«L’affido di un bambino a una coppia omogenitoriale è un percorso molto difficile, ma non impossibile. Io e mio marito Alessandro abbiamo perseverato e ci siamo riusciti». Ciro Di Maio, presidente di Arcigay Ravenna, da sei mesi può considerarsi a tutti gli effetti un papà: risale infatti allo scorso aprile la decisione definitiva, da parte di un giudice, di affidare un bambino di 8 anni a lui e al suo compagno di vita da 17 anni. Ora, trascorso il tempo necessario, potrà partire la pratica di adozione. Di Maio e il marito hanno superato ostacoli burocratici, pregiudizi e diffidenze, ma sono infine arrivati a un traguardo che – tiene a sottolineare il presidente
locale di Arcigay – «non riguarda solo noi, bensì soprattutto gli interessi di nostro figlio». Ancora più significativo è che la pratica sia stata fatta interamente in Italia, nonostante sia opinione comune che nel nostro paese si tratti di un percorso impossibile.
Di Maio, la legge italiana non prevede l’adozione di bambini da parte di single e coppie omosessuali…
«È vero, l’adozione classica non è prevista dal nostro ordinamento; tuttavia l’articolo 44 della legge 184/1983 disciplina alcuni casi speciali. Si tratta di una pratica conosciuta soprattutto per la cosiddetta “stepchild adoption”, ovvero l’adozione del figlio del partner, sia esso il coniuge o il compagno unito civilmente. Ma
anche quando non è presente un genitore biologico, è legalmente possibile che un tribunale riconosca l’interesse superiore del minore ad avere un vincolo legale con uno o due adulti. È questa la casistica in cui siamo rientrati io e mio marito, con l’affido propedeutico alla futura adozione».
Quali motivi hanno portato il tribunale a effettuare tale scelta?
«Nel nostro caso, il minore era stato abbandonato dalla sua famiglia biologica (con tanto di decadimento della responsabilità genitoriale, ndr) e rifiutato da altre famiglie che lo avevano inizialmente preso in affido e poi restituito. Si tratta di un bambino di 8 anni che non era stato ancora scolarizzato e che aveva subito alcuni traumi, perciò si trovava in una situazione vulnerabile e svantaggiata. Nessuno lo voleva, mentre noi ci siamo dichiarati disponibili a prenderlo in affido e abbiamo iniziato il percorso legale».
È stato difficile?
«Non poco. Sul piano personale, nostro figlio era impaurito e segnato a causa dei precedenti abbandoni, perciò gli approcci delle prime settimane sono stati molto delicati. Sul piano burocratico, abbiamo dovuto superare un lungo percorso e affidarci a un tribunale con un giudice più aperto e illuminato rispetto a molti suoi colleghi».
In che senso?
«Molti tribunali dei minori, in maniera più o meno esplicita, negano la possibilità di affido ai single e alle coppie omogenitoriali. Anche quando ci sono persone disponibili ad accudire bambini che rientrano in casi speciali, si preferisce lasciarli negli istituti, solo perché le decisioni legali sono ancorate al modello di famiglia tradizionale. Nel capoluogo campano, invece, sapevamo che non avremmo incontrato questo tipo di chiusura. Anzi, nel nostro caso il giudice ha stabilito che
per nostro figlio, proprio per essere aiutato a superare il suo passato difficile, sarebbe stato preferibile avere una o due figure maschili che lo accudissero. Una cosa confermata anche dal bambino quando, pochi giorni fa mentre lo aiutavo a vestirsi, con spontaneità mi ha detto che era felice di non avere una madre e di avere due papà».
Come funziona il percorso prima di arrivare a ottenere l’affido?
«Innanzitutto occorre fare il percorso di formazione per diventare una famiglia affidataria. Io e Alessandro lo abbiamo svolto a Ravenna, insieme a molte altre persone. Poi bisogna superare la fase di istruttoria individuale, nella quale i servizi sociali valutano l’idoneità del nucleo familiare all’affido. Infine bisogna dichiarare la propria disponibilità ad accudire uno specifico bambino. Nel nostro caso, abbiamo conosciuto nostro figlio grazie all’associazione “M’aMa – Dalla parte
dei bambini”, che si occupa di casi speciali di minori non adottati; e ci siamo rivolti ad alcuni consulenti esperti in famiglie omogenitoriali».
Qual è la percezione pubblica di due genitori uomini?
«Siamo solo all’inizio del nostro percorso, ma abbiamo già visto qualche naso arricciato, per il solo fatto di vedere un bambino con due papà. Speriamo di non subire di peggio».
Cosa consiglierebbe a una coppia omosessuale che volesse intraprendere lo stesso percorso?
«La genitorialità non è mai un percorso facile, perciò è fondamentale perseverare e non abbattersi. In precedenza io e Alessandro ci eravamo dichiarati disponibili
per altri minori, ma il tribunale ha deciso di affidarli ad altre famiglie. Non ci siamo mai demoralizzati; anzi pensiamo che se quei tentativi non sono andati bene, forse è perché non erano quelli i bambini che eravamo destinati ad accudire. Allo stesso modo, ribaltando la prospettiva, le famiglie che in passato hanno rifiutato nostro figlio non erano le figure giuste per lui. Se il desiderio è forte, prima o poi arriva a esaudirsi. Comunque, chi ha bisogno di un consiglio sul percorso burocratico può venire a trovarmi nella sede di Arcigay a Ravenna».
L’attuale governo è molto chiuso su questi temi. Ha un messaggio da rivolgere alla premier Meloni?
«Questo esecutivo è molto impegnato a negare i diritti delle famiglie non tradizionali, come ha fatto per esempio stabilendo il reato universale della gestazione per altri. Eppure non muove un dito per facilitare l’adozione dei bambini svantaggiati. Affidarli a una famiglia che si prenda cura di loro è la soluzione migliore, a prescindere dall’orientamento sessuale dei genitori, eppure viene reso impossibile. Perciò penso che sarebbe ora di smettere di vedere mostri dove non ci sono.
Piuttosto, è meglio dedicare attenzione ed energie a fare una corretta informazione sulle possibilità previste dalla legge e, soprattutto, a costruire dei percorsi burocratici più snelli e privi di pregiudizi. Soprattutto per il bene dei bambini, che sono le prime vittime delle assurde battaglie ideologiche di chi vuole conservare il modello unico della famiglia tradizionale».