Ravenna città “singolare” e “contrappuntistica”

A proposito di un libro di Marco Romano su Le belle città

L’architetto Marco Romano

Il noto studioso di Estetica della città, Marco Romano, autore, tra gli altri, di testi come L’estetica della città europea (Einaudi, 1993), La città come opera d’arte (Einaudi, 2008) e, più recentemente, La piazza europea (Marsilio, 2015), ha da poco pubblicato il suo ultimo libro dal titolo Le belle città. Cinquanta ritratti di città come opere d’arte (Utet, 2016). Come si vede dai termini ricorrenti nelle intitolazioni dei suoi volumi, il tema centrale della sua ricerca è la “bellezza” della città, termine assai difficile da determinare, ma che, da sempre, ha visto impegnati, nella sua definizione, filosofi, artisti, critici.
Claude Perrault, medico e architetto francese, autore della facciata est del Louvre – fratello del più celebre Charles, scrittore e iniziatore, con Nicolas Boileau, della famosa Querelles des anciens et des modernes che vide schierati, su opposti fronti, gli intellettuali francesi del tempo –, è stato una figura centrale nella rivoluzione del concetto di bellezza in architettura – il che, dunque, riguarda da vicino il nostro discorso. Egli, in un testo fondamentale per la nascita dell’estetica architettonica contemporanea, distingueva fra una «beauté positive […] qui plait nécessairement par elle même» e una «beauté arbitraire […] qui ne plaît pas nécessairement, mais dont l’agrément dépend des circonstances qui l’accompagnent».1 Concetto “dirompente” per l’estetica classicista, ribadito, una volta di più, nell’opera Ordonnances des Cinq Espèce de Colonnes selon la Methode des Anciens, in cui il Perrault contrappone a una bellezza «Positive», e «convaicante» (convincente), che dipende dalle proporzioni musicali della simmetria, una bellezza «Arbitraire», che invece deriva dall’«accoûtumance», cioè dall’abitudine.2 Ma la più “scandalosa” affermazione del medico-architetto francese rimane quella espressa nella Préface ai Dix Livres d’Architecture de Vitruve, edizione da lui curata nel 1673 e, ampliata, nel 1684, in cui sosterrà, senza mezzi termini, che «[…] la Beauté n’[a] guere d’autre fondament que la fantaisie, qui fait que les choses plaisent selon qu’elles sont conformes à l’idée que chacun a de leur perfection […]».3 Anche se ciò determina il fatto di dover “correre ai ripari” rispetto al pericolo di un relativismo assoluto in termini di “bello”, avendo perciò «[…] besoin de regles qui forment & qui rectifient cette Idée».4 E queste regole saranno fissate da «[…] une certaine autorité qui tienne lieu de raison positive»:5 cioè gli esperti di architettura. Difficile poter dire, dunque, cos’è bello e cosa non lo è.

In ogni caso, dobbiamo considerare un onore, il fatto che Marco Romano abbia inserito la nostra città all’interno delle cinquanta più “belle” città d’Italia, assieme a un piccolo contingente di città europee e mondiali come Bordeaux, Brasilia, Bruxelles, Edimburgo, Jaipur, Lione, Londra, Madrid, Monaco di Baviera, Mosca, New Orleans, New York, Parigi e Strasburgo.
Ma perché Ravenna è stata eletta in quest’Olimpo? Per due sue caratteristiche che la fanno essere un singolare unicum fra le città europee: via di Roma e il complesso delle sue piazze.6
Scrive Marco Romano: «C’era una volta a Ravenna la strada maggiore tracciata al tempo bizantino, con la chiesetta di Santa Barbara di fianco a Sant’Apollinare Nuovo, con il palazzo di Teodorico – ch’era poi in realtà un’altra chiesa –, il monastero di Santa Chiara che diventerà un teatro, e poi la grande basilica di Santa Maria di Porto subito prima della porta Nuova».7 Nei secoli successivi, del «carattere celebrativo»8 di questa «strada maestra andrà perdendosi il ricordo»,9 anche se essa «alla fine del Cinquecento verrà proseguita, dalla parte opposta, fino alla nuova porta Serrata»10 dai veneziani.
Ma per l’Autore – nonostante la decadenza dei tempi successivi (Francesco Bertelli, Theatro delle città d’Italia […], Padova, 1629, la ritrae «[…] quasi come un’innocua fila di casette e di chiese ai margini della città […]»11) – questa «[…] lunga strada trionfalmente conclusa da due porte monumentali […]»12 costituisce un evento del tutto inconsueto nel panorama delle città europee, rimarcando «il fatto straordinario che nessun’altra città europea ha una strada altrettanto singolare, una strada maestra che, pur attraversando l’intero abitato, è tematizzata soltanto dalle due porte, mentre il vero cuore simbolico di Ravenna crescerà ai suoi margini, con tutti i temi collettivi consueti delle città europee, solcata dalla strada principale (la via Cavour di oggi) orientata, oltre porta Adriana, verso Bologna e la via Emilia, e dalla strada principale secondaria (la via Mazzini di oggi) oltre porta Sisi verso Faenza».13 Una strada “eccentrica”, dunque.

Ma non basta. L’unicità di Ravenna deriva anche dal sistema delle sue piazze, che contribuisce, assieme alle porte e alle colonne, a quello che Marco Romano chiama il suo «segreto»:14 che non è altro che la «[…] sua propensione per il contrappunto, il contrappunto delle numerose porte monumentali disseminate talvolta una di seguito all’altra, o il contrappunto delle sue colonne […]»,15 ma, soprattutto, «il contrappunto delle sue piazze»16 che per l’Autore costituisce la seconda “singolarità” di Ravenna, «[…] uno spettacolo forse unico nelle molte città europee che conosciamo».17 Perché, come rileva Marco Romano, se molte città italiane ed europee «come l’Aquila o Salamanca, sono disseminate di piazze e piazzette […]», «[…] soltanto Ravenna ne ha fatto [sc. delle piazze] il suo tema più rilevante».18
Si tratta, come rileva l’Autore, di «[…] quasi tutte piazze moderne o rinnovate in epoca moderna, ché il contrappunto di queste nuove piazze è poi sottolineato da un rinnovamento edilizio, a partire dagli anni trenta del Novecento, che dimostra la deliberata consapevolezza di voler costruire nel suo insieme un nuovo paesaggio della città, quasi a voler riscattare quell’aura di città morta che la perseguita dai tempi di Bonvesin de la Riva, che già ai suoi tempi la considerava decaduta».19
Da queste piazze, poi, parte il rinnovamento delle vie. In questi nuovi progetti Marco Romano individua «[…] la traccia di uno stile»:20 «Sulla consapevolezza del proprio mitico passato bizantino Ravenna risorge nel Novecento ricorrendo al contrappunto di qualche tema consolidato – le porte, le colonne, gli arconi – che sembrano echeggiare il rincorrersi delle rare abbazie piuttosto che l’affollarsi di molte nuove chiese come in altre città, soprattutto al clamoroso contrappunto delle piazze che affollano la sua parte più centrale».21 E l’elenco fa una certa impressione a noi che siamo abituati a non considerarne il numero: «[…] dalla piazza Andrea Costa con il mercato coperto alla piazza del mercato, dalla piazza principale alla modesta piazza Einaudi e alla vasta piazza Garibaldi, e di lì alla incompiuta moderna piazza Firenze e a piazza San Francesco, con la tomba di Dante, e subito accanto la piazza dei Caduti per la libertà e subito dietro piazza dell’arcivescovado e piazza duomo che da un lato la breve via Rasponi lega alla piazzetta omonima e soprattutto alla vasta piazza Kennedy e dall’altro, più lontano, alla piazza d’Annunzio e alla piazzetta di Sant’Agata».22
Ma, per l’Autore, ancor più delle piazze, «[…] il contrappunto moderno più ricorrente è quello dei grandi boulevard»,23 il cui modello non sono tanto i viali della stazione, quanto «[…] i due borghi fuori porta Sisi e fuori porta Adriana […]».24 Un esempio che torna nel viale fuori porta Nuova e soprattutto nei «[…] quartieri moderni degli ultimi decenni, dove la straordinaria larghezza e i nuovi edifici moderni, talvolta architettonicamente singolari, vogliono in fondo testimoniare il desiderio di un rinnovamento e di un riscatto fondato tuttavia nel solco di una tradizione venuta formandosi di fatto nell’ultimo secolo ma radicata nella convinzione che il passato bizantino, a suo tempo riscoperto – da Corrado Ricci, aggiungiamo noi –, desse diritto e forza alla costruzione di un paesaggio insieme antico e contemporaneo».25 Analisi che si possono sottoscrivere, con un unico dubbio: quell’aggettivo «singolare», riferito all’edilizia più recente, ha valore positivo o manifesta una qualche venatura ironica? Lasciandoci al nostro dubbio, Marco Romano termina evidenziando la comparsa – «[…] una vera innovazione […]»26 per Ravenna – dei portici nelle nuove strade e un prevalere di «[…] case a due piani […]», «habitat privilegiato»27 della nostra città.
In conclusione del suo capitolo su Ravenna l’Autore, indossando i panni dell’urbanista, tira le fila della sua ricerca proponendo, sulla base dello «stile»28 di Ravenna, il modus operandi della programmazione urbanistica dei prossimi anni: «tracciare sequenze ancorate a nuovi boulevard radicati su quelli esistenti e articolate con contrappunti di piazze, con qualche passeggiata e grandi giardini pubblici, case di due piani a schiera lungo i boulevard, villette isolate nel proprio terreno con lotti di diversa grandezza, e case di tre piani sulle piazze».29 Concludendo con un sibillino: «chissà».30 Spero che i nostri tecnici del Comune abbiano preso appunti.

Postilla

Marco Romano ha intitolato la sua prefazione al libro: L’arte di vedere le città. Chi ha un po’ di conoscenza di storia dell’urbanistica, sa che l’Autore ha qui parafrasato il titolo italiano di un celebre libro di Camillo Sitte, L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici. Il testo, pubblicato a Vienna nel 1889,31 godette di un immediato successo, come testimoniano le due nuove edizioni apparse nello stesso anno e nell’anno successivo. Scopo del libro, per Sitte, era quello di «[…] trovare una scappatoia al moderno sistema degli edifici-scatola, di salvare, se si fa ancora in tempo, le nostre vecchie città dalla distruzione che le colpisce sempre più e infine permettere la creazione di opere simili a quelle degli antichi maestri»,32 in particolare attraverso «[…] lo studio di alcune piazze e sistemazioni urbane del passato, al fine di individuare le ragioni della loro bellezza».33 Siamo perciò tornati al punto di partenza: la questione di cos’è il bello. Ma un elemento lega ancora Camillo Sitte a Marco Romano: la questione delle piazze, e in particolare delle piazze “chiuse”.34 Nelle città antiche «[…] uno spazio libero non diventa piazza, che quando appare effettivamente chiuso».35 L’elemento che va attentamente progettato sono perciò le strade d’immissione alla piazza stessa. Il Sitte mette a confronto le diverse esperienze della città moderna e di quella antica: «Ai nostri giorni è di regola che ad ogni angolo della piazza vengano ad incontrarsi e a tagliarsi due strade perpendicolari. Così si ingrandisce l’apertura della piazza e s’isolano al massimo i vari quartieri o blocchi di case, cioè non si pensa affatto di dare unità al complesso. Gli Antichi – prosegue l’Autore – applicavano la regola opposta: si sforzavano di non lasciar giungere ad ogni angolo di piazza che una sola strada, mentre le altre vie secondarie s’innestavano direttamente in questa e non erano visibili dalla piazza. Insomma la disposizione delle strade d’angolo, frequente e varia, va considerata come uno dei principi basilari dell’urbanistica antica».36 Ma il Sitte, subito dopo, ci svela qual è il vero fine visivo di tutto ciò: «Osservando a fondo la questione ci si accorge che con questa disposizione delle strade, per così dire a turbina, è stata adottata la soluzione più vantaggiosa. Infatti da un punto qualunque della piazza si vede una sola uscita, cioè una sola interruzione nella continuità delle case. In realtà, da quasi tutti i punti della piazza, la continuità del suo perimetro non appare interrotta, perché per effetto della prospettiva gli edifici situati allo sbocco delle strade sembrano accavallarsi e quindi non lasciano scorgere nessuna sgradevole breccia».37 Ci credereste? «Il tipo più puro di questa ingegnosa disposizione»38 è nascosto nel cuore della nostra città, senza che nessuno se ne sia mai accorto: la «piazza della Cattedrale di Ravenna».39 Andiamone fieri, dunque, sperando di lenire, con ciò, il dispiacere per la perdita della basilica ursiana, al cui posto sorge quel brutto Duomo del Buonamici, che nessun’altra città, questo è certo, c’invidia.

 

Note

1. Claude Perrault, Abrégé des dix Livres d’Architecture de Vitruve, Paris, Chez Jean-Baptiste Coignard, MDCLXXIV, p. 103.
2. Claude Perrault, Ordonnances des Cinq Espèce de Colonnes selon la Methode des Anciens, Paris, Chez Jean Baptiste Coignard, MDCLXXXIII, p. vii.
3. Claude Perrault, Les dix Livres d’Architecture de Vitruve corrigez et tradvits nouvellement en François, avec des Notes & des Figures, Paris, Chez Jean Baptiste Coignard, MDC LXXIII, senza numero di pagina.
4. Ibid.
5. Ibid.
6. Sulle piazze ravennati mi sia permesso rimandare a due miei testi: Instauratio Fori. Il ridisegno delle quinte della piazza nel Sei-Settecento, in Ravenna: Piazza del Popolo. Storia e progetto, Ravenna, Danilo Montanari editore, 1996, pp. 27-37 e Le piazze, in Aldo Fabiani, Enzo Turso, Ravenna una storia in cartolina, Testi di Mauro Mazzotti et alii, Ravenna, Danilo Montanari Editore, 2013, pp. 78-79 [illustrazioni: pp. 80-105].
7. Marco Romano, Le belle città. Cinquanta ritratti di città come opere d’arte, UTET, 2016, pp. 347-354: 347.
8. Ibid.
9. Ibid.
10. Ibid.
11. Ibid., p. 348.
12. Ibid.
13. Ibid.
14. Ibid., p. 352
15. Ibid.
16. Ibid.
17. Ibid.
18. Ibid.
19. Ibid. Cfr. Bonvesin da la Riva, Le meraviglie di Milano (De magnalibus Mediolani), a cura di Paolo Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori Editore, 2009, p. 150: «Amplius dicam: in quo conferri potest Mediolano Ravenna? Qui michi totam Ravennam cum diocesi dare voluerit, posito quod hoc fieri possit, non dabo pro ea tantummodo aeris Mediolani temperiem et vivorum fontium copiam pretiosam» (trad. it., p. 151: «Dirò di più: in che può competere Ravenna con Milano? A chi mi volesse cedere tutta Ravenna con la sua diocesi – se ciò fosse possibile –, non darei in cambio neppure il clima mite di Milano e la sua preziosa abbondanza di fonti vive»).
20. M. Romano, Le belle città…, cit., p. 353.
21. Ibid.
22. Ibid., p. 352, didascalia.
23. Ibid., p. 353.
24. Ibid.
25. Ibid.
26. Ibid., p. 354.
27. Ibid.
28. Ibid.
29. Ibid.
30. Ibid.
31. Camillo Sitte, Der Städte-Bau nach seinen Künstlerischen Gründsätzen. Ein Beitrag zur Lösung modernster Fragen der Architektur und monumentalen Plastik unter besonderer Beziehung auf Wien, Mit 4 Heliogravuren und 109 Illustrationen und Detailplänen, Wien, Verlag von Carl Graeser, 1889.
32. Camillo Sitte, L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, note a cura di Daniel Wieczorek, Milano, Jaca Book, 1981, pp. 20 e 23.
33. Ibid., Prefazione, p. 14.
34. Cfr. ibid., il capitolo La piazza chiusa, pp. 57-66.
35. Ibid., p. 57.
36. Ibid., p. 59.
37. Ibid., pp. 59-60.
38. Ibid., p. 60.
39. Ibid.

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