sottende che il nuovo compagno di Ilenia sia innocente, al contrario di Lei. Così come non lo era la sua ex moglie. Ma Ilenia può essere colpita, può essere uccisa forse perché non attiva in lui eventuali sentimenti ambivalenti e benevoli, che invece potrebbe provare nei confronti dell’ex compagna.
Ilenia non beneficia di nessuna protezione superegoica. Per dirla in termini psicologici, Ilenia agli occhi di Barbieri è un oggetto completamente cattivo. Preciso che chiamare “oggetto” Ilenia, non è svalutativo e irrispettoso. Nel linguaggio psicoanalitico, per oggetto si intende qualsiasi cosa, o persona, con cui un individuo entra in relazione e sia la meta dove scaricare le proprie pulsioni.
Anche tracce del passato remoto di Barbieri forse sono state veicolate transferalmente su Ilenia. Quelle del Barbieri bambino, che si ritiene “svalutato” e maltrattato fin dall’infanzia. Pur essendo una donna, sembra che Ilenia abbia anche assunto l’identità dell’uomo che da piccolo lo ha bastonato, preso a legnate e frustato.
Utilizzo questi verbi, con questa precisa successione in crescendo, perché è lo stesso imputato che durante l’udienza dice: «…le bastonate, legnate, frustrate che ho preso». Forse la sovrapposizione con quell’uomo, il compagno di sua madre, che tanto fece loro violenza, è tale da dimenticarsi che Ilenia è una donna. Dice di getto, scatenando un lecito e prevedibile rumoreggiare da parte del pubblico in aula: «Io odio le persone che maltrattano le donne. Ho visto mia mamma (essere maltrattata) dai (miei) 6 anni ai 17».

L’irrequietezza di Barbieri, salvifica e mortale
Tornando indietro su questa triste vicenda, allontanandoci dal momento dell’esecuzione del delitto, forse possiamo dire che c’era un filo sottile che divideva Ilenia dalla vita alla morte. Un filo anche influenzato dall’irrequietezza di Barbieri. In più occasioni salvifica. In precedenza, dato che quel giorno non era la prima volta che tentavano di ucciderla, lei si era salvata perché Barbieri non riusciva a tollerare l’attesa. Questa difficoltà ad aspettare era una sua caratteristica. Anche quando andava a curarsi, e l’operatrice ritardava, lui non riusciva a star fermo ed aspettare: «Quando andavo al Sert avevo appuntamento alle 15, ma la dottoressa tardava anche mezz’ora. E io certe volte non ce la facevo più e scappavo via». Così Ilenia è sopravvissuta al primo tentativo. Non perché il presunto mandante o l’esecutore si fossero ravveduti o avessero acquisito coscienza di ciò che stavano per attuare, ma soltanto perché, semplicemente, come riferisce sempre Barbieri «(Nanni) è arrivato in ritardo ed io me ne sono andato».

Ilenia, satura di riedizioni relazionali. Suo malgrado
Un altrettanto gravissima assenza di empatia nei confronti della povera Ilenia è contenuta nel passaggio dove, sempre a detta di Barbieri, contrattavano il prezzo per l’omicidio. «20mila euro?! Ma non mi prendere in giro. Chi te la fa una cosa del genere? Non te la fa neanche un amico». Oltre all’orribile contenuto, mi ha colpito quell’espressione finale. Mi ha evocato, in modo agghiacciante, una contrattazione con un artigiano. L’identità di Ilenia è stata spogliata dalla sua connotazione di persona, del suo diritto alla vita. Era percepita come un’operazione da eseguire a cui dare un corrispondente economico.
Pare che Ilenia sia alternativamente vissuta da Barbieri come un “oggetto” inumano ed un “oggetto” cattivo, saturo di riedizioni relazionali. È stata considerata senza una propria dignità di vita, senza propri e legittimi sentimenti. È stata trattata in modo simile modo a quello con cui, noi umani, ci approcciamo verso gli animali quando li uccidiamo al bisogno. Senza che la nostra dimensione valoriale e superegoica operi forme di inibizione e censura.

C’è un ulteriore impasto che forse lega aspetti rilevanti della psicologia del sicario. Il suo vissuto doloroso ed un senso di giustizia molto soggettivo. A questi primi due elementi si aggiunge il suo non saper tollerare d’essere preso in giro. Al vissuto doloroso ho fatto cenno. Barbieri in più occasioni evidenzia quanta, a livello psichico, sia la forza dei ricordi. Di come le tracce di realtà si depositino nella mente e difficilmente l’abbandonino. In modo inaccettabile privilegia il ricordo ai fatti. Lo fa quando manifesta preoccupazione nei confronti della figlia Arianna, per quello che vedrà ma non per l’orfana che diventerà. Anzi, che lui farà diventare.
È esplicito nel manifestare empatia per “l’immagine”. «Io so cosa vuol dire avere per tutta la vita ricordi che non vanno bene». Ricordi che ritiene peggiori anche della pena che lo aspetta: «La condanna che mi darete è nulla rispetto a quello che ho passato».

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Claudio Nanni e Pierluigi Barbieri

Il raggiro, la dannazione e la giustizia
Il tema della condanna ci introduce alla personalissima etica ed al senso di giustizia che appartengono al sicario, che riconosce di essere un deviante e gli pare chiaro anche il percorso. «Io perché sono diventato un criminale? Per una serie di cose, debiti, cose truffaldine. Me ne ha fatte di ogni quella donna (la sua ex) e sono passato dall’altra parte». E poi conclude sottolineando il suo precoce momento di non ritorno: «Io da uno a sei anni ero un bambino che meritava tutto. Dai sei in poi non meritavo più niente». I sei anni sono lo spartiacque. Quando è successo un episodio che lui forse individua come momento irreparabile, ovvero quando l’ex uomo di sua madre «con il fucile la mirava». Pare dica che questi vissuti, poi riproposti, anche in modo diverso nella sua successiva relazione amorosa, più ricca di raggiri e bugie, lo abbiano fatto diventare quello che è oggi. Quindi, certamente messo anche alle strette dagli inquirenti, confessa. Ma non lo fa perché sulla scena del crimine abbiano trovato prove schiaccianti a suo carico, anzi Barbieri di fronte alla PM si vanta che la scientifica non ha raccolto nessuna sua traccia sul luogo del delitto. Lui ammette le proprie responsabilità, dice testualmente, «perché l’Ilenia era lei la vittima, non lui. Io odio chi mi dice le bugie».

Non so se Barbieri descriva questa sorta di tragico fraintendimento al fine di ottenere un trattamento processuale migliore, cosa che comunque non avverrà, se per lenire i propri sensi di colpa, o se perché effettivamente la veda in questo modo. L’intolleranza ad essere raggirato riguarda, a suo dire, anche un precedente processo dove ritenne di essere stato condannato in modo errato e troppo severo. Quella pena ingiusta avrebbe riattivato in lui “oggetti interni” persecutori e favorito il riuso della cocaina. «Io avevo smesso. Quella condanna non mi appartiene. Questa mi appartiene». Non si tira indietro davanti alla pena che gli verrà comminata. Si gira con rispetto verso l’avvocato dell’ultimo compagno di Ilenia, verso il quale ha rivolto, per lo più in modo indiretto, parole di rammarico per quanto abbia commesso. È consapevole di avergli ucciso la donna amata e negato una relazione felice. Un rispetto che sembra trasformarsi in gratitudine quando quest’ultimo si rivolge a lui dicendogli «Buongiorno signor Barbieri». Quel “buongiorno”, quel porsi in modo cordiale e rispettoso, sembra contenga per lui qualcosa che attiene al riconoscerlo come persona, al non vederlo solo come uno spietato killer senza sentimenti. Probabilmente che provenga dalla difesa di colui che sente di aver leso, ha maggior valore.

Un profilo psicopatico?
Vorrei fare anche un accenno ai titoli dei giornali dell’udienza successiva a quella in furono ascoltati i due imputati. Nell’udienza successiva è stato chiamato a testimoniare un amico di Barbieri. Un uomo che Barbieri andò a trovare la mattina del delitto, circa un’ora dopo averlo commesso. Lo raggiunse alle sette. Suonò, l’amico fu stupito per la visita troppo mattiniera. Bevette un caffè e parlarono un po’. In particolare, della nuova ragazza dell’amico. Disse Barbieri in proposito durante il suo esame in aula: «Dopo l’omicidio ho visto (disse il cognome dell’amico) e ho visto su Facebook che finalmente ha trovato una ragazza che lo faceva felice».
All’udienza successiva l’amico confermò quella visita. E “Il Resto del Carlino” titolò: Processo Ilenia Fabbri, il killer andò a prendere un caffè dopo l’omicidio. Oppure, Fanpage: Omicidio Ilenia Fabbri, il killer andò a bere un caffè da un amico un’ora dopo averla uccisa. Quei titoli sottesero inumano cinismo e freddezza, un atteggiamento da assoluto psicopatico. Dove per psicopatico si intende un soggetto che non prova né colpa né rimorso per le proprie azioni.
Può essere che sia anche così, ma come ho detto più volte nel corso di questo scritto non ci sono elementi tali da formulare certezze ma solo da sollecitare domande, al massimo prudenti ipotesi di partenza, ma potrebbe essere anche diversamente. Potrebbe aver cercato un’azione normale, ordinaria e benevola, come quella d’andare da un amico per fargli un saluto, per allontanarsi anche mentalmente dallo straordinario, mortale e malevolo agito che aveva poco prima commesso. Forse non è casuale neppure che si sia felicitato con l’amico per la nuova fidanzata. E neppure che la nuova fidanzata fosse vista in modo molto benevolo. Questa volta come una relazione buona ed idealizzata, quella dell’amico, nella quale rifugiarsi e dimenticare almeno per qualche istante quanto aveva appena commesso. Utile per dimenticarsi di Ilenia “cattiva”, del Nanni visto inizialmente come “vittima martellante”, della sua ex moglie che “gliene fece di ogni”. Utile a dimenticarsi per un momento, quell’uomo, forse il peggiore di tutti, che lo ha trasformato da “bambino che meritava tutto a bambino che non meritava niente”: il compagno di sua madre.

Verrebbe da domandarsi perché un uomo che da bambino ha subito, ed ha visto la madre subire violenza da un altro uomo, poi diventi lui stesso un carnefice. Tra l’altro è uno schema che si ripropone spesso nella vita, dove le persone abusate, fanno violenza a loro volta. Una risposta può essere questa: quando una persona vive un’esperienza violenta e brutale, o per dirla in modo più tecnico: introietta un oggetto violento e brutale, una parte di essa lo rifiuta e una parte, invece, ci si trova identificata. La parte che si è identificata con esso è quella che poi la ripropone con un agito. Forse quanto detto fino ad ora permette, senza comunque porre nessuna giustificazione, di fare qualche ipotesi sulle motivazioni inconsce di Barbieri. In questa ampia cornice forse è più contestualizzabile la frase con cui Barbieri si riepiloga: «Sono uno che se vedo una persona anziana in un parcheggio l’aiuto. Se vedo uno che mi dà del coglione lo meno e lo lascio lì». Ma al netto di tutto, qualsiasi siano le ragioni emotive, qualsiasi fossero le pulsioni in atto al momento del delitto, Ilenia ne ha fatto le spese. Ilenia ci ha rimesso la vita. E su questo non ci sono giustificazioni che possano tenere.

4. Conclusione

Non posso trarre delle vere conclusioni. Le mie sono ipotesi. Quello che mi sento ti scrivere, in appendice a questo scritto, è un augurio ad Arianna. Rivolto a lei, scrissi anche un precedente articolo, sempre pubblicato su questa testata. In più occasioni ho avuto modo di percepire che ancora combatte con il proprio, assolutamente immotivato, senso di colpa. Ne ha parlato anche pubblicamente. Circa un anno fa lei disse ad una giornalista «mi sento in colpa perché non ero in casa e non ho potuto salvare mia mamma».

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Arianna Nanni, la ventunenne figlia di Ilenia Fabbri e Claudio Nanni

Dalla parte di Arianna
Spesso accade che le persone sopravvissute ad un evento mortale, o che l’hanno sfiorato da vicino, come è successo ad Arianna in questo caso, sviluppino sensi di colpa. È paradossale, ma è così. Esse non si sentono degne di godere di più privilegi rispetto a chi, a causa di quell’evento, è morto. Arianna ha inoltre come assistito in diretta all’evento. Non dimentichiamo che è stata per tutto il tempo al telefono, con la sua compagna di allora, durante il tragico avvenimento. Il telefono fa sentire vicini, ma di fatto si è lontani. Non si può contribuire con nessuna azione concreta nel luogo dove si trova l’interlocutore. Questo può, a posteriori, amplificare il senso di frustrazione e di colpa. Di fatto Arianna ha fatto tutto il possibile. Dall’auto ha contattato le forze dell’ordine, cercato di supportare la ragazza in casa, e soprattutto ha sollecitato più e più volte il padre ad andare più in fretta verso casa.
Non ha assolutamente niente da recriminarsi. È ovvio che è così, ma non è così scontato per lei. Per questo ci tengo a ribadirlo. Inoltre, come spesso accade in questi casi, è possibile che Arianna tenda ad isolarsi, a frequentare poche persone. Cosa che favorisce una ruminazione continua, un pensare e ripensare agli eventi, alternando rabbia a sensi di colpa. Invece è utile per tutti, a maggior ragione per lei, non rinchiudersi ma frequentare e parlare con la gente. Stare in mezzo alle persone. È facile scriverlo qui, probabilmente è anche il consiglio giusto, ma è tutt’altro che semplice. Arianna, quando andrà in giro, sentirà anche di essere riconosciuta. Si sentirà guardata. È oggetto di una faticosa popolarità, una popolarità in relazione con il drammatico accadimento. Non è facile uscire, stare con gli altri. Favorire la propria socialità. Ma spero ci riesca il più possibile.
Tornando ai sensi di colpa va fatta un ulteriore sottolineatura. La persona deceduta, per di più in modo violento ed omicida, era sua madre. Questo aumenta di tanto la dinamica. In modo ancora maggiore può far sentire Arianna, ripeto inopportunamente, responsabile di non averla aiutata. L’invito che le faccio è di non chiudersi. Mi ripeto. Di accettare gli aiuti che le vengono proposti. Di confrontarsi con persone che possano indurla ad una interpretazione realistica della situazione. A comprendere che quell’evento era fuori dal suo controllo. Che già ha fatto il meglio, compatibilmente con la situazione. Che non ha nessun motivo di biasimarsi. Mi auguro possa condividere queste mia parole cognitivamente, con la ragione. Ma soprattutto che possa arrivare a condividerle emotivamente.
Quanto è capitato a questa ragazza è quanto di più drammatico possa accadere nella vita, di conseguenza quanto di più provante. Ma è giovane, e per fortuna, con grandi capacità. L’ho ascoltata direttamente, e mi sento di dirlo. Le auguro davvero il meglio.

Le foto del processo sono di Massimo Argnani

 

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