Marianella, la voce di 2.569 telecronache: «Gli stadi moderni non hanno anima»

Il celebre commentatore di Sky Sport al bagno Hanabi di Marina per presentare il suo libro a metà tra guida turistica e storie di calcio

Se avete sentito anche una sola delle sue 2.569 telecronache fatte in carriera non potrete dimenticare quel timbro. Massimo Marianella è una delle voci più note di Sky Sport, soprattutto se seguite il calcio. Con il commento di Juventus-Barcellona del 6 giugno scorso è arrivato alla decima finale di Champions League dal 2006. Alle 21 di oggi, 28 giugno, il 49enne giornalista romano sarà al bagno Hanabi di Marina di Ravenna per la presentazione del libro “Dove ti porta il calcio”. Ospiti sulla spiaggia anche Letizia Conte che ha collaborato alla scrittura del libro e l’ex calciatore Giancarlo Marocchi, oggi collega di Marianella nelle vesti di opinionista per la tv satellitare.

Marianella, dove ci porta il calcio? «Il libro è un’idea che ho da dieci anni. Da ogni viaggio fatto per raggiungere uno stadio ho tenuto da parte biglietti da visita di ristoranti, appunti dei percorsi in metropolitana, scontrini dei locali, posizione degli alberghi. L’idea è quella di tramandare le mie esperienze: nasco prima come appassionato e poi divento un professionista. Quindi ci sono aneddoti e storie miei personali legate ai singoli eventi ma è anche vero che molti dei percorsi descritti nel libro li ho fatti da semplice amante dello sport trovandomi nella situazione capitata a tutti: quando esco dalla metro vado a destra o a sinistra? Diciamo che se il lettore si fida di me può usare il libro per muoversi nelle città degli stadi con la partita come ottima scusa per una visita completa».

Che città sono comprese nel libro? «Ci sono 43 stadi divisi in undici città, le capitali d’Europa con l’aggiunga di Barcellona e Monaco di Baviera perché non potevano mancare».

Ma non c’è solo il calcio. «Spesso anche per me il calcio è un’ottima scusa per visitare una città e allora accanto alle informazioni sportive c’è altro. In questo è stata molto brava Letizia Conte. Insomma qual è il negozio che non puoi perdere o il museo che devi vedere. Perché non accetto si vada a Berlino per la finale di Champions senza vedere la porta di Brandeburgo o Potsdamer Platz. Dalla trasferta per sport voglio tornare con un bagaglio non solo di magliette e gagliardetti. Magari a volte può anche essere una delusione: posso dire senza timore che Buffalo essendoci stato a vedere una partita».

Qual è il suo stadio preferito nel calcio? «Partiamo dicendo che i miei due preferiti in assoluto non esistono più perché erano Wembley e Highbury, entrambi demoliti. Sono uno che apprezza gli stadi con una patina di storia e in questo il Camp Nou di Barcellona è meraviglioso. Non ho nulla contro gli stadi nuovi però che vuoi che ti dica, il nuovo Emirates dell’Arsenal con le scale mobili, le luci soffuse, il ristorante stellato Michelin non mi comunica le stesse cose del vecchio Highbury».

Cosa manca ai nuovi stadi? «Oggi se ti portano bendato al centro di uno dei nuovi impianti inglesi non sai dire dove sei quando apri gli occhi perché sono tutti uguali. Si potrebbero fare stadi moderni con anima e personalità».

Sembra una visione in contrasto con il modello Sky… «Il mio cuore va per gli stadi vecchi e per la storia. Però sono un professionista e va detto che in Italia siamo indietro tanto anche perché abbiamo stadi vecchi. Il nostro calcio farà un passo avanti quando la Juve non sarà un’eccezione».

Tra i nuovi impianti qual è il più spettacolare? «L’Allianz Arena è perfetto. Se l’idea è quella di avere un teatro che metta le tv in grado di portare lo spettacolo nel mondo allora lì c’è tutto. Trovo assurdo invece che il Manchester City abbia fatto uno stadio nuovo in cui la postazione da cui commento la Premier League è sotto il tetto e quando tira vento vola via di tutto e sei talmente lontano da non vedere i giocatori».

Non è un segreto la sua passione per l’Arsenal… «Devo dare una brutta notizia a me stesso: sono sempre meno tifoso in generale. Sono arrivato a dimenticare che giocavano le squadre delle mie passioni personali come Marlins, Panthers, Arsenal.  Non c’è stato un motivo particolare. Se vedo due gocce che scivolano su un vetro ne scelgo una e tifo. Però sia chiaro che non ho mai amato gli eccessi, mai fatto parte di un tifo organizzato, non capisco come si arrivi a spaccare un treno per questioni di tifoseria».

Come si concilia il tifo con il giornalismo? «Quando è il momento di lavorare la passione per la tua squadra la metti da parte. Nella mia prima finale di Champions c’era l’Arsenal in campo. È stato solo mezzora dopo la fine della partita che mi sono reso conto che come tifoso avevo perso la partita. Prima sei un professionista, non amo i giornalisti tifosi. Penso che il giornalista sia un altro lavoro rispetto alla cronaca tifosa, se tifo mi metto la maglietta ma non faccio la cronaca. Così come non ho mai amato troppo quelli che dicono noi durante una telecronaca. I cronisti sono un tramite tra l’evento e la gente a casa ma devo dare una brutta notizia a qualche collega: non sono loro i protagonisti».

Tra i giocatori visti in oltre duemila cronache c’è stato qualcuno più emozionante? «Credo che uno come Henry sia da considerare meraviglioso per tutta la sua carriera. Penso che in futuro potremo dire di aver avuto il privilegio di vedere Iniesta su un campo e trovo un delitto che non abbia vinto un Pallone d’Oro. Ho commentato Van Basten e Baggio. Cruiff ho potuto solo intervistarlo».

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