In questi giorni potete vedere al cinema il film francese Saint Omer, opera prima della regista franco-senegalese Alice Diop. In concorso a Venezia 2022, ha vinto il Leone d’Argento e il Leone come miglior opera prima.
Siamo in Francia. La giovane scrittrice e professoressa universitaria Rama, di origini senegalesi, da Parigi viaggia verso la piccola città di Saint Omer, per assistere dal vivo a un processo dal grande impatto mediatico: un’altra giovane ragazza, Laurence, anche lei di origine senegalesi, e come Rama universitaria e di elevata cultura, ha ucciso l’anno prima la sua giovane figlia di 15 mesi, lasciandola annegare sulle rive del mare…
L’idea di Rama è di trarre ispirazione per un libro sul mito di Medea. Ma Rama è incinta, e ha un irrisolto rapporto con una madre anaffettiva che l’ha sempre trascurata e ignorata. Nel mentre, il processo cerca di spiegare non la verità dei fatti (Laurence ha confessato da subito l’omicidio della figlia), ma il perché dei fatti. Laurence è enigmatica come una Sfinge, e il corso delle testimonianze e degli scontri tra accusa e difesa verte su chi sia veramente la persona Laurence, sul perché abbia ucciso, e chi siano tutte le persone che facevano parte dei suoi affetti: i suoi genitori, ambiziosi ma assenti; e il padre della bambina, un anziano francese forse disinteressato (o forse no?) alla figlia avuta dalla giovane ragazza. Laurence, del resto, all’inizio è una ragazza altamente istruita, studentessa di filosofia, che però a un certo punto invoca un malocchio che l’avrebbe segnata. La scrittrice Rama rimane sempre più colpita dalla storia che si sta sviluppando e che le fa riemergere l’ansia primordiale di diventare Madre.
Saint Omer è un film sulla maternità, sul mito arcaico della Madre, incarnato dalla figura mitologica della Medea (citata visivamente in alcune sequenze del film di Pasolini interpretato dalla Callas). Già il titolo evoca Omero e la Grecia arcaica; e tutto il processo, vero motore del film, si sviluppa per inquadrature fisse sui personaggi che recitano lunghi monologhi come attori in una tragedia greca, senza che però alla fine si possano risolvere le ambiguità del mistero delle cause di una morte e di chi sia veramente Laurence. La maternità è vissuta come un processo di vita più grande e importante delle madri stesse, che possono accettarsi nei loro limiti come Rama o, come Laurence, “affidare” la loro prole al mare, la più grande origine della vita.
Interessante questo sostrato simbolico del film, che però paga il limite di una regia troppo rarefatta e teatrale, e di una storia che, per quanto detto prima, è più interessante dal punto di vista intellettuale che avvincente nelle emozioni, perché cita il Mito senza riuscire a incarnarlo nel film narrato.