lunedì
16 Giugno 2025
Rubrica Controcinema

Asteroid City, il dubbio: non è che sia un po’ una supercazzola?

Condividi

Asteroid City

Ho appena visto Asteroid City, l’ultimo film di Wes Anderson, uscito in questi giorni.

Il film si sviluppa su tre piani narrativi uno sopra l’altro: il narratore di un programma TV (il Bryan Cranston di Breaking Bad) racconta di un drammaturgo (Edward Norton) che sta mettendo in scena insieme al regista (Adrien Brody) la sua nuova pièce teatrale Asteroid City – storia di fantascienza e di tristezza umana ambientata in un immaginario deserto americano degli anni ‘50; la cittadina si chiama Asteroid City perché lì vi cadde milleni fa un asteroide, e lì si svolge un premio per giovani geni cervelloni nerd accompagnati dai loro genitori, tra cui un dolente fotografo di guerra vedovo (Jason Schwartzman) e una diva del cinema depressa (Scarlet Johansson). Lì si dipanano mille incontri e storie di morte e di dolore esistenziale, di connessioni tra essere umani che iniziano e non continuano, di solitudini assolute in risonanza con le meta-storie del programma Tv e della compagnia teatrale, finché accade qualcosa di assolutamente imprevisto…

Il solito cast stellare che vede anche Tom Hanks, Tilda Swinton, Matt Dillon, Willem Dafoe, Margot Robbie, per un un film sempre perfettamente impeccabile, ma troppo manierato, quasi distaccato e asettico. Tanti i riferimenti, dalla sci-fi americana anni ‘50 di Ultimatum alla Terra al Mars Attacks! di Tim Burton, da Intrigo internazionale di Hitchcock ai western di John Ford come Ombre rosse. Il tutto però rimane un mix poco riuscito, perché la sempre rigorosa e affascinante messa in scena di Wes Anderson non riesce a far decollare il senso del film. La storia a un certo punto si inceppa, i tre piani narrativi (TV, teatro, cinema) si sciolgono molto frettolosamente senza risolvere nulla del dolore emerso dai personaggi.

E quel deserto, quell’ambiente unico che domina la storia, è troppo stilizzato: per quanto affascinante sia la regia di Wes Anderson, sempre sulla sua personalissima cifra stilistica fatta di tableaux vivants sempre riferiti a un quadro, di carrelli laterali e improvvise accelerazioni dell’inquadratura, il deserto pastellato di Asteroid City alla fine sembra la versione hipster mal riuscita del mitologico deserto di morte di Los Alamos in Oppenheimer, o piuttosto, ed è qui il problema, il deserto di Los Alamos, e bomba annessa, come l’avrebbe visto la Barbie di Greta Gerwig quando esce da Barbieland insieme a Ken.

Alla fine il dubbio, purtroppo, è che Asteroid City sia un po’ una supercazzola: bella da vedere, tanto cool, ma sempre una supercazzola che nulla aggiunge al cinema di Wes Anderson.

Condividi
Contenuti promozionali

DENTRO IL MERCATO IMMOBILIARE

CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

La casa di Anne

Il progetto di un'abitazione del centro di Ravenna a cura dello studio di Giovanni Mecozzi

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi