Leonardo Maltese, da Ravenna al grande schermo: «Recitare mi fa sentire giusto»

Il 26enne, che ha già girato con Amelio e Bellocchio, vestirà i panni di Giacomo Leopardi in tv e si prepara a un futuro (anche) nella musica. «Mi piacerebbe lavorare con Alice Rohrwacher, è straordinaria»

LEONARDO MALTESE Leonardo Maltese 02

Quella di Leonardo Maltese, è una storia tutto sommato ordinaria di un ragazzo senza dubbio straordinario, nel senso squisitamente etimologico del termine. Figlio di padre siciliano e madre inglese, parla perfettamente due lingue e a soli 26 anni è una delle giovani promesse del cinema italiano. Non solo. nel tempo libero si dedica alla musica, scrivendo e componendo canzoni che pubblica sotto lo pseudonimo di Leo Fulcro. Niente male per un semplice ragazzo di provincia. «Sono nato a Ravenna per motivi di lavoro di mio padre – spiega – che ha deciso di mettere su famiglia lì. Io sono felice di questa scelta, devo dire. Ho vissuto lì fino ai 16 anni, dove ho frequentato il liceo linguistico, poi mi sono trasferito in Inghilterra e ho finito le superiori all’Exeter City College, dove mi sono diplomato nel 2016. Dopodiché sono andato a Roma».

Come è diventato attore?

«Ho frequentato l’Accademia Teatrale Sofia Amendolea. Sono stati tre anni di studio molto intensivo. Lì e dove è avvenuta la mia evoluzione da ragazzo acerbo appassionato di recitazione ad attore con una formazione più solida. Quando sono uscito dall’Accademia ero molto cambiato».

Quando era a Ravenna recitava già?

«Sì, il primo incontro con la recitazione in realtà è avvenuto quando facevo lo scout. Altri ragazzi erano più bravi a fare il fuoco, le legature o altre discipline dello scautismo. Io invece ero gracilino e non molto esperto nelle avventure all’aria aperta, ma ero bravo nelle “scenette”, degli sketch messi in scena intorno al fuoco. Poi a scuola decisi di frequentare il laboratorio della non-scuola del Teatro delle Albe. È stata un’esperienza incredibile, non dimenticherò mai l’accoglienza del pubblico dopo il primo spettacolo al teatro Rasi. Lì ho capito che recitare era una cosa che mi veniva bene, che funzionava, mi faceva sentire giusto»

Il film Il signore delle formiche di Gianni Amelio segna l’inizio della sua carriera. Come c’è arrivato?

«Dopo essere uscito dall’Accademia ho cercato su internet delle agenzie e ho cominciato a mandare le mie foto e il mio materiale. L’agente di allora mi fece fare un provino con Gianni Amelio. Di provini ne avevo già fatti e li prendevo tutti molto serenamente perché conosco la brutalità di questa industria, è perfettamente normale prendere anche cento rifiuti, fa parte del mestiere. Anche quella volta sono andato senza aspettative. È stato il giorno più sconvolgente della mia vita».

Come andò esattamente?

«Amelio mi fece fare qualche esercizio, chiacchierammo, e prima di uscire dal provino mi disse: “Leonardo, tu farai questo film”. Io ero incredulo: quando inizi con la carriera da attore pensi di arrivare al massimo a fare qualche piccola parte, e comunque non succede mai che il regista ti dica subito che sei stato preso. La casting director, infatti, mi disse di andarci piano, di non dirlo a nessuno, di non gasarmi. Passarono alcuni mesi durante i quali feci un incontro con Luigi Lo Cascio, il co-protagonista, e un altro incontro per la prova costume, finché un giorno Amelio mi guardò e mi disse: “Guarda Leonardo che il provino è finito, il film lo fai, sta succedendo”. Io ero sempre agitato, non ci credevo che mi avessero preso veramente!».

Il signore delle formiche è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, mentre con Rapito, il film di Marco Bellocchio, è stato a Cannes. Cosa si prova a partecipare a festival cinematografici così importanti?

«Non so spiegarlo, è stato tutto assurdo. Quando decidi che vuoi fare l’attore sogni questi momenti, ma non ci credi veramente, o comunque pensi che potranno capitare in un futuro imprecisato. A me è successo subito, ed è stato molto bello. La gente parla del tuo film, se ne discute. L’arte stimola le domande delle persone, fare film non è solo una questione di ego o di esibizionismo. Quando vedi che i film hanno un impatto sulle persone capisci il senso di quello che fai».

Che rapporto ha con la stampa e la critica cinematografica? Legge le recensioni dei suoi film?

«Sì! Io ho molto rispetto per il giudizio del critico, che in fondo non è altro che uno spettatore particolarmente attento e preparato. Sicuramente è complicato sentirsi esposti, ma se scegli di fare l’attore è anche normale che sia così. E comunque, secondo me, la critica cinematografica non dovrebbe essere interpretata come una controparte dell’industria, ma come una sua componente».

Ha un modus operandi nell’approcciarsi al lavoro? Come si prepara di solito?

«Sto ancora sviluppando un metodo, non ho così tanta esperienza. Cerco di prendere dagli attori che incontro, come Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, Elio Germano, Luigi Lo Cascio, e chiedo loro dei suggerimenti. Una cosa che ho capito, però, è che bisogna avere una propria base solida ma anche sapersi adattare alle esigenze del copione e del regista. La sceneggiatura contiene già la maggior parte delle informazioni che servono. Il mestiere dell’attore consiste nel prendere ciò che è scritto e dargli vita».

Il suo ultimo lavoro è quello sulla miniserie Rai di Sergio Rubini Leopardi – Vita e amori del poeta, girata l’autunno scorso. Quando potremo vederla?

«Non si sa ancora, non posso parlarne perché è ancora un work in progress».

Cosa consiglierebbe a un giovane ravennate che vuole fare l’attore?

«Gli direi “tu sii attore, non pensare a farlo ma ad esserlo. Resta in movimento, fai quello che ti fa stare bene, non aspettare che sia qualcuno a tirarti fuori”. Continuare a muoversi e essere soddisfatti di questo è la cosa più importante».

La provincia è un limite secondo lei in questo contesto?

«È una domanda che mi faccio spesso. A volte in provincia si creano dei microsistemi che sono fertili e attivi e da lì si creano delle cose belle, anche perché le grandi città sono abbastanza sature e peccaminose, piene di brutture. Altre volte, invece, la vita provinciale può essere una gabbia pesante dalla quale si vuole uscire per scoprire cosa c’è fuori. D’altra parte, io sono uno che ne è scappato».

Oltre a fare l’attore, è anche musicista e cantautore. Com’è nata la sua passione per la musica?

«È nata prima della recitazione. La musica è qualcosa che frequento da sempre, suono sin da quando ero piccolissimo. A Roma, dove c’è una quantità di stimoli e di studi di registrazione, ho deciso di produrre della musica. Nel 2020 è uscito il mio primo ep, poi un disco e ora un secondo ep, Boy on Earth, assieme al quale ho scritto anche un libro per ragazzi. La musica mi tiene sempre attivo e mi stimola molto».

Parliamo di futuro. Quali sono i suoi progetti per il 2024?

«Vorrei fare uscire della musica, far qualche bel concerto, possibilmente anche a Ravenna, e vedere cosa succede nel campo recitazione. Per il momento non ho nulla in cantiere».

C’è un/a regista in particolare con cui vorrebbe lavorare in futuro?

«Alice Rohrwacher, è straordinaria».

Un pronostico sugli Oscar 2024?

«Ho visto Perfect Days e mi ha fatto stare benissimo, ma anche Poor Things è bellissimo e innovativo (trovi qui una nostra recensione, ndr). Di premi però non ne capisco molto, non so mai quali sono i criteri di selezione. Il cinema me lo godo molto di più da fruitore».

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